Con il provvedimento del Ministero delle Imprese e del Made in Italy datato luglio 2025 si completa, finalmente, il percorso per acquisire la qualifica di impresa culturale e creativa. Un traguardo che apre scenari nuovi per chi opera nel settore della cultura, inclusi – e questo va sottolineato con forza – gli enti del Terzo settore. Ma c’è un dettaglio che sfugge ai più: non tutti gli Ets possono accedere allo stesso modo a questa opportunità. Esistono due percorsi distinti.
🕒 Cosa sapere in un minuto
- Da luglio 2025 è operativa la qualifica di impresa culturale e creativa, dedicata anche agli enti del Terzo settore.
- Esistono due percorsi: automatico per imprese sociali (D.Lgs. 112/2017) e verifica per enti commerciali ETS (D.Lgs. 117/2017).
- Requisiti: attività culturale prevalente, sede in Italia o UE con contribuzione fiscale italiana, iscrizione al Registro Imprese o REA.
- La domanda d’iscrizione si presenta alla Camera di commercio, con controlli successivi sui requisiti.
- La qualifica ICC consente accesso a bandi dedicati e denominazione sociale, ma la dotazione finanziaria è limitata.
- La qualifica è aggiuntiva rispetto a RUNTS e comporta verifiche periodiche e possibili revoche.
Il quadro normativo prende forma
La legge n. 206 del 27 dicembre 2023 aveva disegnato i contorni della figura delle imprese culturali e creative, ma serviva qualcosa di più concreto per renderla operativa. Secondo quanto previsto dall’art. 25 di quella legge, rientrano nella categoria degli operatori culturali e creativi tutti i soggetti – a prescindere dalla veste giuridica che hanno scelto – che svolgono attività culturali in modo stabile sul territorio italiano o nell’area europea, purché siano contribuenti nel nostro Paese.
Le attività che contano? Ideazione, creazione, produzione, sviluppo. E ancora: diffusione, promozione, conservazione. L’elenco comprende anche ricerca, valorizzazione e gestione di beni e prodotti culturali. Devono essere prevalenti o esclusive, questo è il punto. Non attività marginali o occasionali.
La posizione specifica degli enti del Terzo settore
Ed è qui che la questione si fa interessante per gli Ets. La normativa (il comma 4 dell’articolo 25 della legge 206/2023, per l’esattezza) prevede espressamente che anche questi soggetti possano fregiarsi della qualifica di impresa culturale. Ma come si diceva, ci sono due vie d’accesso ben distinte.
La prima strada è praticamente automatica: riguarda le imprese sociali disciplinate dal D.Lgs. 112/2017. Per loro non servono verifiche particolari sulla natura imprenditoriale, perché è già insita nella qualifica stessa di impresa sociale.
La seconda via, invece, richiede qualche passaggio in più. Si applica agli Ets che operano «esclusivamente o principalmente in forma di impresa commerciale». Qui entra in gioco l’art. 11 del Codice del Terzo settore (D.Lgs. 117/2017), che definisce quando un ente svolge attività in forma imprenditoriale.
I requisiti di imprenditorialità secondo il decreto
Il decreto direttoriale del 10 luglio 2025 ha messo nero su bianco i criteri. L’art. 3 stabilisce che la qualifica spetta ai soggetti iscritti al Registro delle imprese o al REA che abbiano dichiarato di svolgere attività economica. Sembra un tecnicismo, ma nella pratica professionale si osserva che questo requisito diventa dirimente.
Per gli Ets che non sono imprese sociali occorre dimostrare di operare sul mercato in modo sistematico, duraturo e professionale, con l’obiettivo di conseguire un risultato economico (il riferimento è all’art. 13, comma 4, del D.Lgs. 117/2017). Non basta svolgere attività culturali, per quanto meritorie. Serve la dimensione imprenditoriale.
Attività prevalente e sede operativa
Tra i requisiti oggettivi, va menzionata la necessità di avere sede in Italia ai sensi del TUIR (D.P.R. 917/1986) oppure in uno Stato membro dell’Unione europea o aderente all’Accordo sullo Spazio economico europeo. In quest’ultimo caso, però, il soggetto deve comunque essere contribuente nel nostro Paese. Una precisazione che può sembrare ovvia, ma nella casistica comune emerge come elemento di criticità per alcune realtà che operano su scala transnazionale.
L’attività culturale deve essere non solo dichiarata, ma anche prevalente. Il decreto del Ministero della Cultura (n. 402 del 25 ottobre 2024) ha individuato 14 settori di riferimento: dalle arti visive alla musica, dal design alla moda, dall’editoria alla fotografia. E il codice ATECO dichiarato deve corrispondere a uno di quelli elencati nell’allegato al decreto direttoriale.
Le modalità di iscrizione alla sezione speciale
Viene istituita presso il Registro imprese una sezione speciale dedicata alle imprese culturali e creative. La domanda si presenta tramite comunicazione unica presso le Camere di commercio. Il conservatore del Registro verifica la completezza formale dell’istanza e può – questo è bene saperlo – controllare anche successivamente la permanenza dei requisiti.
Se emergono criticità, può rifiutare l’iscrizione o disporre la cancellazione. Ma non senza contraddittorio con l’ente interessato. Un meccanismo che offre garanzie procedurali, anche se allunga i tempi.
Esempi pratici di applicazione
Prendiamo il caso di un’associazione culturale che gestisce un teatro. Se è costituita come impresa sociale, la strada è spianata: può richiedere l’iscrizione senza ulteriori verifiche sulla natura imprenditoriale della sua attività.
Diversa la situazione per una fondazione iscritta al RUNTS che organizza mostre d’arte e vende cataloghi. Dovrà dimostrare che i ricavi da attività commerciali superano, in modo continuativo, i proventi da attività non commerciali. E che l’attività è svolta con metodo professionale, non occasionale.
Oppure si consideri una cooperativa sociale di tipo B che produce oggetti di design utilizzando materiali di recupero. Se i ricavi dalla vendita di questi prodotti rappresentano la fonte principale di sostentamento dell’ente, e l’attività rientra nei codici ATECO previsti, può aspirare alla qualifica di impresa culturale e creativa.
Benefici e opportunità della qualifica
L’iscrizione alla sezione speciale non è fine a se stessa. Apre l’accesso a bandi di finanziamento specifici per il settore culturale e creativo. Aumenta la visibilità sul mercato. Permette di utilizzare nella denominazione sociale la dicitura “impresa culturale e creativa” o l’acronimo ICC.
Certo, come spesso accade nel nostro ordinamento, le risorse finanziarie dedicate appaiono limitate rispetto alle potenzialità del settore. L’articolo 29 della legge sul made in Italy prevede un contributo in conto capitale, ma la dotazione è di appena 3 milioni di euro. Una cifra che difficilmente potrà soddisfare le aspettative di oltre 300mila organizzazioni potenzialmente interessate (dati Istat 2022).
Controlli e revoca della qualifica
L’iscrizione non è definitiva. L’ufficio del Registro imprese può effettuare verifiche anche a campione. Qualora accerti la perdita dei requisiti previsti dalla normativa, trasmette all’impresa un preavviso di cancellazione presso il domicilio digitale iscritto.
L’impresa ha 15 giorni per presentare le proprie controdeduzioni e la documentazione che comprova il mantenimento dei requisiti. L’ufficio è tenuto a valutarle, motivando espressamente il provvedimento conclusivo. Un iter che tutela il contraddittorio ma richiede attenzione costante da parte degli operatori.
Aspetti ancora da chiarire
Nella prassi applicativa emergono alcuni profili che meriterebbero ulteriori chiarimenti. Ad esempio, come si calcola la prevalenza dell’attività culturale per gli enti che svolgono attività miste? I ricavi vanno considerati al lordo o al netto dei costi? E in che arco temporale va verificata la sistematicità dell’attività economica?
La giurisprudenza amministrativa ha talvolta interpretato in modo restrittivo il concetto di attività prevalente, mentre altre volte ha adottato criteri più flessibili. Occorrerà monitorare l’orientamento delle Camere di commercio nell’applicazione concreta di questi requisiti.
Coordinamento con altre qualifiche
Un punto spesso trascurato riguarda il coordinamento tra la qualifica di impresa culturale e creativa e altre qualifiche già possedute dall’ente. L’iscrizione alla sezione speciale non sostituisce né cancella l’iscrizione al RUNTS per gli Ets. Si tratta di una qualifica aggiuntiva che si affianca a quella di ente del Terzo settore.
Per le imprese sociali, vale lo stesso principio. Mantengono la loro iscrizione nella sezione speciale del Registro imprese dedicata alle imprese sociali e aggiungono quella di ICC. Questo può comportare, va detto, un doppio set di adempimenti e controlli da gestire.
Prospettive future
Il completamento del quadro normativo con il decreto del luglio 2025 rappresenta un passaggio significativo. Ma è solo l’inizio. Serviranno circolari interpretative, prassi amministrativa consolidata, magari qualche pronuncia giurisprudenziale per sciogliere i nodi interpretativi che inevitabilmente emergeranno.
Nel frattempo, gli enti del Terzo settore attivi nel settore culturale farebbero bene a valutare se possiedono i requisiti per acquisire questa qualifica. E soprattutto, quale delle due strade – impresa sociale o attività prevalentemente commerciale – risulta più adatta alla loro realtà operativa.