Il regime forfetario degli enti non commerciali, disciplinato dall’art. 145 del Testo Unico delle Imposte sui Redditi (TUIR), rappresenta una modalità agevolativa di determinazione del reddito per gli enti che svolgono attività commerciali in via non prevalente. Questo regime consente di applicare coefficienti di redditività ai ricavi conseguiti, riducendo così la base imponibile su cui calcolare le imposte. Tuttavia, negli anni, tale regime è stato progressivamente soppiantato da altre agevolazioni più vantaggiose, come quella prevista dalla Legge n. 398/1991 per le associazioni sportive dilettantistiche.
Connotazioni generali del regime forfetario
Il regime forfetario è applicabile agli enti non commerciali ammessi alla contabilità semplificata, che conseguono ricavi non superiori a specifiche soglie. Invece di tassare integralmente il reddito derivante dall’attività commerciale, si applicano coefficienti di redditività differenziati in base al tipo di attività e all’ammontare dei ricavi:
- per le prestazioni di servizi: 15% fino a 15.493,71 euro, 25% oltre tale soglia e fino a 309.874,14 euro;
- per le altre attività: 10% fino a 25.822,84 euro, 15% oltre tale importo e fino a 516.456,90 euro.
In caso di svolgimento contemporaneo di prestazioni di servizi e altre attività, si applica il coefficiente relativo all’attività prevalente. Il reddito così determinato va poi incrementato con plusvalenze, sopravvenienze attive, proventi finanziari e immobiliari.
L’opzione per il regime forfetario
Per accedere al regime forfetario, gli enti non commerciali devono esercitare un’apposita opzione in sede di dichiarazione annuale dei redditi. L’opzione ha efficacia dall’inizio del periodo d’imposta ed è valida fino a revoca, con un vincolo di permanenza triennale. La revoca va effettuata nella dichiarazione dei redditi e ha effetto dall’inizio dell’esercizio in cui è presentata.Gli enti che intraprendono una nuova attività commerciale devono optare in sede di dichiarazione di inizio attività. Tuttavia, l’opzione e la revoca si desumono anche da comportamenti concludenti, come le modalità di tenuta delle scritture contabili, purché attuate sin dall’inizio dell’anno o dell’attività.
Esempio pratico: un’associazione sportiva che svolge attività commerciale di prestazione di servizi con ricavi pari a 20.000 euro può optare per il regime forfetario in sede di dichiarazione dei redditi. Applicherà così un coefficiente del 25% ai ricavi, determinando un reddito imponibile di 5.000 euro.
Il nuovo regime forfetario del Codice del Terzo settore
Il D.Lgs. n. 117/2017 ha introdotto un nuovo regime forfetario per gli enti del Terzo settore non commerciali, che prevede coefficienti di redditività differenziati per scaglioni di ricavi:
- per le prestazioni di servizi: 7% fino a 130.000 euro, 10% da 130.000 a 300.000 euro, 17% oltre 300.000 euro;
- per le altre attività: 5% fino a 130.000 euro, 7% da 130.000 a 300.000 euro, 14% oltre 300.000 euro.
Anche in questo caso, l’opzione va esercitata nella dichiarazione dei redditi e ha durata triennale, salvo revoca. Gli enti che optano per questo regime sono esclusi da studi di settore, parametri e indici sintetici di affidabilità.
La de-commercializzazione dei corrispettivi specifici
L’art. 148 del TUIR prevede la non imponibilità dei corrispettivi versati dagli associati o partecipanti a fronte di attività svolte in conformità alle finalità istituzionali. Sono invece sempre considerate commerciali le cessioni di beni e le prestazioni di servizi verso pagamento di corrispettivi specifici, anche se effettuate nei confronti di associati o partecipanti.Fanno eccezione le attività svolte in diretta attuazione degli scopi istituzionali verso corrispettivi specifici, rese nei confronti di associati, partecipanti e tesserati di altre associazioni facenti parte della medesima organizzazione, nonché le cessioni di proprie pubblicazioni prevalentemente agli associati.Per beneficiare di tali agevolazioni, gli atti costitutivi o gli statuti devono contenere specifiche clausole, tra cui il divieto di distribuzione di utili, l’obbligo di devoluzione del patrimonio in caso di scioglimento, la disciplina uniforme del rapporto associativo, l’obbligo di rendicontazione annuale, l’eleggibilità libera degli organi amministrativi e l’intrasmissibilità della quota associativa.
Esempio pratico: un circolo ricreativo che organizza corsi di yoga per i propri soci applicando una quota di partecipazione può considerare tali corrispettivi come non commerciali, purché l’attività sia svolta in diretta attuazione degli scopi istituzionali e lo statuto contenga le clausole previste dall’art. 148 del TUIR.
La perdita della qualifica di ente non commerciale
Un ente perde la qualifica di non commerciale qualora eserciti prevalentemente attività commerciale per un intero periodo d’imposta, indipendentemente dalle previsioni statutarie. La prevalenza va verificata in base a parametri quantitativi, come il rapporto tra immobilizzazioni, ricavi e costi afferenti l’attività commerciale rispetto a quelli istituzionali.Per le associazioni sportive dilettantistiche, l’art. 149 del TUIR prevede una deroga, consentendo di mantenere la qualifica di ente non commerciale anche in caso di prevalenza dell’attività commerciale, purché limitata a un solo periodo d’imposta. Tuttavia, se tale prevalenza si protrae per più esercizi, l’ente perde i benefici fiscali.
Esempio pratico: un’associazione sportiva dilettantistica che per due anni consecutivi consegue ricavi commerciali prevalenti rispetto a quelli istituzionali perde la qualifica di ente non commerciale e viene assoggettata a tassazione ordinaria.
Conclusione
Il regime forfetario degli enti non commerciali rappresenta un’agevolazione fiscale che consente di ridurre il carico impositivo sulle attività commerciali svolte in via non prevalente. Tuttavia, l’accesso a tale regime è subordinato al rispetto di specifici requisiti e adempimenti, tra cui l’esercizio di un’apposita opzione e la presenza di clausole statutarie che garantiscano il carattere non lucrativo dell’ente.Negli anni, il regime forfetario è stato affiancato da altre agevolazioni, come quella prevista per le associazioni sportive dilettantistiche, che tuttavia non possono beneficiarne in modo permanente in caso di prevalenza dell’attività commerciale.È quindi fondamentale per gli enti non commerciali monitorare costantemente il rapporto tra attività istituzionale e commerciale, al fine di non perdere le agevolazioni fiscali e di adempiere correttamente agli obblighi tributari.
Domande e Risposte
D: Quali sono i coefficienti di redditività previsti dal regime forfetario degli enti non commerciali?
R: I coefficienti di redditività variano in base al tipo di attività e all’ammontare dei ricavi:
- per le prestazioni di servizi: 15% fino a 15.493,71 euro, 25% oltre tale soglia e fino a 309.874,14 euro;
- per le altre attività: 10% fino a 25.822,84 euro, 15% oltre tale importo e fino a 516.456,90 euro.
D: Come si esercita l’opzione per il regime forfetario?
R: L’opzione va esercitata in sede di dichiarazione annuale dei redditi e ha efficacia dall’inizio del periodo d’imposta. Per i nuovi enti, l’opzione va effettuata in sede di dichiarazione di inizio attività. L’opzione è valida fino a revoca, con un vincolo di permanenza triennale.
D: Quali sono le conseguenze della perdita della qualifica di ente non commerciale?
R: Un ente che esercita prevalentemente attività commerciale per un intero periodo d’imposta perde la qualifica di ente non commerciale e viene assoggettato a tassazione ordinaria, perdendo le agevolazioni fiscali previste per gli enti non commerciali.
D: Quali clausole statutarie sono richieste per beneficiare delle agevolazioni previste dall’art. 148 del TUIR?
R: Gli atti costitutivi o gli statuti devono contenere clausole che prevedano il divieto di distribuzione di utili, l’obbligo di devoluzione del patrimonio in caso di scioglimento, la disciplina uniforme del rapporto associativo, l’obbligo di rendicontazione annuale, l’eleggibilità libera degli organi amministrativi e l’intrasmissibilità della quota associativa.