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Il nuovo volto del riporto delle perdite fiscali nelle operazioni straordinarie

17 Giugno, 2025

Il panorama normativo del riporto delle perdite fiscali si prepara a subire una revisione sostanziale con le modifiche introdotte dall’articolo 2 del decreto fiscale in corso di pubblicazione. Un intervento che tocca – e in alcuni casi stravolge – l’impianto disciplinare appena delineato dal D.Lgs. 192/2024, dimostrando come il legislatore abbia avvertito l’esigenza di correzioni immediate alla normativa di recente introduzione.

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Quantificazione delle perdite: addio al criterio proporzionale

La prima significativa modifica riguarda il meccanismo di quantificazione delle perdite riportabili, un aspetto che nella prassi applicativa aveva già sollevato non poche perplessità interpretative. Come è noto agli operatori del settore, sia l’art. 84, comma 3-ter del TUIR – per le operazioni di trasferimento del controllo con modifica dell’attività – sia l’art. 172, comma 7 del TUIR – per le fusioni, con estensione alle scissioni tramite il richiamo dell’art. 173, comma 10 – mantengono il principio cardine secondo cui le perdite possono essere riportate entro il limite del patrimonio netto contabile, opportunamente depurato dei versamenti e conferimenti effettuati negli ultimi ventiquattro mesi.

Tuttavia, la normativa del D.Lgs. 192/2024 aveva introdotto un’alternativa… chiamiamola più sofisticata: la possibilità di utilizzare il patrimonio netto a valori reali certificato da relazione di stima. In questo scenario, il meccanismo originario prevedeva una riduzione delle perdite calcolata secondo un criterio proporzionale piuttosto articolato. Si trattava, in sostanza, di applicare ai versamenti e conferimenti degli ultimi ventiquattro mesi un moltiplicatore pari al rapporto tra valore economico e valore contabile del patrimonio.

Un esempio chiarisce meglio la portata della modifica. Ipotizziamo una società con patrimonio netto contabile di 1,5 milioni di euro, valore economico di 3 milioni di euro e versamenti degli ultimi ventiquattro mesi pari a 150.000 euro. Con il vecchio criterio proporzionale, utilizzando il valore economico, le perdite riportabili ammontavano a 2.700.000 euro, risultato dell’operazione: 3.000.000 – [150.000 × (3.000.000/1.500.000)].

Il nuovo criterio del “doppio fisso”

Il decreto fiscale in via di pubblicazione abbandona completamente questo approccio proporzionale. Quando si opta per il patrimonio netto a valori reali certificato da perizia, la riduzione sarà ora pari al doppio dei versamenti effettuati negli ultimi ventiquattro mesi. Una semplificazione che… beh, semplifica davvero, eliminando calcoli proporzionali e coefficienti variabili.

Nell’esempio precedente, la riduzione sarebbe di 300.000 euro (doppio di 150.000), mantenendo sostanzialmente inalterato il risultato finale. Ma – ed è qui che si celano le implicazioni più rilevanti – questa modifica avvantaggia le società il cui patrimonio netto a valori reali supera significativamente il doppio di quello contabile, mentre penalizza quelle con rapporti più contenuti tra valore economico e contabile.

La Relazione illustrativa al decreto fiscale giustifica questa scelta con l’esigenza di evitare che versamenti e conferimenti superiori al patrimonio netto contabile possano azzerare completamente le perdite riportabili, anche quando si utilizzi il criterio del valore economico. Il moltiplicatore fisso del doppio trova la sua ratio – secondo la Relazione – nel rapporto tipico tra rendimento richiesto per detenere titoli azionari e tasso risk free dei titoli di Stato.

Conferimenti d’azienda: un’equiparazione inattesa

La seconda modifica presenta caratteri di maggiore innovatività e tocca i conferimenti d’azienda. Con l’integrazione dell’art. 176 del TUIR, si stabilisce che alla società conferitaria si applicano le disposizioni dell’art. 173, comma 10. In termini pratici, questo significa che le perdite della società destinataria di un conferimento d’azienda vengono equiparate, ai fini della disciplina del riporto, a quelle della società beneficiaria di una scissione.

Una scelta che – nella prassi professionale si era già intuito – deriva dalla constatazione che anche il conferimento d’azienda può configurarsi come operazione potenzialmente suscettibile di generare commercio indebito di “bare fiscali”. E questo, si badi bene, indipendentemente dal fatto che il conferimento comporti o meno una modifica del soggetto controllante la conferitaria.

La tutela prevista dall’art. 177-ter del TUIR per le operazioni infragruppo viene comunque estesa anche a questa fattispecie. Rimane quindi garantita la disapplicazione dei limiti per le perdite realizzate quando le società partecipanti appartenevano già allo stesso gruppo e per le perdite “omologate” – un aspetto che nella casistica comune risulta di particolare rilevanza.

Tempistica e criticità applicative

Le modifiche si applicano alle operazioni effettuate dal periodo d’imposta in corso al 31 dicembre 2024, mantenendo la stessa decorrenza delle norme originarie del D.Lgs. 192/2024. In altri termini, si tratta di correzioni che intervengono… come dire, ab origine, emendando le disposizioni appena introdotte.

Qui emerge però una criticità non trascurabile, particolarmente evidente per i conferimenti d’azienda. Le modifiche in questione potrebbero assumere portata sostanziale e – nell’esperienza applicativa lo si è già verificato in altri contesti – potrebbero profilare una possibile incompatibilità con il divieto di retroattività delle norme tributarie sancito dall’art. 3 della L. 212/2000.

Si tratta di un aspetto che la giurisprudenza ha talvolta interpretato con rigore, specie quando le modifiche normative incidono su operazioni già perfezionate o in corso di definizione. La questione merita attenta valutazione, considerando che molte operazioni straordinarie pianificate sotto la vigenza del D.Lgs. 192/2024 potrebbero trovarsi ad applicare retroattivamente una disciplina diversa da quella originariamente considerata.

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