La normativa fiscale relativa ai premi sportivi ha subito una profonda trasformazione con l’entrata in vigore della riforma del lavoro sportivo. L’Agenzia delle Entrate ha recentemente fornito importanti chiarimenti attraverso la consulenza giuridica n. 956-69/2024, pubblicata dalla Federazione Italiana Sport Equestri, delineando un quadro interpretativo che presenta ancora numerose complessità operative e interpretative. L’evoluzione normativa testimonia la volontà del legislatore di razionalizzare un settore caratterizzato da una notevole frammentazione delle fonti, tuttavia l’esperienza applicativa rivela la persistenza di zone d’ombra che richiedono un’analisi sistematica e approfondita.
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Il quadro normativo di riferimento e le sue implicazioni sistematiche
Il D.Lgs. 36/2021 ha ridisegnato completamente l’architettura fiscale del settore sportivo, introducendo una distinzione fondamentale tra compensi derivanti da rapporti di lavoro sportivo veri e propri e i premi erogati in assenza di tali rapporti. Questa distinzione, che può sembrare meramente teorica, ha in realtà ripercussioni pratiche molto concrete sulla determinazione del carico fiscale e sulla configurazione degli obblighi tributari dei soggetti coinvolti.
La normativa prevede che il lavoro sportivo possa essere esercitato in tre diverse forme: lavoro subordinato, lavoro autonomo o collaborazione coordinata e continuativa, come disciplinato dall’art. 25, comma 2 del decreto citato. Questo principio generale, che nella prassi si rivela significativamente più complesso di quanto possa apparire dalla mera lettura del testo normativo, costituisce il punto di partenza per ogni valutazione fiscale e rappresenta il presupposto logico-giuridico per la corretta applicazione delle disposizioni tributarie.
L’introduzione della riforma ha comportato l’abrogazione della precedente disciplina contenuta nell’art. 67, comma 1, lettera m) del TUIR, che annoverava i premi sportivi tra i redditi diversi. Tale abrogazione non è meramente tecnica, ma rappresenta una scelta di politica fiscale orientata verso una maggiore organicità del sistema tributario applicabile al settore sportivo, con l’obiettivo di superare le precedenti incertezze interpretative che caratterizzavano il trattamento fiscale di tali erogazioni.
La disciplina della ritenuta del 20% e i suoi presupposti applicativi
L’articolo 36, comma 6-quater del D.Lgs. 36/2021 stabilisce che le somme versate a titolo di premio per i risultati ottenuti nelle competizioni sportive sono soggette a ritenuta a titolo d’imposta del 20%, ai sensi dell’art. 30, comma 2 del DPR 600/73. La ratio di tale disposizione si inquadra nell’ambito di un sistema di tassazione alla fonte che mira a semplificare gli adempimenti fiscali per i percettori, esonerando al contempo questi ultimi dall’obbligo di dichiarare tali somme nella dichiarazione dei redditi.
Tuttavia, l’applicazione di questa regola è subordinata alla sussistenza di specifiche condizioni che devono essere verificate caso per caso. I premi soggetti alla ritenuta del 20% devono essere erogati esclusivamente da soggetti tassativamente identificati dalla norma: Associazioni e società sportive dilettantistiche. La limitazione soggettiva non è casuale, ma risponde alla volontà del legislatore di circoscrivere l’applicazione del regime agevolativo ai soggetti che operano istituzionalmente nel settore sportivo. Per premi corrisposti direttamente dalla Federazione, in occasione di manifestazioni sportive ippiche, si ritiene che i premi debbano essere assoggettati a ritenuta nella misura del 4 per cento secondo la disciplina speciale prevista dal combinato disposto dell’articolo 5 del decreto legge n. 417 del 1991 e dell’articolo 28, comma 2, del d.P.R. n. 600 del 1973. La ritenuta deve essere applicata a titolo di acconto con riguardo a percipienti che esercitano attività di impresa, e a titolo di imposta per tutti gli altri soggetti.
Inoltre, è necessario che l’erogazione avvenga nei confronti di propri tesserati che rivestano la qualifica di atleti e tecnici operanti nell’area del dilettantismo.
I premi erogati nell’ambito di rapporti di lavoro sportivo
Particolarmente rilevante è la distinzione operata dall’Agenzia delle Entrate tra premi di natura aleatoria e premi “contrattualizzati”. Nel primo caso, si tratta di somme erogate unilateralmente dall’ente sportivo, senza alcuna previsione contrattuale specifica e caratterizzate da una natura essenzialmente aleatoria, dipendendo dal conseguimento di risultati sportivi incerti e non predeterminati. Nel secondo caso, invece, il premio costituisce parte variabile della retribuzione fissata nel contratto di lavoro sportivo, configurandosi come elemento accessorio ma strutturale del rapporto contrattuale.
Quando il premio è contrattualizzato, esso non beneficia della ritenuta del 20% prevista dall’art. 36, comma 6-quater, ma segue il regime fiscale applicabile al tipo di rapporto di lavoro sportivo in essere. Questo significa che dovrà essere assoggettato a tassazione unitamente alla parte fissa della retribuzione, secondo le regole della categoria reddituale di appartenenza, con le conseguenti implicazioni in termini di obblighi dichiarativi e contributivi.
La distinzione tra le due tipologie di premi non è sempre agevole nella pratica applicativa, richiedendo un’attenta valutazione della sostanza economica dell’operazione oltre che della sua forma giuridica. L’Agenzia delle Entrate ha chiarito che la qualificazione dipende dalla natura dell’erogazione e non dalla denominazione utilizzata dalle parti, principio che trova riscontro nella consolidata giurisprudenza tributaria in tema di qualificazione dei redditi.
Disciplina applicabile ai premi erogati da soggetti non compresi nell’ordinamento sportivo
Un aspetto che merita particolare attenzione riguarda i premi corrisposti da soggetti diversi da quelli indicati nell’art. 36, comma 6-quater del D.Lgs. 36/2021. Le imprese individuali, le società commerciali e gli enti diversi da ASD e SSD che erogano premi nell’ambito della propria attività commerciale devono applicare la ritenuta secondo la rilevanza reddituale che il premio assume per il percipiente, conformemente alle disposizioni generali del DPR 600/73.
Tale disciplina comporta che i premi erogati da questi soggetti seguano il regime fiscale ordinario applicabile ai compensi corrisposti in ragione dell’attività svolta dal percipiente. Pertanto, se il premio è corrisposto a un lavoratore autonomo dotato di partita IVA, sarà soggetto alla ritenuta del 20% prevista per i compensi di lavoro autonomo, mentre se è corrisposto a un lavoratore dipendente, sarà assoggettato alle ritenute IRPEF secondo le aliquote progressive.
La casistica comune presenta spesso situazioni ibride, dove il confine tra premio e compenso diventa particolarmente labile. È opportuno notare che la qualificazione giuridica dell’erogazione non dipende esclusivamente dalla denominazione utilizzata dalle parti, ma dalla sostanza economica dell’operazione e dal contesto in cui si inserisce il rapporto tra erogante e percipiente.
La rilevanza ai fini IVA dei premi sportivi
La disciplina IVA dei premi sportivi presenta profili di notevole criticità che richiedono un’analisi caso per caso, tenendo conto della natura giuridica del rapporto intercorrente tra le parti. Il premio può assumere rilevanza ai fini IVA quando il lavoratore autonomo dotato di partita IVA si trova in presenza di un rapporto obbligatorio a prestazioni corrispettive, caratterizzato dalla sussistenza di un nesso sinallagmatico tra la prestazione resa e la corresponsione del premio.
Nella pratica professionale si osserva che il premio assume rilevanza IVA principalmente quando è riconosciuto nell’ambito di un contratto di lavoro sportivo, configurandosi come parte del compenso della prestazione di lavoro autonomo esercitata a favore del soggetto erogatore. In tal caso, il premio deve essere assoggettato a imposta al pari dell’intero corrispettivo ricevuto, con l’obbligo per il percipiente di emettere regolare fattura comprensiva dell’IVA.
Diversamente, quando manca tale rapporto sinallagmatico tra l’atleta o il tecnico e l’ente dell’ordinamento sportivo, non sussiste la base imponibile IVA, in quanto l’erogazione assume carattere meramente liberale o di riconoscimento per i risultati conseguiti, senza configurare un corrispettivo per prestazioni rese. La distinzione assume particolare rilevanza pratica, considerando che l’eventuale omessa fatturazione di premi soggetti a IVA può comportare l’applicazione di sanzioni amministrative significative.
I premi erogati in natura e i criteri di valutazione
Un aspetto talvolta sottovalutato nella prassi applicativa riguarda i premi erogati in natura, che presentano specifiche problematiche di carattere valutativo oltre che fiscale. L’art. 9 del TUIR stabilisce che per valore normale si intende “il prezzo o corrispettivo mediamente praticato per i beni e i servizi della stessa specie o similari, in condizioni di libera concorrenza e al medesimo stadio di commercializzazione, nel tempo e nel luogo in cui i beni o servizi sono stati acquisiti o prestati”.
La ritenuta del 20% deve essere applicata sul valore normale del bene in natura conferito a titolo di premio, determinato secondo i criteri stabiliti dalla norma tributaria. Particolare attenzione merita il caso in cui l’attrezzatura tecnica sia fornita dall’azienda sponsor, situazione che richiede di contabilizzare anche l’operazione di sponsorizzazione tecnica come sponsorizzazione “in natura”, con tutti gli adempimenti contabili e fiscali connessi.
La determinazione del valore normale può presentare difficoltà operative, soprattutto quando si tratta di beni di particolare specificità o quando non esiste un mercato di riferimento facilmente identificabile. In tali casi, la prassi amministrativa suggerisce di fare riferimento al prezzo di listino del produttore o, in alternativa, al valore assicurato del bene, purché tale valore sia congruente con i parametri di mercato.
La soglia di esenzione introdotta dal D.Lgs. 33/2025
Il D.Lgs. 33/2025 ha introdotto una significativa novità normativa consistente nell’esenzione dalla ritenuta fiscale per i premi sportivi fino a 300 euro annui. Tale disposizione rappresenta un’importante agevolazione per il settore sportivo dilettantistico, tuttavia la formulazione normativa presenta alcune ambiguità interpretative che stanno generando incertezze operative tra gli operatori del settore.
La norma prevede che “non si applicano le ritenute alla fonte se l’ammontare complessivo delle somme attribuite dal sostituto d’imposta al medesimo soggetto non supera l’importo di 300 euro”. Il reiterato utilizzo della preposizione “a/agli”, in luogo della preposizione “per”, secondo un’interpretazione letterale sembrerebbe indicare che la soglia di 300 euro si riferisca all’importo effettivamente incassato dal beneficiario, vale a dire al valore netto del premio, con conseguente limite lordo teoricamente fissato a 375 euro.
Tuttavia, tale interpretazione appare discutibile dal punto di vista sistematico, in quanto la soglia di esenzione dovrebbe logicamente riferirsi all’importo lordo erogato, su cui eventualmente calcolare la ritenuta. La questione interpretativa assume particolare rilevanza pratica, considerando che la corretta determinazione della soglia influisce direttamente sugli obblighi di ritenuta dei sostituti d’imposta.
Problematiche applicative e prospettive interpretative
L’evoluzione normativa in materia di premi sportivi evidenzia la volontà del legislatore di razionalizzare un settore caratterizzato da una notevole frammentazione normativa e da significative incertezze interpretative. Tuttavia, l’esperienza applicativa dimostra che permangono zone d’ombra che richiedono ulteriori chiarimenti da parte dell’Amministrazione finanziaria.
Tra le principali criticità ricorrenti si segnalano la distinzione tra premi aleatori e compensi di risultato, i meccanismi di coordinamento tra diverse fonti normative e le modalità di recupero delle ritenute eventualmente versate in eccesso. La giurisprudenza amministrativa ha recentemente sottolineato l’importanza di una valutazione sostanziale piuttosto che meramente formale nella qualificazione dei premi sportivi, principio che dovrebbe guidare l’interpretazione della normativa anche nelle sue future evoluzioni.
Particolare attenzione merita la questione del coordinamento tra la disciplina nazionale e quella comunitaria, soprattutto con riferimento ai premi corrisposti a soggetti non residenti. L’Agenzia delle Entrate ha chiarito che la ritenuta del 20% si applica anche ai premi corrisposti a soggetti non residenti, salva l’eventuale applicazione delle convenzioni contro le doppie imposizioni, ma permangono dubbi interpretativi circa l’applicazione pratica di tale principio.
Adempimenti procedurali e responsabilità dei sostituti d’imposta
I sostituti d’imposta che erogano premi sportivi devono assolvere a specifici obblighi procedurali che assumono carattere vincolante e la cui violazione può comportare l’applicazione di sanzioni amministrative. Gli adempimenti comprendono l’obbligo di operare la ritenuta del 20% sull’importo del premio, versare la ritenuta all’Erario tramite modello F24 utilizzando il codice tributo 1040, rilasciare la Certificazione Unica al percipiente e presentare il modello 770 con l’indicazione dei premi erogati.
È fondamentale che i sostituti d’imposta comprendano che la responsabilità per l’applicazione della corretta disciplina fiscale ricade interamente su di loro, indipendentemente dalla qualificazione attribuita dalle parti al rapporto. La giurisprudenza tributaria ha costantemente affermato che il sostituto d’imposta risponde personalmente dell’omessa o insufficiente ritenuta, anche quando l’errore derivi da una errata qualificazione giuridica del rapporto.
La complessità degli adempimenti richiede un’attenta valutazione preliminare della natura giuridica dell’erogazione e del regime fiscale applicabile, considerando che le diverse tipologie di premi possono essere soggette a trattamenti tributari differenziati. In tale contesto, assume particolare rilevanza la necessità di una corretta documentazione delle operazioni, che consenta di dimostrare la conformità del comportamento tenuto rispetto alle previsioni normative.