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Legge di Bilancio 2026

Legge di Bilancio 2026: via libera al DPB, il testo atteso per il 17 ottobre

15 Ottobre, 2025

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Il pomeriggio del 14 ottobre 2025 ha segnato un passaggio cruciale nell’iter di approvazione della manovra finanziaria per il triennio 2026-2028. Il Consiglio dei Ministri, riunitosi a Palazzo Chigi, ha licenziato il Documento programmatico di Bilancio (DPB), rispettando la scadenza imposta dalla normativa europea che impone la trasmissione alla Commissione entro il 15 ottobre di ogni anno. Un appuntamento ineludibile per gli Stati membri, che devono sottoporre a Bruxelles le proprie previsioni di bilancio prima dell’approvazione definitiva delle rispettive leggi finanziarie. La seduta del Consiglio, tuttavia, non ha portato all’approvazione del disegno di legge vero e proprio. Il Ministro dell’Economia e delle Finanze, Giancarlo Giorgetti, si è limitato a illustrare le linee generali di una manovra che mobiliterà risorse per circa 18 miliardi di euro nel triennio, rinviando l’esame del testo articolato a una successiva riunione dell’Esecutivo, convocata per venerdì 17 ottobre.

🕒 Cosa sapere in un minuto

  • Legge di Bilancio 2026: Il DPB è stato approvato, il testo definitivo è atteso per il 17/10; manovra da 18 miliardi per il triennio.
  • IRPEF: Taglio della seconda aliquota dal 35% al 33% (28.000-50.000 €), beneficio fino a 440 € annui per redditi medio-alti.
  • ISEE: Prima casa esclusa o ridotta dal calcolo patrimoniale, nuovi criteri sulle scale di equivalenza e maggiore accesso alle prestazioni sociali.
  • Bonus edilizi: Prorogati per tutto il 2026 (50% abitazione principale, 36% altri immobili).
  • Imprese: Torna il super-ammortamento, proroga triennale credito ZES Unica e Nuova Sabatini rifinanziata per le PMI.
  • Plastic & Sugar tax: Ulteriore rinvio al 2026.
  • Sanità: Incremento pluriennale delle risorse (>23 miliardi in 3 anni), ma restano criticità su personale e tempi d’attesa.
  • Pace fiscale: Nuova rottamazione selettiva: accesso solo ai carichi 2023, esclusi gli evasori totali.
  • Coperture: Rimodulazione PNRR, contributi volontari di banche e assicurazioni, e revisione della spesa.

Il taglio della seconda aliquota IRPEF: una riforma strutturale

L’intervento fiscale che catalizza maggiore attenzione nell’ambito della Legge di Bilancio 2026 riguarda indubbiamente la rimodulazione delle aliquote dell’imposta sul reddito delle persone fisiche. La seconda aliquota, attualmente fissata al 35% per i redditi compresi tra 28.000 e 50.000 euro annui, subirà una contrazione di due punti percentuali, attestandosi al 33%. Non si tratta di un semplice ritocco tecnico, bensì di un intervento strutturale che modificherà in modo permanente il sistema di tassazione sui redditi da lavoro dipendente e assimilati.

L’impatto finanziario della misura è tutt’altro che trascurabile. Secondo le stime elaborate dal Dipartimento delle Finanze, nel corso del triennio 2026-2028 l’alleggerimento del carico fiscale genererà minori entrate per le casse dello Stato quantificabili in circa 9 miliardi di euro complessivi. Una cifra significativa, che assorbe da sola la metà dell’intera dotazione finanziaria della manovra.

La riforma del sistema degli scaglioni IRPEF si inserisce in un percorso già avviato con le precedenti leggi di bilancio, che avevano portato alla riduzione da quattro a tre del numero delle aliquote. L’architettura definitiva del prelievo fiscale sui redditi delle persone fisiche si articolerà quindi secondo il seguente schema:

  • 23% per i redditi fino a 28.000 euro annui (primo scaglione)
  • 33% per i redditi compresi tra 28.000 e 50.000 euro (secondo scaglione)
  • 43% per i redditi superiori a 50.000 euro (terzo scaglione)

È opportuno notare come la riduzione dell’aliquota intermedia comporti benefici fiscali concentrati prevalentemente sui contribuenti con redditi medio-alti all’interno della fascia interessata. Un lavoratore dipendente con un reddito annuo di 40.000 euro, per fare un esempio concreto, vedrà ridursi il proprio carico fiscale di circa 240 euro annui. L’effetto si amplifica per i redditi prossimi alla soglia dei 50.000 euro, dove il risparmio d’imposta può raggiungere i 440 euro annui.

Il Ministero dell’Economia ha ribadito in più occasioni il carattere prioritario di questa misura, inquadrandola all’interno di una strategia di sostegno al potere d’acquisto delle famiglie italiane. La riduzione del cuneo fiscale – questo è l’obiettivo dichiarato – dovrebbe tradursi in maggiore capacità di spesa per i nuclei familiari, con effetti potenzialmente espansivi sui consumi interni.

Resta da valutare, nella prassi applicativa, se l’intervento sarà accompagnato da modifiche al sistema delle detrazioni fiscali o da altri correttivi che potrebbero incidere sul beneficio netto per i contribuenti. Alcuni tecnici del settore hanno evidenziato come la riduzione delle aliquote, se non accompagnata da una revisione organica del sistema delle deduzioni e detrazioni, rischi di produrre effetti distorsivi sulla progressività dell’imposta.

La revisione dell’ISEE: un intervento atteso da tempo

Tra le novità di maggiore impatto sociale contenute nella Legge di Bilancio 2026 figura certamente la revisione della disciplina dell’Indicatore della Situazione Economica Equivalente, lo strumento attraverso cui si misura la condizione economica dei nuclei familiari ai fini dell’accesso alle prestazioni sociali agevolate. La modifica normativa interviene su due aspetti fondamentali: il calcolo del valore patrimoniale immobiliare e le scale di equivalenza utilizzate per ponderare la composizione del nucleo familiare.

L’elemento di maggiore rilevanza riguarda l’esclusione parziale dell’abitazione principale dal computo del patrimonio immobiliare ai fini ISEE. Secondo quanto emerso dalle prime indiscrezioni, il valore catastale della prima casa non concorrerà più – o concorrerà solo in misura ridotta – alla determinazione dell’indicatore. Si tratta di una modifica che la prassi applicativa attendeva da tempo, considerando come nella prassi amministrativa il valore degli immobili avesse assunto un peso sproporzionato rispetto alle effettive disponibilità economiche delle famiglie.

La ratio dell’intervento appare evidente: favorire l’accesso a prestazioni sociali e agevolazioni per quelle famiglie che, pur disponendo di un immobile di proprietà destinato ad abitazione principale, presentano redditi modesti e limitate disponibilità finanziarie. Una situazione tutt’altro che rara nel contesto italiano, dove la percentuale di proprietà immobiliare è storicamente elevata, ma non sempre correlata a un’adeguata capacità reddituale.

La revisione delle scale di equivalenza costituisce il secondo pilastro della riforma. Le attuali scale, disciplinate dal D.P.C.M. 159/2013 (regolamento concernente la revisione delle modalità di determinazione e i campi di applicazione dell’Indicatore della situazione economica equivalente), verranno ricalibrate per tenere conto in modo più puntuale della composizione dei nuclei familiari, con particolare riferimento alla presenza di minori, persone con disabilità e anziani non autosufficienti.

L’impatto finanziario di questi interventi è stato quantificato dal Ministero in circa 500 milioni di euro annui, una cifra che si inserisce all’interno di uno stanziamento complessivo di 3,5 miliardi nel triennio destinato alle politiche per la famiglia e al contrasto alla povertà. Si consideri che la revisione dell’ISEE produrrà effetti a cascata su un ventaglio amplissimo di prestazioni: dall’assegno unico universale alle agevolazioni per asili nido, dalle borse di studio universitarie fino all’accesso al reddito di cittadinanza (o qualsiasi strumento ne prenderà il posto).

La misura si accompagna a uno stanziamento di 2 miliardi di euro destinato all’adeguamento dei salari rispetto al costo della vita, una richiesta avanzata da tempo dalle organizzazioni sindacali che hanno evidenziato come l’inflazione degli ultimi anni abbia eroso significativamente il potere d’acquisto delle retribuzioni, specialmente nei settori pubblici dove i rinnovi contrattuali hanno accumulato ritardi.

Bonus edilizi: la conferma delle regole 2025 e i nodi irrisolti

Sul fronte delle agevolazioni fiscali per il settore edilizio, la Legge di Bilancio 2026 opta per una soluzione di continuità rispetto al quadro normativo vigente nell’anno in corso. Le detrazioni fiscali per gli interventi di ristrutturazione edilizia, risparmio energetico e riduzione del rischio sismico verranno prorogate per tutto il 2026, mantenendo invariato l’impianto disciplinare già operativo.

La struttura delle aliquote continuerà quindi ad articolarsi su due livelli differenziati:

  • 50% di detrazione per le spese sostenute dal proprietario o dal titolare di diritti reali di godimento (usufrutto, uso, abitazione) sull’abitazione principale. L’aliquota maggiorata rappresenta il riconoscimento della centralità dell’abitazione di residenza nelle politiche di sostegno alle famiglie
  • 36% di detrazione per tutti gli altri casi, vale a dire gli interventi su immobili diversi dall’abitazione principale, su immobili posseduti in nuda proprietà, o su immobili detenuti in locazione

Questa dicotomia, introdotta già nelle precedenti manovre finanziarie, risponde all’esigenza di concentrare le risorse pubbliche sugli interventi che presentano una maggiore valenza sociale, limitando il sostegno fiscale agli investimenti di natura patrimoniale o speculativa. Come spesso accade nella prassi applicativa, tuttavia, la distinzione tra le due fattispecie può generare situazioni di incertezza interpretativa.

La proroga riguarda non solo il cosiddetto “bonus ristrutturazioni” (disciplinato dall’articolo 16-bis del TUIR), ma anche l’ecobonus per gli interventi di riqualificazione energetica e il sismabonus per la riduzione del rischio sismico. Si tratta di agevolazioni che negli ultimi anni hanno registrato un utilizzo massiccio da parte dei contribuenti, generando un impatto significativo sui conti pubblici ma anche un indotto economico rilevante per il settore delle costruzioni.

Misure per le imprese: tra conferme attese e richieste inevase

Il capitolo degli interventi a sostegno del sistema produttivo rappresenta uno dei terreni più delicati della Legge di Bilancio 2026, soprattutto alla luce delle critiche avanzate dalle associazioni di categoria che lamentano la progressiva riduzione degli strumenti agevolativi destinati alle imprese. Il pacchetto di misure delineato dal Governo si articola su più direttrici, con l’obiettivo dichiarato di incentivare gli investimenti in beni strumentali e sostenere la competitività del sistema Italia.

Il super-ammortamento: il ritorno di uno strumento collaudato

L’elemento di maggiore interesse riguarda la reintroduzione di un meccanismo di maggiorazione del costo fiscale di acquisizione dei beni materiali strumentali ai fini del calcolo degli ammortamenti deducibili. Si tratta di uno strumento già sperimentato nelle precedenti manovre (in particolare con il D.L. 201/2011 e successive rimodulazioni), che consente alle imprese di dedurre fiscalmente un ammontare superiore al costo effettivamente sostenuto per l’acquisto dei beni.

La dotazione finanziaria complessiva dell’intervento ammonta a 4 miliardi di euro nel triennio, una cifra significativa che dovrebbe tradursi in un beneficio fiscale diffuso per le imprese che decideranno di investire in macchinari, attrezzature e altri beni ammortizzabili. Secondo quanto previsto dall’art. 102, comma 2 del TUIR, la deduzione degli ammortamenti è normalmente commisurata al costo d’acquisto o di produzione dei beni, ridotto in proporzione alla quota di utilizzo non aziendale. Il meccanismo del super-ammortamento interviene proprio su questo parametro, consentendo di assumere come base di calcolo un importo maggiorato.

Credito d’imposta ZES Unica: la proroga triennale

Trova conferma per un ulteriore triennio il credito d’imposta per gli investimenti nelle Zone Economiche Speciali, istituito dall’articolo 16 del D.L. 124/2023 (convertito con modificazioni dalla L. 162/2023). La ZES Unica del Mezzogiorno – che ha unificato le otto precedenti zone economiche speciali distribuite tra Campania, Puglia, Basilicata, Calabria, Sicilia, Molise, Sardegna e Abruzzo – rappresenta uno strumento strategico per attrarre investimenti nelle aree meridionali del Paese.

Il credito d’imposta, nella sua configurazione attuale, spetta alle imprese che effettuano acquisizioni di beni strumentali nuovi destinati a strutture produttive ubicate nelle aree ammesse, nel limite massimo di spesa di 100 milioni di euro per ciascun progetto di investimento. L’agevolazione assume la forma di un credito utilizzabile esclusivamente in compensazione tramite modello F24, secondo quanto previsto dall’art. 17 del D.Lgs. 241/1997.

È opportuno notare come la proroga del credito ZES si accompagni alla conferma dell’analoga agevolazione prevista per le Zone Logistiche Semplificate (ZLS), con uno stanziamento di 100 milioni di euro nel triennio 2026-2028. Le ZLS, istituite con il D.L. 121/2021, rappresentano un’estensione del modello delle zone economiche speciali ad aree portuali e retroportuali situate nelle regioni più sviluppate del Centro-Nord.

Nuova Sabatini: il rifinanziamento per le PMI

Tra le misure che trovano conferma figura il rifinanziamento della cosiddetta “Nuova Sabatini”, l’agevolazione disciplinata dall’art. 2 del D.L. 69/2013 che consente alle micro, piccole e medie imprese di accedere a finanziamenti agevolati per l’acquisto o l’acquisizione in leasing di macchinari, impianti, beni strumentali di impresa e attrezzature nuovi di fabbrica a uso produttivo, nonché per investimenti in digitale e in sostenibilità ambientale.

Lo strumento, gestito operativamente dal Ministero delle Imprese e del Made in Italy in collaborazione con Mediocredito Centrale, prevede un contributo statale rapportato agli interessi calcolati su un finanziamento della durata di cinque anni e di importo uguale all’investimento, a un tasso d’interesse annuo pari al 2,75% per gli investimenti ordinari e al 3,575% per gli investimenti in tecnologie digitali o in economia circolare.

Si tratta di uno strumento che negli anni ha dimostrato una notevole capacità di penetrazione presso le PMI, con migliaia di pratiche erogate annualmente e un volume complessivo di investimenti agevolati che si attesta stabilmente su livelli significativi. Il rifinanziamento garantirà la continuità operativa della misura, evitando quei periodi di sospensione che in passato hanno generato incertezza tra gli operatori.

Plastic tax e sugar tax: l’ennesimo rinvio

Confermata fino al 31 dicembre 2026 la sterilizzazione dell’imposta sul consumo dei manufatti con singolo impiego (plastic tax) e dell’imposta sul consumo delle bevande edulcorate (sugar tax), due tributi la cui introduzione è stata ripetutamente rinviata fin dalla loro originaria previsione nella Legge di Bilancio 2020 (L. 160/2019, articoli 1, commi da 634 a 658).

La plastic tax, nella formulazione attuale, dovrebbe applicarsi ai manufatti con singolo impiego (cosiddetti MACSI) realizzati, in tutto o in parte, con materie plastiche, con un’aliquota di 0,45 euro per chilogrammo. La sugar tax, invece, dovrebbe colpire le bevande analcoliche con edulcoranti aggiunti, con aliquote differenziate in base al formato di confezionamento.

L’ennesimo rinvio testimonia le difficoltà politiche ed economiche legate all’introduzione di tributi ambientali, che da un lato rispondono a esigenze di tutela della salute e dell’ambiente, dall’altro comportano inevitabili aumenti di costi per le imprese del settore e potenziali ricadute occupazionali. La giurisprudenza costituzionale ha più volte affermato la legittimità di tributi con finalità extrafiscali, ma la loro effettiva implementazione richiede un attento bilanciamento tra i diversi interessi coinvolti.

Pace fiscale 2023: una rottamazione “selettiva”

Tra le misure fiscali contenute nella Legge di Bilancio 2026 figura l’introduzione di una nuova edizione della definizione agevolata dei carichi affidati agli agenti della riscossione, comunemente denominata “rottamazione delle cartelle”. Si tratta della quinta versione di questo strumento, che si aggiunge alle precedenti edizioni introdotte con la L. 225/2016 (rottamazione-ter), il D.L. 119/2018 (rottamazione-quater) e, da ultimo, la L. 197/2022 (rottamazione-quater bis).

Un ambito applicativo più ristretto

La novità sostanziale di questa nuova edizione – che l’Esecutivo ha ribattezzato informalmente “rottamazione quinquies” – risiede nell’ambito applicativo più ristretto rispetto alle precedenti versioni. Secondo le indiscrezioni circolate negli ambienti tecnici del Ministero dell’Economia, la definizione agevolata riguarderà esclusivamente i carichi affidati all’Agenzia delle Entrate-Riscossione relativi all’anno d’imposta 2023.

Un elemento di particolare rilevanza concerne le esclusioni soggettive. A differenza delle precedenti rottamazioni, che ammettevano alla definizione agevolata pressoché tutti i contribuenti indipendentemente dalla loro posizione fiscale pregressa, la nuova versione introdurrebbe una serie di cause ostative che impedirebbero l’accesso al beneficio a determinate categorie di soggetti.

La categoria più rilevante di esclusi sarebbe quella dei contribuenti che non hanno mai presentato dichiarazioni dei redditi, i cosiddetti “evasori totali”. Si tratta di una scelta che risponde a un’esigenza di giustizia fiscale: evitare che possano beneficiare di condizioni agevolate soggetti che si sono completamente sottratti agli obblighi dichiarativi, a differenza di chi, pur avendo omesso o ritardato i versamenti, ha comunque presentato le dichiarazioni fiscali.

Nella prassi applicativa delle precedenti definizioni agevolate, questa distinzione non era mai stata operata. Le rottamazioni-ter e quater consentivano l’accesso anche ai contribuenti totalmente evasori, generando non poche polemiche tra chi aveva regolarmente adempiuto agli obblighi fiscali. La giurisprudenza della Corte Costituzionale ha più volte affrontato il tema della legittimità delle sanatorie fiscali, affermando che esse non violano il principio di uguaglianza sostanziale purché rispondano a finalità razionali di interesse generale (come il recupero del gettito o la deflazione del contenzioso).

I meccanismi operativi: incognite e attese

In assenza del testo normativo definitivo, permangono numerose incognite sui meccanismi operativi della nuova definizione agevolata. Le questioni cruciali riguardano:

  • a) L’oggetto della definizione: la rottamazione includerà solo gli importi dovuti a titolo di tributo (capitale), oppure anche le sanzioni amministrative? Le precedenti versioni prevedevano lo stralcio integrale delle sanzioni e degli interessi di mora, mantenendo dovuti solo il capitale e gli interessi di ritardata iscrizione a ruolo
  • b) La rateizzazione: quale sarà il numero massimo di rate concesse per il pagamento degli importi dovuti? La rottamazione-quater prevedeva fino a 18 rate trimestrali, con una dilazione quindi di circa quattro anni e mezzo
  • c) Le decadenze: quali saranno le conseguenze in caso di mancato pagamento di una o più rate? Le precedenti versioni prevedevano la decadenza automatica dal beneficio in caso di inadempimento anche di una sola rata, con la riattivazione integrale del debito originario comprensivo di sanzioni e interessi
  • d) I termini di adesione: entro quale data i contribuenti potranno presentare la domanda di accesso alla definizione? Come spesso accade nella normativa tributaria, la ristrettezza dei termini può rappresentare un ostacolo all’effettiva fruizione del beneficio da parte dei soggetti interessati

Il precedente delle rottamazioni: luci e ombre

L’esperienza delle precedenti definizioni agevolate offre elementi utili per valutare l’effettività di questi strumenti. Secondo i dati pubblicati dall’Agenzia delle Entrate-Riscossione, la rottamazione-quater ha raccolto oltre 1,2 milioni di domande di adesione, per un importo complessivo di carichi definibili superiore a 25 miliardi di euro. Un risultato significativo, che testimonia l’ampia diffusione del fenomeno del mancato pagamento dei ruoli.

Tuttavia, nella pratica applicativa si è osservato come solo una percentuale relativamente contenuta dei contribuenti ammessi alla definizione riesca effettivamente a completare il pagamento di tutte le rate previste. Molti contribuenti, dopo aver aderito alla rottamazione, si trovano nell’impossibilità di onorare gli impegni di pagamento assunti, con la conseguente decadenza dal beneficio e la riattivazione delle procedure esecutive.

La giurisprudenza tributaria ha sviluppato un’ampia casistica in materia di rottamazione delle cartelle, affrontando questioni quali la validità delle notifiche delle cartelle di pagamento, l’ammissibilità delle domande presentate oltre i termini, gli effetti della pendenza di giudizi tributari sui carichi definibili. La Corte di Cassazione, in particolare, ha precisato che l’adesione alla definizione agevolata determina l’estinzione del giudizio pendente relativo ai carichi inclusi nella domanda (Cass., sez. trib., sent. n. 12456/2024).

La nota del MEF: conferme e aperture

Il comunicato stampa diramato dal Ministero dell’Economia al termine del Consiglio dei Ministri del 14 ottobre si limita a confermare che “nella manovra saranno definite anche le iniziative di pacificazione fiscale rivolte ai contribuenti”. Una formulazione volutamente generica, che lascia aperte diverse opzioni.

Oltre alla rottamazione delle cartelle, infatti, le “iniziative di pacificazione fiscale” potrebbero includere altri strumenti, quali:

  • La definizione agevolata delle controversie tributarie pendenti, che consente di chiudere i contenziosi con il versamento di somme ridotte rispetto a quelle originariamente pretese dall’Amministrazione finanziaria
  • Lo stralcio dei carichi di importo inferiore a determinate soglie, già sperimentato con il D.L. 119/2018 che ha annullato i carichi fino a 1.000 euro affidati alla riscossione tra il 2000 e il 2010
  • La regolarizzazione delle violazioni formali o degli omessi versamenti di tributi minori, con sanzioni ridotte rispetto a quelle ordinarie

Aspetti spesso trascurati nelle analisi economiche riguardano l’impatto delle sanatorie fiscali sul comportamento futuro dei contribuenti. Alcuni studi economici hanno evidenziato come la reiterazione delle definizioni agevolate possa generare effetti distorsivi, incentivando comportamenti opportunistici da parte di contribuenti che ritardano deliberatamente i pagamenti nella speranza di future rottamazioni a condizioni vantaggiose. Un tema delicato, che attiene alla credibilità e all’effettività del sistema di riscossione coattiva.

Le coperture finanziarie: un mosaico complesso di risorse

L’architettura finanziaria della manovra da 18 miliardi di euro si regge su un insieme articolato di fonti di copertura, che combinano elementi tecnici (rimodulazione di spese preesistenti e revisione del PNRR) con contributi straordinari richiesti a specifici settori economici. La composizione delle coperture rappresenta sempre uno degli aspetti più delicati nell’elaborazione di una legge di bilancio, chiamata a rispettare i vincoli europei sul deficit e sul debito pubblico.

La rimodulazione del PNRR: risorse liberate per nuovi interventi

Una quota significativa delle coperture deriva dagli “effetti di miglioramento del quadro di finanza pubblica” – così recita il comunicato governativo – riconducibili alla rimodulazione del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza. Si tratta di un’operazione complessa, che ha visto l’Italia riprogrammare nel corso del 2024 alcuni interventi previsti dal Piano originario, spostando risorse tra diverse linee di investimento o modificando le tempistiche di realizzazione dei progetti.

La rimodulazione del PNRR, approvata dalla Commissione Europea nel dicembre 2024, ha consentito di liberare margini di bilancio che erano stati accantonati per la copertura della quota nazionale di cofinanziamento degli investimenti. Come noto, il PNRR prevede che una percentuale delle risorse necessarie per la realizzazione dei progetti debba essere garantita dallo Stato italiano, integrando i fondi europei provenienti dallo strumento Next Generation EU.

Secondo quanto previsto dall’art. 1, comma 1037 della L. 178/2020 (Legge di Bilancio 2021), era stato istituito il Fondo per la complementarità con una dotazione iniziale di 30,6 miliardi di euro, proprio al fine di assicurare la copertura finanziaria degli interventi complementari rispetto a quelli finanziati dalle risorse europee. La rimodulazione di alcune voci di questo Fondo ha reso disponibili risorse che possono essere destinate ad altri scopi, come appunto il finanziamento della nuova legge di bilancio.

Il contributo degli intermediari finanziari: la questione banche e assicurazioni

La componente più controversa delle coperture riguarda il contributo straordinario richiesto al settore bancario e assicurativo, stimato intorno ai 4,5 miliardi di euro nel triennio. Si tratta di un importo significativo, che incide per circa un quarto dell’intera dotazione finanziaria della manovra.

Il tema del contributo degli intermediari finanziari alla finanza pubblica non è nuovo nel dibattito politico italiano. Già nel 2019, il Governo allora in carica aveva tentato di introdurre una tassazione straordinaria sugli extraprofitti delle banche, misura poi non attuata per le resistenze incontrate. Nel 2023, la Legge di Bilancio aveva previsto un contributo a carico delle banche sotto forma di anticipo temporaneo di imposte (tax deferral), con meccanismi tecnici piuttosto complessi che avevano generato non poche perplessità negli ambienti tecnici.

La versione 2026 di questo contributo presenta caratteristiche in parte diverse. Secondo quanto emerso dalle prime ricostruzioni giornalistiche, non si tratterebbe di un vero e proprio tributo, bensì di contributi volontari pluriennali che gli intermediari finanziari si impegnerebbero a versare al bilancio dello Stato. Una forma di collaborazione che, almeno formalmente, si baserebbe su un accordo tra le parti piuttosto che su un’imposizione legislativa.

Il via libera dell’ABI: tra volontarietà e pressione politica

L’Associazione Bancaria Italiana, attraverso una nota diramata nella serata del 14 ottobre, ha comunicato che il proprio comitato esecutivo ha approvato di “proseguire in via straordinaria nei contributi pluriennali al Bilancio dello Stato per il rilancio dell’economia e per la solidarietà sociale”. Una formulazione attentamente calibrata, che sottolinea la natura “straordinaria” dell’intervento e lo lega a finalità di interesse generale.

Nella pratica delle relazioni tra Governo e sistema bancario, come spesso accade, il confine tra volontarietà e pressione politica può risultare sfumato. Le banche italiane hanno attraversato negli ultimi anni una fase di ritrovata redditività, dopo il periodo critico seguito alla crisi finanziaria del 2008-2012. I dati della Banca d’Italia evidenziano come gli utili netti del sistema bancario italiano nel 2024 abbiano superato i 35 miliardi di euro, con un incremento significativo rispetto agli anni precedenti.

Questa ritrovata solidità patrimoniale ha reso politicamente più sostenibile la richiesta di un contributo straordinario, che le banche hanno accettato per evitare l’introduzione di misure legislative potenzialmente più gravose. È opportuno notare come analoga richiesta sia stata avanzata al settore assicurativo, che negli ultimi anni ha registrato anch’esso performance economiche positive.

Gli interventi sugli stanziamenti di bilancio: le rimodulazioni di spesa

Sul versante della spesa, il comunicato governativo fa riferimento a “interventi sugli stanziamenti di bilancio”. Si tratta della voce tecnicamente più opaca delle coperture, che ricomprende:

  • La revisione delle previsioni di spesa di ministeri ed enti pubblici, con tagli lineari o selettivi su determinati capitoli di bilancio
  • La razionalizzazione di programmi di spesa esistenti, mediante la riduzione o l’eliminazione di misure considerate inefficienti o non prioritarie
  • Il differimento temporale di investimenti o interventi già programmati, che libera risorse nel breve periodo (pur rinviando i relativi impegni di spesa agli anni successivi)

Nella giurisprudenza della Corte dei Conti, si è più volte sottolineata la necessità che le coperture finanziarie delle leggi di spesa siano effettive e non meramente contabili. La Corte ha evidenziato come il ricorso sistematico a rimodulazioni e differimenti rischi di compromettere la credibilità dei documenti di bilancio e la stessa attuazione delle politiche pubbliche.

Il quadro complessivo e i vincoli europei

La manovra da 18 miliardi si inserisce all’interno del percorso di rientro dai disavanzi pubblici delineato nel Piano Strutturale di Bilancio di medio termine 2025-2029, documento che l’Italia ha trasmesso alla Commissione Europea nell’ambito della nuova governance economica europea entrata in vigore nel 2024.

Secondo quanto previsto dal nuovo Patto di Stabilità e Crescita (riformato con il Regolamento UE 2024/1263), gli Stati membri con un rapporto debito/PIL superiore al 60% – come l’Italia, che si attesta intorno al 138% – devono assicurare una traiettoria di riduzione del debito attraverso un percorso di aggiustamento fiscale concordato con le istituzioni europee.

Il Documento Programmatico di Bilancio trasmesso il 15 ottobre alla Commissione dovrà quindi dimostrare la coerenza della manovra italiana con gli impegni assunti nel Piano Strutturale, evitando che Bruxelles possa attivare la procedura per disavanzi eccessivi. Un equilibrio delicato, che impone al Governo di mantenere sotto controllo il deficit pur garantendo le risorse necessarie per sostenere economia e welfare.

Prospettive e appuntamenti: cosa attendersi nei prossimi giorni

La parola passa ora al Consiglio dei Ministri del 17 ottobre, che dovrà approvare il testo articolato del disegno di legge di bilancio. Sarà in quella sede che troveranno definizione gli aspetti tecnici rimasti sospesi: le modalità operative della pace fiscale, i criteri applicativi della revisione dell’ISEE, i meccanismi di fruizione del super-ammortamento per le imprese.

Il dibattito politico si concentrerà inevitabilmente sui temi più sensibili: la sostenibilità della riduzione dell’IRPEF senza compromettere altri capitoli di spesa, l’adeguatezza delle risorse destinate alla sanità pubblica, l’efficacia degli incentivi alle imprese nel favorire investimenti produttivi piuttosto che operazioni di mero risparmio fiscale.

Le settimane che separano l’approvazione governativa dall’esame parlamentare rappresenteranno un momento cruciale per verificare la tenuta politica della maggioranza e la disponibilità dell’opposizione a contribuire costruttivamente al miglioramento del testo. Una manovra da 18 miliardi richiede consenso ampio, non solo numeri sufficienti per l’approvazione.

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Quadro sinottico: le principali misure della Legge di Bilancio 2026

Ambito intervento Misura specifica Dotazione finanziaria
IRPEF Riduzione seconda aliquota dal 35% al 33% (redditi 28.000-50.000 euro) Circa 9 miliardi nel triennio
ISEE Esclusione parziale abitazione principale dal calcolo Circa 500 milioni annui
Famiglia Adeguamento salari e sostegno povertà 3,5 miliardi nel triennio (include ISEE)
Bonus edilizi Proroga 2026: 50% prima casa, 36% altri immobili Nell’ambito dei 18 miliardi
Super-ammortamento Maggiorazione costo acquisizione beni materiali 4 miliardi nel triennio
ZES Unica Proroga credito imposta investimenti Sud Da quantificare
ZLS Credito imposta Zone Logistiche Semplificate 100 milioni nel triennio
Nuova Sabatini Rifinanziamento agevolazioni PMI Da quantificare
Plastic/Sugar tax Sterilizzazione fino al 31.12.2026 Minori entrate da quantificare
Sanità Incremento FSN rispetto previsioni 2024 2,4 mld (2026), 2,65 mld annui (2027-2028)
Pace fiscale Rottamazione quinquies (anno 2023, platea ridotta) Da quantificare
Imposta soggiorno Proroga maggiorazioni 2026 (70% comuni, 30% Stato) Gettito incrementale da quantificare

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