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Omesso versamento imposte

Omesso versamento imposte: come funziona la nuova causa di non punibilità

13 Ottobre, 2025

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Con l’ingresso del comma 3-bis nell’articolo 13 del Decreto Legislativo n. 74/2000, il panorama della responsabilità penale tributaria ha subito una trasformazione che merita attenzione. La disposizione, frutto della riforma fiscale attuata con il D.Lgs. n. 87/2024, introduce un’ipotesi di esclusione della punibilità quando l’inadempimento derivi da circostanze sopravvenute e non attribuibili al soggetto obbligato.

🕒 Cosa sapere in un minuto

  • Dal 2024, la nuova causa di non punibilità per omesso versamento imposte (D.Lgs. 87/2024) si applica solo se la crisi di liquidità è dovuta a eventi sopravvenuti e non imputabili all’autore.
  • La norma copre IVA e ritenute, vale anche retroattivamente per fatti precedenti al 29 giugno 2024.
  • L’imputato deve provare con documentazione specifica che la crisi sia non transitoria e successiva agli incassi.
  • La giurisprudenza fissa limiti rigorosi: la crisi dovuta a insolvenza di terzi o mancati pagamenti da PA è rilevante solo se sopravvenuta e documentata.
  • La norma è destinata ad essere abrogata dal 1° gennaio 2026, ma resta applicabile ai fatti avvenuti nel periodo di vigenza.

Le origini del sistema sanzionatorio tributario penale

Occorre ripercorrere, sia pur brevemente, l’iter che ha condotto all’attuale assetto normativo. L’articolo 9 della Legge n. 205 del 1999 aveva conferito al Governo la delega per riscrivere integralmente la disciplina dei reati fiscali. Quella riforma segnò il definitivo superamento del vecchio sistema della Legge n. 516/1982.

Nella sua formulazione iniziale, il Decreto n. 74/2000 contemplava unicamente le ipotesi fraudolente e le dichiarazioni infedeli od omesse. Gli omessi versamenti? Non erano nemmeno previsti. La Relazione Illustrativa del provvedimento risultava esplicita su questo punto: il semplice inadempimento dell’obbligazione tributaria – una volta assolta correttamente la dichiarazione – non doveva più rilevare sul piano penale.

Il ritorno degli omessi versamenti nella sfera penale

Eppure, la storia normativa italiana ha dimostrato ben altra tendenza. Nel 2005, con la Legge n. 311/2004, ricompare l’articolo 10-bis che sanziona penalmente l’omesso versamento delle ritenute certificate. Come se non bastasse, nel 2006 arriva anche l’articolo 10-ter (tramite il Decreto-Legge n. 223, noto come “Decreto Prodi”), dedicato stavolta all’IVA non versata. E poi l’articolo 10-quater sulle indebite compensazioni.

Tre disposizioni. Nove modifiche complessive nel tempo. Due sentenze della Corte Costituzionale (la n. 80/2014 e la n. 175/2022) che hanno dichiarato illegittimità costituzionali. Un quadro piuttosto movimentato, va detto.

Quando la crisi di liquidità incontra il diritto penale

La giurisprudenza non ha facilitato le cose. Basti pensare all’ordinanza della Cassazione n. 30679 del 2022: secondo quel pronunciamento, la forza maggiore andava intesa in senso strettamente penalistico. Doveva trattarsi di un evento assolutamente imprevedibile, capace di annullare completamente la volontà del soggetto. E qui arriva il punto dolente: la crisi di liquidità derivante dai mancati pagamenti delle Pubbliche Amministrazioni? «Prevedibile», hanno stabilito i giudici. Quindi irrilevante ai fini dell’esclusione della colpevolezza.

La Cassazione, sezione III, con sentenza n. 33430 depositata nel luglio 2023, è andata anche oltre. Secondo quel ragionamento, il mancato incasso dell’IVA dai clienti inadempienti rientra nel normale rischio d’impresa. L’obbligo di versamento sussiste a prescindere dall’effettivo incasso delle somme. Il contribuente avrebbe dovuto utilizzare lo storno dai ricavi.

La svolta della Legge delega n. 111/2023

Nell’estate 2023 interviene la delega fiscale. L’articolo 20, comma 1, lettera b), numero 1, fissa tra gli obiettivi quello di “attribuire specifico rilievo all’ipotesi di sopravvenuta impossibilità di far fronte al pagamento del tributo, non dipendente da fatti imputabili al soggetto stesso”.

Il D.Lgs. n. 87/2024 dà attuazione a questo principio con l’introduzione del comma 3-bis all’art. 13 del D.Lgs. n. 74/2000. Il testo prevede che i reati contemplati dagli articoli 10-bis (ritenute) e 10-ter (IVA) non sono punibili quando il fatto dipenda da cause non imputabili all’autore, sopravvenute rispettivamente all’effettuazione delle ritenute o all’incasso dell’imposta sul valore aggiunto.

La norma specifica ulteriormente: il giudice deve considerare la crisi non transitoria di liquidità dovuta a crediti inesigibili per insolvenza o sovraindebitamento altrui, oppure ai mancati pagamenti da parte delle amministrazioni pubbliche. E deve valutare anche la non esperibilità di azioni idonee per superare quella crisi.

L’interpretazione restrittiva della giurisprudenza

Gli effetti pratici della nuova disposizione si sono manifestati rapidamente. La Cassazione penale, sezione III, con sentenza n. 30532 del luglio 2024, ha annullato con rinvio una condanna per omesso versamento IVA. Il caso riguardava un rappresentante legale di società fornitrice dell’ex ILVA, impossibilitata a incassare i crediti nonostante le azioni legali intraprese.

Ma è la sentenza n. 16526 depositata nel maggio 2025 (udienza di aprile) a delineare con precisione il perimetro applicativo della causa di non punibilità. Si consideri che questa pronuncia è destinata probabilmente a fare giurisprudenza.

I paletti fissati dalla Cassazione

La Corte ha stabilito alcuni principi operativi piuttosto stringenti:

  • Primo aspetto: la retroattività. La causa di non punibilità si applica anche ai fatti anteriori all’entrata in vigore della norma (29 giugno 2024), ai sensi dell’articolo 2, comma 4, del codice penale. È una norma sostanziale più favorevole, quindi retroagisce.
  • Secondo aspetto, più delicato: l’onere probatorio grava sull’imputato. Non basta una generica allegazione di difficoltà economiche. Occorre indicare specificamente quali siano le cause non imputabili che hanno determinato la crisi di liquidità. E soprattutto dimostrare che tali cause sono sopravvenute – quindi successive – all’incasso dell’IVA o all’effettuazione delle ritenute. La non transitorietà della crisi va ugualmente provata.
  • Terzo principio: se la crisi preesiste all’incasso, la causa di non punibilità non opera. Quella situazione rientra nel rischio d’impresa, secondo i giudici.
  • Quarto elemento: serve prova documentale puntuale. Dichiarazioni generiche non bastano. Bisogna fornire elementi concreti che dimostrino la sopravvenienza della crisi e l’impossibilità di evitarla.

Le situazioni concrete di applicabilità

Quando può dunque trovare applicazione questa causa di non punibilità? Ipotizziamo il caso di un’impresa che, dopo aver incassato l’IVA dai clienti nel trimestre (o effettuato le ritenute sui dipendenti), si trovi improvvisamente in crisi di liquidità per il fallimento inaspettato del proprio principale debitore. Se questo fallimento è documentato, se è sopravvenuto dopo l’incasso delle somme, se ha creato una crisi durevole e non meramente transitoria, allora potrebbe sussistere lo spazio per invocare la nuova disposizione.

Oppure si pensi all’impresa creditrice nei confronti di amministrazioni pubbliche che, dopo ripetute diffide e malgrado l’avvio di procedure legali, non riesca a ottenere il pagamento di crediti certi ed esigibili. Anche qui, se la situazione si manifesta successivamente agli incassi IVA o alle ritenute effettuate, potrebbe configurarsi la causa di non punibilità.

Ma attenzione: l’onere probatorio resta rigoroso. Non è sufficiente dimostrare che la pubblica amministrazione non ha pagato. Bisogna provare che quella situazione ha generato una crisi non transitoria, che si è tentato ogni rimedio esperibile, che l’inadempimento è sopravvenuto in un momento successivo rispetto all’obbligo di versamento.

Le difficoltà applicative nella prassi

Nella pratica professionale quotidiana, gli spazi difensivi appaiono piuttosto angusti. La lettura fornita dalla Cassazione impone una documentazione dettagliata e una ricostruzione cronologica precisa degli eventi. Si deve dimostrare che l’imprenditore ha agito con la massima diligenza, ha tentato tutte le strade possibili per recuperare i crediti, ha cercato forme di finanziamento alternative.

E c’è un ulteriore aspetto che complica le cose: il giudice dovrà verificare che l’amministratore della società non abbia “scelto” di privilegiare altri creditori rispetto all’Erario. Se risulta che sono stati effettuati pagamenti ad altri soggetti nel periodo critico, la causa di non punibilità difficilmente potrà essere invocata.

Come spesso accade, le fattispecie astratte previste dalla legge si scontrano con la complessità delle situazioni concrete. L’impresa in crisi raramente si trova nella condizione idealtipica prevista dalla norma: solitamente presenta una molteplicità di debitori inadempienti, crediti parzialmente recuperabili, flussi di cassa discontinui.

Scenari futuri e consolidamento giurisprudenziale

Occorrerà attendere che la giurisprudenza si sedimenti ulteriormente. Le sentenze che verranno depositate nei prossimi mesi chiariranno meglio i confini applicativi della disposizione. È possibile che si assista a interpretazioni più o meno estensive a seconda delle diverse sezioni dei tribunali.

Alcuni interpreti ritengono che la riforma abbia paradossalmente ristretto gli spazi difensivi rispetto al passato, imponendo oneri probatori così gravosi da risultare quasi insostenibili nella pratica. Altri sostengono invece che, almeno per i casi più evidenti di crisi sopravvenuta e documentata, si sia finalmente aperta una possibilità concreta di difesa.

La norma ha avuto una vita breve: vigente dal 29 giugno 2024 al 1° gennaio 2026, è stata poi abrogata dall’articolo 101, comma 1, lettera cc, del D.Lgs. n. 173/2024. Resta però applicabile, per effetto della retroattività, a tutti i fatti commessi nel periodo di sua vigenza.

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