La pubblicazione della legge delega n. 144/2025 sulla Gazzetta Ufficiale n. 230 del 3 ottobre 2025 segna un passaggio rilevante nella disciplina delle retribuzioni in Italia, anche se la strada scelta dal legislatore si discosta nettamente da quanto auspicato dalle forze di opposizione. Il provvedimento, che ha ottenuto l’approvazione parlamentare con 78 voti a favore contro 52 contrari, non introduce alcuna soglia oraria vincolante per via legislativa. La scelta è stata diversa: potenziare la contrattazione collettiva.
Diciamolo subito. Non ci sarà un salario minimo fissato per legge, nonostante il titolo possa trarre in inganno. Il percorso parlamentare, iniziato nel 2023 in un clima di acceso confronto politico sul tema del lavoro povero, si conclude con un impianto normativo che delega al Governo – entro sei mesi dalla pubblicazione – l’emanazione dei decreti legislativi attuativi. Una legge delega, quindi, che traccia princìpi e obiettivi senza intervenire direttamente sulla materia retributiva.</
🕒 Cosa sapere in un minuto
- Nessun salario minimo fissato per legge: la legge delega rafforza la contrattazione collettiva come principale riferimento salariale.
- Il ruolo centrale è affidato ai contratti collettivi nazionali (CCNL) “maggioritari”, che definiscono i trattamenti economici minimi.
- Previste nuove regole per appalti e subappalti, con obbligo di applicare ai dipendenti le retribuzioni dei contratti leader di settore.
- Introdotto un sistema di tracciabilità tramite codice CCNL nei flussi Uniemens INPS e sulle buste paga; manca un valore minimo orario imposto per legge.
La centralità dei contratti collettivi nazionali
Il cuore della disciplina risiede nell’attribuzione ai contratti collettivi nazionali di lavoro (CCNL) di maggiore applicazione del ruolo di standard retributivo minimo. Non si tratta di una semplice conferma dell’esistente. Occorre infatti individuare preventivamente quali siano i CCNL “maggioritari” in ciascun comparto, utilizzando criteri oggettivi quali il numero di imprese aderenti e di lavoratori coperti.
Una volta completata questa mappatura (la cui attuazione spetterà ai decreti legislativi), i trattamenti economici minimi previsti da tali contratti diventano il riferimento anche per quei lavoratori che, pur operando nello stesso settore, non risultano sindacalizzati o si trovano in contesti privi di effettiva contrattazione.
È opportuno notare come questo meccanismo punti direttamente al fenomeno dei cosiddetti contratti pirata: quegli accordi sottoscritti da sigle prive di reale rappresentatività, che stabiliscono condizioni economiche e normative inferiori agli standard consolidati nel settore. Nella prassi, tali contratti venivano utilizzati da alcuni datori di lavoro per comprimere il costo del lavoro, aggirando le tutele previste dai CCNL maggiormente rappresentativi.
Appalti e subappalti: nuove regole per la parità retributiva
La norma estende le proprie previsioni anche al settore degli appalti. Le imprese appaltatrici e subappaltatrici – sia nell’ambito pubblico che privato – dovranno garantire ai propri dipendenti trattamenti economici non inferiori a quelli stabiliti dal contratto leader del settore di riferimento. Si tratta di un ampliamento significativo dell’ambito di applicazione.
Le stazioni appaltanti acquisiscono maggiori responsabilità. Secondo quanto previsto dalla legge delega, questi enti saranno chiamati a verificare con maggiore attenzione l’effettivo rispetto delle condizioni retributive nei contratti affidati. I controlli, però, necessitano di strumenti adeguati.
Tracciabilità contrattuale e trasparenza retributiva
Ed è qui che entra in gioco uno degli aspetti più concreti della riforma: l’obbligo di indicare un codice identificativo del CCNL applicato. Questo codice dovrà comparire nei flussi mensili Uniemens trasmessi all’INPS, nelle comunicazioni obbligatorie sui rapporti di lavoro e sulle buste paga dei lavoratori.
Lo strumento della tracciabilità non è una novità assoluta nel panorama normativo italiano. Tuttavia, fino ad oggi la sua applicazione è stata frammentaria. L’intento è trasformarlo nel perno di un sistema di trasparenza che faciliti tanto i controlli ispettivi quanto l’analisi statistica sul mercato del lavoro. Nella pratica professionale si osserva spesso come la mancanza di dati uniformi e facilmente accessibili rappresenti un ostacolo significativo per qualsiasi intervento di monitoraggio.
Il parere tecnico del CNEL: perché no al salario legale
A monte della legge delega si colloca il parere del Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro, richiesto dall’esecutivo Meloni a metà 2023. Il CNEL, con 41 voti favorevoli e 15 contrari, ha espresso una valutazione nettamente contraria all’introduzione di un salario minimo per via legislativa.
I dati forniti dallo stesso Consiglio risultano eloquenti. I CCNL sottoscritti da CGIL, CISL e UIL coprono oltre 13 milioni di lavoratori dipendenti del settore privato, con una percentuale superiore al 95% della forza lavoro interessata. Di contro, i contratti firmati da organizzazioni non rappresentate al CNEL riguarderebbero appena lo 0,4% dei lavoratori.
Si consideri inoltre il quadro europeo. La direttiva UE 2022/2041, approvata nell’ottobre 2022, non impone agli Stati membri l’introduzione di una soglia legale. Chiede invece che venga assicurata una retribuzione adeguata e che il sistema di contrattazione collettiva copra almeno l’80% dei lavoratori. L’Italia, stando ai dati CNEL, supera ampiamente tale soglia.
Lavoro povero: una questione multifattoriale
Il CNEL ha sottolineato come la povertà lavorativa non dipenda esclusivamente dal livello orario della retribuzione. Entrano in gioco altri elementi: la discontinuità occupazionale, i contratti part-time involontari, la composizione del nucleo familiare, il carico fiscale, l’assenza di sostegni integrativi al reddito.
Secondo questa analisi tecnica, l’introduzione di una soglia legale rischia di rivelarsi superflua o addirittura controproducente. Potrebbe infatti spingere alcuni datori di lavoro a considerare quella cifra come un tetto piuttosto che come un pavimento, disincentivando la contrattazione collettiva. Come spesso accade, le soluzioni legislative troppo rigide producono effetti inattesi sul mercato.
I rischi di una soglia fissa
Durante il dibattito parlamentare, l’opposizione aveva proposto l’introduzione di un salario minimo di 9 euro lordi all’ora. La maggioranza ha ritenuto che questa strada non fosse percorribile. O meglio, non fosse la più efficace per il contesto italiano.
La Corte di cassazione, peraltro, si è espressa più volte nel corso del 2023 sul tema dei contratti collettivi. Anche quelli stipulati da organizzazioni minori, secondo i giudici di legittimità, possono trovare applicazione purché rispettino i princìpi costituzionali di proporzionalità e sufficienza della retribuzione previsti dall’articolo 36 della Costituzione.
Decreti attuativi: il tempo stringe
Il Governo dispone ora di sei mesi per l’emanazione dei decreti legislativi attuativi. Un termine piuttosto stringente, considerata la complessità tecnica della materia. Bisognerà definire i criteri per individuare i CCNL maggioritari, stabilire le modalità operative della tracciabilità contrattuale, disciplinare le verifiche negli appalti.
La legge delega fornisce princìpi generali, ma l’effettiva operatività del nuovo sistema dipenderà dalla qualità dei provvedimenti attuativi. Nella giurisprudenza amministrativa si osserva talvolta come leggi delegate ambiziose si scontrino poi con difficoltà applicative derivanti da una carente attuazione normativa.
Prospettive e interrogativi aperti
Resta da capire se il rafforzamento della contrattazione collettiva sarà sufficiente a contrastare efficacemente il lavoro sottopagato. I dati CNEL sulla copertura contrattuale sono incoraggianti, ma quella percentuale dello 0,4% di lavoratori coperti da contratti pirata rappresenta comunque decine di migliaia di persone in situazioni di vulnerabilità.
Il sistema di tracciabilità potrebbe rivelarsi uno strumento prezioso. Dipenderà dall’effettivo coordinamento tra INPS, Ispettorato del lavoro e altri enti coinvolti. E dalla capacità di analizzare i dati raccolti per individuare situazioni anomale.
La scelta italiana di non fissare una soglia oraria per legge si basa sull’assunto che il sistema di relazioni industriali nel nostro Paese sia sufficientemente maturo e diffuso da garantire tutele adeguate. Ai sensi dell’art. 39 della Costituzione, la contrattazione collettiva rappresenta lo strumento elettivo per la determinazione delle condizioni di lavoro. La legge delega conferma questo impianto costituzionale, pur potenziandone gli strumenti di verifica e controllo.