La Corte di Cassazione, con ordinanza n. 8130/2025 del 27 marzo 2025, torna a pronunciarsi sulle operazioni soggettivamente inesistenti stabilendo un principio fondamentale: la tracciabilità dei pagamenti e la regolarità formale delle fatture non costituiscono prova sufficiente dell’effettiva esistenza delle operazioni commerciali. La decisione ribadisce che tali elementi rappresentano piuttosto componenti essenziali del meccanismo fraudolento stesso.
Profili introduttivi della fattispecie giuridica
La vicenda prende avvio da un accertamento dell’Agenzia delle entrate nei confronti di una società a responsabilità limitata, cui veniva contestato il disconoscimento di costi relativi a operazioni ritenute soggettivamente inesistenti. Dopo aver ottenuto pronunce favorevoli nei primi due gradi di giudizio, la società si è vista cassare la sentenza d’appello dalla Suprema Corte.
La questione centrale verte sulla corretta valutazione degli elementi presuntivi e sull’applicazione dell’articolo 2729 del codice civile, che richiede la sussistenza di indizi gravi, precisi e concordanti per la formazione della prova presuntiva.
Distinzione tecnica tra operazioni oggettivamente e soggettivamente inesistenti
Nel panorama tributario italiano, la distinzione assume rilevanza determinante per il trattamento fiscale delle operazioni. Le operazioni oggettivamente inesistenti rappresentano transazioni mai verificatesi nella realtà materiale, mentre le operazioni soggettivamente inesistenti configurano transazioni realmente avvenute, ma tra soggetti diversi da quelli indicati nella documentazione fiscale.
Tale differenziazione incide profondamente sulla deducibilità dei costi ai fini delle imposte dirette e sulla detraibilità dell’IVA ex DPR n. 633/1972, generando effetti sostanzialmente divergenti a seconda della tipologia di operazione considerata.
Ripartizione dell’onere probatorio: aspetti processuali
L’Amministrazione finanziaria deve dimostrare non solo la fittizietà del fornitore, ma anche e soprattutto la consapevolezza del destinatario circa l’inserimento dell’operazione in un meccanismo di evasione fiscale. Come evidenziato dalla giurisprudenza unionale e nazionale, occorre provare che il cessionario “sapeva o avrebbe dovuto sapere” della natura fraudolenta dell’operazione, utilizzando l’ordinaria diligenza richiesta a un operatore economico prudente.
Elementi indiziari rilevanti
Nella prassi giudiziaria, assumono particolare rilievo elementi quali la prossimità geografica tra i soggetti e la ripetitività dei rapporti commerciali. Parimenti significative risultano l’assenza di strutture operative del fornitore, le gravi omissioni contabili e dichiarative nonché la mancanza di mezzi e personale per l’esecuzione delle prestazioni.
Criteri di valutazione della diligenza dell’operatore economico
Il contribuente deve dimostrare di aver adoperato la massima diligenza esigibile secondo parametri di ragionevolezza e proporzionalità . Nella valutazione concreta, i giudici considerano le circostanze spazio-temporali dell’operazione, la qualifica professionale del soggetto e gli standard di comportamento dell’imprenditore accorto.
È importante sottolineare come la Cassazione abbia escluso la rilevanza di elementi quali la mancanza di benefici economici dalla rivendita delle merci o la regolarità formale dei pagamenti, ritenuti invece coessenziali al meccanismo fraudolento.
Implicazioni pratiche della pronuncia
La sentenza in commento rappresenta un importante precedente giurisprudenziale per gli operatori del settore. Le imprese dovranno implementare procedure di verifica più stringenti prima di instaurare rapporti commerciali, documentando adeguatamente le verifiche effettuate sulla controparte contrattuale, gli elementi di valutazione dell’affidabilità del fornitore e le misure di controllo adottate durante il rapporto commerciale.