La sentenza C-278/24 della Corte di Giustizia dell’Unione europea apre un nuovo capitolo nella disciplina della responsabilità degli amministratori per i debiti fiscali societari, legittimando il meccanismo di responsabilità solidale previsto dalla legislazione polacca. Un pronunciamento che, pur rispettando il principio dell’autonomia patrimoniale delle società di capitali, introduce elementi di flessibilità nella gestione delle insolvenze tributarie.
La questione pregiudiziale sottoposta alla Corte
Nel caso sottoposto all’esame della Corte, il giudice polacco interrogava i giudici di Lussemburgo sulla compatibilità con il diritto comunitario di una normativa nazionale che prevede la responsabilità solidale degli amministratori per i debiti IVA della società. La questione verteva specificamente sull’interpretazione dell’articolo 273 della direttiva 2006/112/UE, disposizione che conferisce agli Stati membri ampi poteri per assicurare la corretta riscossione dell’imposta e prevenire l’evasione fiscale.
La legislazione polacca in esame stabilisce che i membri, anche ex membri, del consiglio di amministrazione rispondano in solido con la società per gli arretrati IVA sorti durante il loro mandato. Tale responsabilità scatta tuttavia solo in via sussidiaria, quando l’esecuzione forzata nei confronti della società si sia rivelata infruttuosa.
I principi enunciati dalla Corte
La Corte di Giustizia ha confermato la compatibilità del meccanismo polacco con il diritto dell’Unione, precisando però alcuni limiti essenziali. Nella sentenza, i giudici europei riconoscono agli Stati membri un ampio margine discrezionale nell’adozione di misure volte a garantire l’esatta riscossione dell’IVA, inclusa la possibilità di estendere la responsabilità a soggetti diversi dal debitore principale.
Il principio cardine stabilito dalla Corte è che tale responsabilità degli amministratori debba trovare un contrappeso nella possibilità di liberarsi provando la propria diligenza. L’amministratore può infatti evitare la responsabilità dimostrando di “aver dato prova di tutta la diligenza richiesta nello svolgimento degli affari della società interessata”.
Particolarmente rilevante è il passaggio in cui la Corte precisa che non è sufficiente, per escludere la responsabilità, dimostrare che al momento dell’accertamento dell’insolvenza l’Erario fosse l’unico creditore della società.
Proporzionalità e certezza del diritto
La sentenza affronta anche la questione della compatibilità del meccanismo con i principi generali del diritto UE, in particolare quelli di proporzionalità e certezza del diritto. I giudici di Lussemburgo confermano che la responsabilità solidale sussidiaria rispetta tali principi fondamentali.
L’elemento della sussidiarietà risulta determinante: la responsabilità scatta solo dopo che l’esecuzione forzata contro la società si sia dimostrata inefficace. Questo meccanismo rappresenta un bilanciamento tra l’esigenza di tutela delle ragioni erariali e la necessità di non gravare eccessivamente sulla posizione degli amministratori.
Implicazioni per l’ordinamento italiano
Sebbene la sentenza riguardi specificamente la legislazione polacca, le sue implicazioni si estendono potenzialmente a tutti gli ordinamenti nazionali. Nel sistema italiano, la responsabilità degli amministratori per i debiti tributari trova fondamento nell’articolo 36 del DPR 602/1973, che prevede ipotesi limitate di responsabilità per le imposte dirette.
Le società di capitali italiane mantengono il principio dell’autonomia patrimoniale perfetta, che esclude la responsabilità diretta degli amministratori per i debiti societari. Tuttavia, esistono eccezioni significative quando l’amministratore abbia violato specifici obblighi di legge o agito con dolo o colpa grave nella gestione societaria.
La giurisprudenza italiana ha precisato che l’amministratore risponde dei debiti fiscali solo in presenza di una specifica norma che lo preveda e sempre che sia accertata la sua responsabilità con atto motivato, notificato secondo le forme previste dall’articolo 60 del DPR 600/1973.
La prova della diligenza come elemento chiave
L’aspetto più innovativo della pronuncia riguarda lo standard probatorio richiesto all’amministratore per escludere la propria responsabilità. Non si tratta di una prova diabolica: l’amministratore deve dimostrare di aver agito con la diligenza del buon amministratore, valutata secondo criteri oggettivi e tenendo conto delle circostanze concrete.
L’onere probatorio si articola su più livelli. L’amministratore deve fornire elementi che attestino:
- l’adozione di misure organizzative adeguate per il monitoraggio della situazione fiscale;
- la tempestiva rilevazione di eventuali criticità;
- l’attivazione di procedure volte a garantire il corretto adempimento degli obblighi tributari.
Verso un nuovo equilibrio tra tutela erariale e responsabilità gestoria
La sentenza della Corte di Giustizia si inserisce in un contesto di progressiva armonizzazione delle discipline nazionali in materia di responsabilità fiscale. Il messaggio è chiaro: gli Stati membri possono adottare meccanismi di responsabilità solidale per garantire la riscossione dell’IVA, ma devono prevedere adeguate clausole di salvaguardia per gli amministratori diligenti.
Nella prassi applicativa, sarà fondamentale definire con precisione i criteri per valutare la diligenza dell’amministratore. Non basterà invocare genericamente la buona gestione, ma occorrerà dimostrare concrete iniziative volte a preservare la capacità della società di adempiere agli obblighi fiscali.
La pronuncia sollecita una riflessione più ampia sul ruolo degli amministratori nella compliance fiscale aziendale. In un sistema sempre più orientato alla prevenzione delle crisi d’impresa, la corretta gestione degli adempimenti tributari diventa elemento essenziale della diligenza gestoria.