Il Consiglio dei Ministri dell’8 ottobre 2025 ha dato il via libera a una modifica complessiva della disciplina civilistica relativa all’amministrazione delle società di capitali. Uno schema di decreto legislativo tocca il cuore dei meccanismi organizzativi: la Sezione VI bis del Capo V del Codice civile. La spinta legislativa? Dare alle imprese italiane maggiore flessibilità nella scelta del proprio assetto gestionale, operazione che dovrebbe renderle più attraenti anche agli occhi degli investitori stranieri.
🕒 Cosa sapere in un minuto
- I tre sistemi di governance per società di capitali (tradizionale, dualistico, monistico) hanno ora pari dignità e regolamentazione autonoma.
- A seguito della riforma del Codice civile (art. 2380), lo statuto deve scegliere tra questi 3 modelli in modo consapevole, senza gerarchie sottese.
- Responsabilità degli amministratori (specie non esecutivi): valutazione basata sulle informazioni consiliari ricevute e sulle specifiche competenze professionali.
- Le società che modificano sistema applicano la nuova governance dalla riunione di approvazione del bilancio dell’esercizio successivo alla delibera.
- Flessibilità, trasparenza delle regole, e attrattività crescente per investitori internazionali, soprattutto per le PMI.
Il passaggio verso l’equilibrio tra i modelli
Per anni il sistema tradizionale ha dominato il panorama normativo. Quella combinazione tra consiglio di amministrazione e collegio sindacale era la soluzione di base, quella che scattava automaticamente se il legislatore silenzioso. Le cose, però, stavolta cambiano veramente. Il nuovo articolo 2380 del Codice civile non parla più di un modello da default. Lo statuto dovrà fare una scelta consapevole tra tre alternative di governance società di capitali, secondo quanto delineato nei successivi paragrafi della disposizione. Ogni opzione avrà ora una sua regolamentazione autonoma e completa.
Cosa vuol dire concretamente? Prima esisteva una gerarchia sottesa, un’impostazione che vedeva gli altri sistemi come quasi-eccezioni rispetto a una norma preferenziale. Oggi il legislatore riconosce pari rilevanza ai tre modelli alternativi: i) il sistema tradizionale; ii) il sistema dualistico; iii) il sistema monistico. Ciascuno con i suoi tratti distintivi, la sua logica interna, la sua funzione specifica.
I tre pilastri della nuova governance: quali sono le differenze
Il modello tradizionale si compone del consiglio di amministrazione—organo cui spetta la gestione operativa—e del collegio sindacale, preposto al controllo interno. Accanto, ci sono i revisori legali per il controllo contabile. È la struttura più nota, quella che gli operatori ancora oggi considerano la soluzione “classica”. Mantiene solidi vantaggi in termini di separazione tra funzione gestoria e funzione di vigilanza.
Il sistema dualistico, spesso meno diffuso nel panorama italiano, prevede invece due organismi con ruoli distinti: il consiglio di gestione gestisce l’attività d’impresa, il consiglio di sorveglianza nomina i gestori e controlla le loro azioni. Non esiste un collegio sindacale in senso tradizionale. Il controllo contabile resta affidato a revisori esterni. Questo schema, importato da ordinamenti come quello tedesco, crea una specializzazione più marcata tra funzione gestoria e funzione di controllo.
Il modello monistico, infine, concentra tutto in un unico consiglio di amministrazione al cui interno opera però un apposito comitato incaricato dei compiti di controllo sulla gestione. Non c’è un organo sindacale separato né tantomeno un consiglio di sorveglianza. La struttura risulta più snella, spesso gradita dalle piccole e medie imprese che cercano efficienza operativa.
Verso una regolamentazione più trasparente
La vera discontinuità sta nella qualità della disciplina. Prima, quando mancavano specifiche previsioni sui sistemi dualistico e monistico, si ricorreva spesso a rimandi al sistema tradizionale. Una soluzione pratica ma potenzialmente fonte di frizioni interpretative. Ora il legislatore provvede altrimenti: afferma che ogni sistema ha proprie regole complete. Non più rinvii normativi, non più lacune da colmare con ragionamenti per analogia. Ognuno dei tre modelli trova in questi paragrafi (paragrafo 2, paragrafo 3, paragrafo 4) una disciplina esaustiva e autonoma.
Da notare che i cambiamenti non si limitano al dato puramente organizzativo. Accanto all’eliminazione dei rimandi alle norme del sistema tradizionale, il decreto introduce modifiche trasversali. Una di queste riguarda la responsabilità degli amministratori non esecutivi: una questione cruciale in tema di governance società di capitali. La norma novellata vuole chiarire come debbano comportarsi questi soggetti e quale sia il loro grado di responsabilità rispetto alle decisioni assunte sulla base delle informazioni fornite loro.
Il ruolo dell’informazione consiliare
Non è un dettaglio marginale. La nuova disciplina si sofferma lungamente sul flusso informativo all’interno degli organi amministrativi. Chi presiede il consiglio ha il dovere di assicurare che tutti i consiglieri ricevano documentazione adeguata sugli argomenti iscritti all’ordine del giorno. È una responsabilità che grava sulla presidenza. Quello che emerge dalla relazione illustrativa del decreto è il principio fondamentale per cui ogni amministratore, specie se privo di deleghe operative, può contare sulla qualità dell’informazione ricevuta. Proprio su questa base egli assumerà la propria responsabilità.
Qui sta un aspetto spesso sottovalutato nella prassi professionale: gli amministratori non esecutivi possono operare assumendosi la responsabilità “alla luce delle informazioni disponibili”, ma il livello di diligenza atteso da loro aumenta laddove possiedano competenze specifiche su determinate materie. Se un consigliere ha background in finanza ed esamina il bilancio, da lui ci si aspetta una valutazione più approfondita rispetto a un collega senza tale expertise. Questo discorso si ricollega al principio della diligenza qualificata: non basta agire genericamente in “buona fede”, occorre modulare lo sforzo in ragione del ruolo e delle capacità personali.
Modifiche ai tempi di transizione
Un punto pratico merita attenzione: le società che decidono di passare da un sistema di governance a un altro non vedono effetto immediato della scelta. Quando l’assemblea delibera il cambiamento, questo diventa operativo a partire dalla data della riunione dell’organo amministrativo convocato per approvare il bilancio dell’esercizio successivo. Una decisione saggia: evita fratture organizzative durante l’esercizio in corso, garantisce una transizione ordinata. Se un’impresa delibera oggi il passaggio dal sistema tradizionale a quello monistico, il cambio scatterà soltanto nel corso dell’anno prossimo, al momento della riunione di bilancio.
La disciplina generale degli amministratori
Cosa si applicava prima? Norme piuttosto generali sulla figura dell’amministratore erano contenute nel paragrafo 2, insieme con tutte le specifiche del sistema tradizionale. Il nuovo decreto legislativo, nella sua logica di separazione, ha collocato quella disciplina generale nel paragrafo 1. Qui troviamo le disposizioni applicabili indistintamente a tutti e tre i sistemi. Tra queste, anche le norme sulla revisione legale dei conti: il decreto utilizza un nuovo articolo (2396-novies) per ricordare che la revisione legale rimane un obbligo strutturale, con modalità variabili in base al sistema scelto.
Una tabella riepilogativa dei tre modelli
| Aspetto | Sistema tradizionale | Sistema dualistico | Sistema monistico |
|---|---|---|---|
| Organo gestorio | Consiglio di amministrazione | Consiglio di gestione | Consiglio di amministrazione |
| Organo di controllo | Collegio sindacale | Consiglio di sorveglianza | Comitato interno |
| Nomina gestori | Assemblea | Consiglio di sorveglianza | Assemblea |
| Separazione gestione-controllo | Netta | Netta | Interna al consiglio |
| Revisione contabile | Revisore esterno | Revisore esterno | Revisore esterno |
| Complessità organizzativa | Media | Alta | Bassa |
Implicazioni per le società già costituite
Le società attuali, specialmente quelle di grande dimensione, non subiscono obblighi improvvisi. Lo statuto vigente continuerà a regolare il sistema adottato sino a quando l’assemblea non deliberi una modifica. Chi oggi è in regime tradizionale rimane tale, salvo decisione contraria. Il decreto però apre spazi di libertà sino ad allora limitati: una SpA che negli anni passati non aveva mai considerato il modello dualistico o monistico ora può rivalutare la scelta, almeno da un profilo teorico. Le fattispecie concrete dipenderanno dalla natura dell’impresa, dalle logiche di governance preferite dagli azionisti, dalla complessità operativa.
Le questioni ancora aperte
Non tutto è risolto dalla normativa. La prassi professionale dovrà misurarsi con alcuni profili lasciati ancora incerti. Ad esempio: come si applicano le norme sulla responsabilità degli amministratori non esecutivi nei sistemi dualistico e monistico? Il decreto chiarisce il principio generale, ma l’interpretazione concreta sarà progressivamente cristallizzata dalla giurisprudenza e dagli orientamenti dottrinali. La questione delle incompatibilità e delle cause di decadenza, seppur regolamentata, presenterà margini di dibattito negli anni prossimi.
Ulteriore criticità: come coordinare il diritto dell’Unione Europea (che impone standard specifici per le società quotate) con questa nuova flessibilità costruita attorno ai tre modelli? Le società ammesse alla negoziazione seguono regimi specifici derivanti dalla trasposizione di direttive comunitarie. Lo spazio di libertà della disciplina civilistica si arresta dove iniziano gli obblighi dei regolamenti europei.
Prospettive verso una maggiore attrattività
L’obiettivo del legislatore è chiaro: rendere le società italiane più attraenti. Una base normativa più chiara, modelli di governance più facilmente riconoscibili dai mercati stranieri, poteri meglio definiti per gli amministratori—tutto questo dovrebbe convincere investitori esteri che il sistema italiano non è complicato da gestire. Nel confronto con ordinamenti diversi, una regolamentazione trasparente conta. Gli investitori internazionali leggono gli statuti e guardano come funzionano gli organi societari. Se non trovano chiarezza, indietreggiano.
I profili di responsabilità civile
L’articolo 2392 del Codice civile, nella sua versione novellata dal decreto, pone l’accento sulla diligenza dovuta dagli amministratori: quella genericamente richiesta dalla legge, ma anche quella dovuta in ragione della natura dell’incarico e delle competenze personali. Non è un’innovazione pura, ma una precisazione rilevante. Gli amministratori non esecutivi, in particolare, non possono trincerarsi dietro l’ignoranza se dispongono di competenze specifiche. Un professionista con background tecnico in seno al consiglio deve valutare i profili della sua specializzazione con maggiore rigore rispetto a un collega senza tale expertise.
Il rapporto tra bilanci e revisori
La revisione legale dei conti conserva il suo ruolo centrale, indipendentemente dal modello scelto. Ma cambia la dialettica tra organi diversi: nel sistema tradizionale il collegio sindacale e il revisore legale collaborano, nel sistema dualistico il consiglio di sorveglianza segue il revisore, nel sistema monistico il comitato per il controllo gestionale esercita questa supervisione. Nulla cambia nel requisito dell’indipendenza professionale dei revisori, né cambiano i loro doveri verso la società e i soci.
Opportunità per le piccole e medie imprese
Le Pmi potrebbero trarre vantaggio dal sistema monistico. Meno organi, meno formalità, maggiore velocità decisionale. Il trade-off è naturalmente una minore separazione tra gestione e controllo: il consiglio esercita ambedue le funzioni. Non è una soluzione per società quotate, ma per molte realtà medie rappresenta un’alternativa seria al modello tradizionale ormai quasi obbligatorio in passato.



