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Crediti ereditari e partita IVA chiusa: quando riaprirla

5 Novembre, 2025

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Chi di voi si è trovato dinanzi alla questione di ereditare un credito professionale scopre ben presto un’evidenza spiazzante: sebbene il professionista abbia chiuso la partita IVA anni prima, quella prestazione resa e mai pagata conserva intatta la sua natura imponibile. Significa, cioè, che gli obblighi tributari non semplicemente spariscono, bensì scendono sulle spalle degli eredi.

🕒 Cosa sapere in un minuto

  • Se il professionista deceduto lascia crediti da prestazioni non incassate, gli eredi devono riaprire la partita IVA del de cuius per fatturare i compensi riscossi successivamente.
  • L’obbligo di fatturazione e versamento IVA passa dagli ex committenti agli eredi (D.Lgs. 87/2024, interpello 118/2025).
  • Il committente, se l’erede rimane inerte, comunica l’irregolarità all’Agenzia Entrate tramite codice TD29 nel SDI, entro 90 giorni.
  • I compensi incassati dagli eredi restano redditi di lavoro autonomo (art. 7, comma 3, TUIR): sono soggetti alle stesse regole fiscali del professionista originario.
  • La chiusura “definitiva” della partita IVA può essere rinviata finché non si incassano tutti i crediti.
  • Il sostituto d’imposta effettua la ritenuta d’acconto sui compensi pagati agli eredi, secondo le aliquote vigenti.

Il punto di partenza: prestazioni e tempistiche non coincidono

Quando un architetto, un consulente, un commercialista continuano a svolgere incarichi verso il mezzo di febbraio e poi smettono, i corrispettivi di queste ultime prestazioni arrivano spesso mesi, talvolta anni dopo. Qui scatta la prima complicazione. Secondo il disposto dell’articolo 6, comma 3 del decreto del Presidente della Repubblica 633/1972, il servizio si considera eseguito nell’istante in cui avviene il pagamento.

Non è del tutto vero dire che sia così semplice. La sentenza della Corte di Cassazione, precisamente la n. 8059 datata 21 aprile 2016, ha fornito un’interpretazione più sfumata: il compenso professionista rimane soggetto a imposta sul valore aggiunto anche quando viene incassato ben dopo la chiusura dell’attività originale. Lo stesso vale per il caso in cui, per vari motivi, la fattura non sia stata emessa tempestivamente.

Di conseguenza, se il nostro professionista deceduto aveva ancora crediti pendenti, quei crediti non evaporano. Rimangono in vita sul piano tributario e la loro tassazione non si estingue semplicemente perché la partita IVA è stata chiusa.

Cosa prevede la normativa: l’evoluzione fino a oggi

Per molti anni il riferimento interpretativo stava nella risposta a interpello n. 52 del febbraio 2020, quando l’Agenzia delle Entrate aveva chiarito la situazione. In quella circostanza, l’Amministrazione aveva indicato che l’obbligo di fatturazione per crediti ereditari e partita IVA chiusa spettava al committente, tipicamente il curatore fallimentare o il debitore della prestazione professionale. Un carico piuttosto pesante per chi aveva il dovere di pagare ma si ritrovava di fronte all’assenza di una partita IVA attiva su cui intestare il documento.

Negli ultimi mesi, però, la situazione è cambiata in modo significativo. La risposta all’interpello n. 118 del 22 aprile 2025 ha riconosciuto un principio diverso: la responsabilità principale ricade sugli eredi del professionista deceduto. Non perché sia comodo per loro, tutt’altro. Accade perché la normativa, rivisitata alla luce del decreto legislativo n. 87 del 2024, ha stabilito che gli eredi hanno il dovere di “regolarizzare” la situazione riaprendo la partita IVA originaria per emettere la fattura relativa ai compensi incassati successivamente.

Riapertura della partita IVA: da opzione a necessità

Ecco il punto critico. Fino a poco tempo fa, gli eredi potevano sperare di non dover fare nulla di complicato. Oggi le cose vanno diversamente. Nel momento in cui un compenso professionale rimane incasso sospeso perché mai fatturato, gli eredi non hanno scelta: devono recarsi dall’Agenzia delle Entrate e chiedere la riapertura della partita IVA del de cuius.

Non si tratta di aprire una nuova partita a loro nome. Si tratta di “rivivificare” quella precedente, che era stata spenta in vita dal professionista. Questo percorso amministrativo non è immediato: richiede documenti, comunicazioni, e soprattutto la consapevolezza che, una volta compiuto il gesto, gli eredi si assumono tutti gli obblighi IVA legati a quella riapertura.

L’articolo 35-bis del medesimo decreto IVA prevede, oltretutto, che gli eredi dispongono di sei mesi dal decesso per procedere alle operazioni di chiusura della partita. Nel caso di prestazioni ancora da incassare, quel termine sessennale non decorre: rimane “sospeso” fino al momento dell’effettivo pagamento.

Come cambia la posizione del committente

Qui emerge un aspetto della massima importanza, proprio perché modifica il quadro delle responsabilità. Il decreto legislativo n. 87/2024, entrato in vigore il 1° aprile 2025, ha riscritto l’articolo 6, comma 8, del d.lgs. n. 471/1997. Cosa significava prima? Che se l’erede non agiva, il curatore fallimentare o il committente doveva compensare l’omissione emettendo una cosiddetta “autofattura”: un documento fiscale che attestava la prestazione e permetteva al committente stesso di versare l’IVA non dovuta dal professionista deceduto.

Oggi non funziona più così. Il committente non è più obbligato a tirarsi addosso questo peso. Se gli eredi rimangono inerti, il committente ha l’onere soltanto di segnalare l’irregolarità all’Agenzia delle Entrate. La segnalazione avviene mediante il codice TD29 inserito nel Sistema di Interscambio (SDI), da utilizzarsi a partire dal 1° aprile 2025. Il termine per procedere è novanta giorni da quando la fattura regolare avrebbe dovuto venir fuori.

Questo non assolve completamente il committente dalle responsabilità, intendiamoci. È una semplificazione relativa. Perché? L’Amministrazione finanziaria manterrà intatto il diritto di agire direttamente contro gli eredi per recuperare l’imposta non versata, oltre a sanzioni e interessi maturati. Il committente, limitandosi alla comunicazione, si sottrae ai costi diretti, ma la pratica rimane una questione non risolta dal punto di vista tributario.

La tassazione dei compensi rimasti sospesi

Qui tocchiamo il secondo aspetto fondamentale della questione. I redditi derivanti dalle prestazioni professionali che giungono agli eredi non cambiano natura per il fatto di essere ereditati. Rimangono redditi di lavoro autonomo, secondo quanto disposto dall’articolo 7, comma 3, del decreto del Presidente della Repubblica n. 917/1986, meglio noto come TUIR (Testo unico delle imposte sui redditi).

L’Agenzia delle Entrate ha confermato: le somme incassate mantengono il carattere che avevano al momento dell’esecuzione della prestazione. Non diventano donazioni, non mutano categoria. Rimangono imponibili secondo le stesse regole applicate al de cuius. Questo significa che, qualora il professionista avesse beneficiato di regime di tassazione separata nei periodi precedenti, quella medesima tassazione si applicherà ai compensi ereditati, salvo che non si ricada nei criteri della tassazione ordinaria.

C’è un altro elemento che merita attenzione. L’articolo 25 del decreto del Presidente della Repubblica n. 600/1973 stabilisce che chi versa il compenso agli eredi deve trattenere l’acconto d’imposta, secondo le aliquote previste. Non è permesso versare la somma in modo “lordo”, cioè al netto dell’imposta, sperando che poi gli eredi provvedano autonomamente.

Un esempio concreto della situazione

Immaginiamo che Maria sia l’erede di suo padre Francesco, commercialista deceduto nel 2011. Francesco aveva chiuso la partita IVA nel 2010, poco prima di andare in pensione. Nel dicembre 2024, però, una società in fallimento provvede al versamento di un compenso di 30.000 euro lordi (IVA inclusa) dovuto al padre per consulenze professionali rese nell’ormai lontano 2008. Il curatore chiede documentazione fiscale prima di procedere al pagamento. Maria si trova di fronte a un dilemma: come regolarizzare la situazione?

Seguendo le indicazioni più recenti dell’Amministrazione finanziaria, Maria deve procedere a richiedere la riapertura della partita IVA del padre presso l’Agenzia delle Entrate. Solo dopo aver ottenuto la riapertura potrà emettere la fattura intestata al padre stesso, indicando come beneficiario sé medesima quale erede. Il documento andrà trasmesso tramite il Sistema di Interscambio, esattamente come avrebbe fatto il padre se fosse ancora stato in vita. Successivamente, Maria dovrà assolvere gli obblighi IVA correlati, incluso il versamento dell’imposta al fisco.

Nel frattempo, il curatore potrà procedere al versamento dei 30.000 euro, ma dovrà effettuare la ritenuta d’acconto sulla parcella, secondo le aliquote dell’articolo 25 del DPR 600/1973. Se l’aliquota è del 20%, ad esempio, Maria riceverà 24.000 euro, mentre 6.000 euro andranno direttamente all’Erario quale acconto.

La situazione nel caso di inerzia degli eredi

Non sempre, però, le cose procedono “per il verso giusto”. Accade frequentemente che gli eredi ignorino gli obblighi nascenti, oppure non abbiano le competenze per gestire una riapertura di partita IVA. In siffatti casi, il curatore fallimentare (o il committente in generale) si ritrova di fronte a una scelta.

Prima del 1° aprile 2025, doveva emettere autofattura. Oggi no. Secondo la nuova formulazione dell’articolo 6, comma 8, del decreto legislativo n. 471/1997, il committente è tenuto soltanto a comunicare l’irregolarità entro novanta giorni. La comunicazione avviene utilizzando il codice TD29 nel SDI.

Successivamente, tocca all’Agenzia delle Entrate verificare e agire. Se gli eredi non si sono mossi, saranno loro a ricevere gli accertamenti fiscali, le cartelle esattoriali e le relative sanzioni. Non cade direttamente sulla testa del committente, che si limita al ruolo di segnalante.

Tuttavia, è un errore credere che il committente sia completamente esonerato da responsabilità. Se si scopre che la comunicazione non è stata effettuata nel termine prestabilito, o se è stata effettuata in modo incompleto, potranno scattare sanzioni a suo carico. Inoltre, il versamento dell’imposta rimane dovuto comunque, sia pure in forma differenziata.

Deroghe e termini particolari

Un aspetto assai utile riguarda la possibilità di una proroga nei termini. L’articolo 35-bis del DPR 633/1972 consente agli eredi di chiudere la partita IVA entro sei mesi dal decesso. Tuttavia, se sussistono ancora debitori (cioè compensi non ancora pagati), quel termine non scatta. La chiusura può essere procrastinata fino a quando non sia completamente risolta la posizione creditoria.

Vi è inoltre, in circostanze particolari, la facoltà di anticipare la fatturazione. Cioè, l’erede potrebbe decidere di emettere le fatture anche prima del pagamento effettivo, “scommettendo” sulla riscossione imminente. In tal caso, l’IVA diviene esigibile nel momento della fatturazione, non dell’incasso. Questo comporta il versamento dell’imposta in tempi più veloci, il che può sembrare svantaggioso, ma presenta il vantaggio della chiarezza amministrativa e della possibilità di chiudere tempestivamente la partita.

Considerazioni finali sull’assetto delle responsabilità

Nel paesaggio normativo odierno, risulta evidente che l’onere della regolarizzazione cade prevalentemente su chi eredita. Non si tratta di una scelta cruenta, ma di una conseguenza dell’applicazione coerente dei principi tributari: chi ha diritto al reddito ha il dovere di sottoporsi alla tassazione connessa.

l ruolo del committente (curatore, società debitrice, ecc.) si è ridotto, grazie alle novità del 2024, a un compito di segnalazione. Un alleggerimento teorico, ma che non estingue completamente il rischio tributario insito nell’operazione. La vera sfida, per gli eredi, rimane quella di orientarsi tra scadenze, adempimenti e obblighi burocratici, spesso affidandosi a professionisti esperti per non incappare in irregolarità che potrebbero rivelarsi costose a lungo termine.


Tabella sinottica delle responsabilità

Soggetto Obbligo Termo Conseguenze inattività
Erede Richiedere riapertura Piva e fatturare Entro 6 mesi dal decesso (salvo crediti pendenti) Accertamenti, sanzioni, interessi da parte dell’Agenzia
Committente Comunicare irregolarità via TD29 al SDI (se erede inerte) 90 giorni dalla data in cui fattura avrebbe dovuto essere emessa Sanzioni per omessa comunicazione
Sostituto d’imposta Effettuare ritenuta d’acconto su compenso Al versamento Responsabilità per omessa/irregolare ritenuta

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