L’Agenzia delle Entrate ha recentemente fornito un chiarimento importante e piuttosto severo per chi intendeva sfruttare la misura Resto al Sud per lanciare attività didattiche e formative. La risposta n. 287 del 6 novembre 2025 chiude definitivamente una breccia interpretativa: non basta ottenere un finanziamento pubblico per accedere al regime di esenzione dall’IVA previsto per le prestazioni educative. Servono condizioni ben precise e, nel caso specifico della misura agevolativa del Sud, quelle condizioni non si verificano. Per le imprese che già operano o stanno per iniziare, le implicazioni sono tutt’altro che marginali.
🕒 Cosa sapere in un minuto
- Niente esenzione IVA automatica: il finanziamento Resto al Sud non conferisce il riconoscimento pubblico necessario per accedere all’esenzione prevista dall’art. 10, n. 20 del D.P.R. 633/1972.
- Due requisiti distinti: serve sia che l’attività sia didattica (requisito oggettivo) sia che l’ente sia riconosciuto da un’amministrazione pubblica (requisito soggettivo).
- Resto al Sud valuta solo l’economicità: l’amministrazione gestisce il finanziamento non su base didattica, ma su criteri di fattibilità economica e meritevolezza imprenditoriale.
- Il riconoscimento formale è separato: chi intende accedere all’esenzione deve ottenere un riconoscimento specifico dall’Agenzia delle Entrate o dalle autorità regionali di competenza.
- Conseguenza pratica: i corsi resteranno soggetti a IVA ordinaria (4%, 10% o 22%) se manca il riconoscimento didattico, indipendentemente dal finanziamento agevolato ricevuto.
Il doppio vincolo normativo delle attività didattiche
L’articolo 10, primo comma, numero 20 del Decreto IVA (D.P.R. 633/1972) prevede un’esenzione per le prestazioni di natura educativa, didattica e formativa. Ma il legislatore non ha inteso estendere questo beneficio a chiunque svolga tali attività. La norma richiede il concorso di due elementi distinti che operano su piani diversi.
Il primo aspetto riguarda la natura oggettiva della prestazione. Rientrano qui le attività di insegnamento rivolte all’infanzia, alla gioventù, e in generale tutte le forme di didattica: dalla formazione professionale all’aggiornamento dei dipendenti, dalla riqualificazione alla riconversione lavorativa. È il versante “cosa viene insegnato”, per così dire. Se l’attività è effettivamente educativa e didattica, il primo requisito è soddisfatto.
Ma qui emerge il nodo. Il legislatore non si è fermato al profilo oggettivo. Ha richiesto anche un elemento soggettivo particolarmente rigido: le prestazioni devono provenire da istituti o scuole riconosciuti da pubbliche amministrazioni. È questo riconoscimento che legittima l’esenzione fiscale. La ratio sottesa è quanto mai evidente: lo Stato intende circoscrivere il beneficio a organismi che dimostrano idonea capacità didattica, professionisti competenti, strutture adeguate, materiali appropriati. In altre parole, l’amministrazione finanziaria vuole assicurarsi che l’ente erogatore abbia standard conformi a quelli degli organismi pubblici medesimi.
Il riconoscimento “per atto concludente”: un’apertura rivelatasi ambigua
Con l’evoluzione della normativa, l’Agenzia delle Entrate ha negli anni allargato leggermente gli orizzonti. La circolare 22/E del marzo 2008 ha infatti precisato che il riconoscimento da parte dell’amministrazione non deve necessariamente derivare da una procedura formale di “presa d’atto” tradizionale, di competenza del Ministero dell’Istruzione. Può anche realizzarsi “per atto concludente”.
Che cosa significa questa espressione? Fondamentalmente, che l’approvazione e il finanziamento pubblico di un progetto didattico specifico, gestito da un privato e valutato in tutte le sue componenti educative, equivalgono a un riconoscimento rilevante ai fini fiscali. Il finanziamento pubblico opera come manifestazione implicita di certificazione della qualità didattica. L’amministrazione sottende, con questo comportamento, un giudizio positivo sulle modalità di erogazione formativa.
Tuttavia—e qui sta il discrimine che l’Agenzia ha voluto sottolineare—il riconoscimento per atto concludente funziona soltanto quando l’ente pubblico esamina, approva e finanzia uno specifico progetto educativo, prestando attenzione ai contenuti formativi, alle metodologie didattiche, agli obiettivi di competenza. Non quando finanzia una generica iniziativa imprenditoriale. Questa distinzione, per quanto possa sembrare sottile sulla carta, risulta decisiva nella pratica tributaria.
Resto al Sud: un finanziamento all’impresa, non al progetto formativo
Qui entra in scena la misura agevolativa di cui si discute. Disciplinata dal decreto legge 20 giugno 2017, n. 91 e dal successivo decreto interministeriale, Resto al Sud rappresenta uno strumento di sostegno a favore delle nuove imprese costituite nelle regioni meridionali. Il meccanismo è noto: il soggetto interessato presenta un progetto imprenditoriale globale; l’amministrazione gestrice valuta meritevolezza, sostenibilità economico-finanziaria, capacità di generare reddito. Se il progetto supera le verifiche, scatta il finanziamento: 50% in forma di contributo a fondo perduto, l’altro 50% come prestito a tasso zero con aggiunta di un contributo sugli interessi.
Il punto centrale, che l’Agenzia ha ritenuto doveroso evidenziare, è che il giudizio amministrativo si fonda su valutazioni economiche e gestionali, non su criteri educativi e didattici. L’amministrazione esamina il business plan, il mercato di riferimento, le strategie di marketing, l’organigramma gestionale, gli aspetti finanziari. Non porta mai uno sguardo analitico sulla proposta formativa in sé, sulla qualità dei docenti, sulle metodologie di insegnamento, sui presupposti pedagogici, sugli obiettivi didattici specifici.
In altri termini, il finanziamento Resto al Sud abbraccia l’intera iniziativa imprenditoriale post averne verificato i presupposti economici. Non si sofferma, neppure per un momento, sul merito della specifica offerta didattica. Non accerta se le modalità di erogazione della formazione rispecchino standard qualitiativi accettabili o se i contenuti siano coerenti con esigenze formative del territorio.
L’effetto: l’esenzione IVA rimane fuori portata
Secondo l’Agenzia, questa configurazione ha una conseguenza inequivocabile: i finanziamenti Resto al Sud non realizzano un riconoscimento per atto concludente nel senso proprio contemplato dalla circolare 22/E. Essi non legittimano pertanto l’accesso al regime di esenzione dall’IVA. La mancanza del requisito soggettivo blocca l’applicazione del beneficio.
Le imprese che ricevono finanziamenti Resto al Sud e che svolgono attività educativo-formativa devono quindi assoggettare i relativi proventi all’ordinaria aliquota IVA. Restano fuori dal perimetro delle esenzioni. Ciò incide direttamente sulla competitività dell’offerta formativa: i corsi risulteranno più cari agli utenti finali. Un’impresa che fruisce di una sovvenzione pubblica per lanciare corsi di lingua straniera non potrà riportar in fattura “0%” accanto alla prestazione, ma dovrà applicare il 4%, il 10% o il 22% secondo la natura specifica dell’insegnamento.
Quando l’esenzione diventa possibile: il percorso del riconoscimento formale
Non è tutto buio. L’esenzione IVA reste raggiungibile, ma a una condizione: ottenere un riconoscimento formale da parte di una pubblica amministrazione competente in materia di formazione e istruzione.
Secondo la prassi amministrativa, se l’attività rientra nelle materie curricolari della scuola secondaria di primo e secondo grado (lingua straniera, matematica, storia, ecc.), l’istanza va presentata alla direzione regionale dell’Agenzia delle Entrate con sede nel territorio dove il soggetto esercita l’attività. Se si tratta di formazione professionale, il riconoscimento dipende dalle autorità regionali competenti in materia di istruzione professionale.
Tale riconoscimento consente al soggetto privato di accedere all’esenzione per le sole attività coperte dal riconoscimento stesso. Se, ad esempio, un’impresa ottiene certificazione per i corsi di lingua inglese, la spettanza dell’esenzione riguarderà soltanto quei corsi, non altre eventuali attività formative della medesima impresa.
Un caso pratico: la ditta individuale beneficiaria di Resto al Sud
Immaginiamo una ditta individuale, costituitasi in Campania, che riceve un finanziamento Resto al Sud per lanciare un’attività didattica centrata su formazione aziendale e sviluppo di soft skills. La donna imprenditrice ha esperienza nel settore, dispone di locali adatti, intende assumere formatori qualificati.
L’amministrazione gestore approva il progetto valutando il potenziale economico. Dichiara il finanziamento. Ma il finanziamento non include alcuna valutazione pedagogica, alcun giudizio sulla correttezza delle metodologie didattiche, nessun controllo sulla bibliografia scelta o sulle competenze dei docenti prescelta.
La ditta individuale non potrà pertanto applicare l’esenzione IVA ai propri corsi. Dovrà moltiplicare l’importo lordo per 1,10 (se applica il 10% standard) o per 1,04 (se riuscirebbe a dimostrare che si tratta di “insegnamento” qualificato per il 4%, cosa nulla affatto scontata).
Diverso sarebbe il caso se la stessa imprenditrice, parallelamente al finanziamento Resto al Sud, presentasse istanza per il riconoscimento all’Agenzia delle Entrate relativamente ai propri corsi di soft skills presso aziende. Qualora l’Agenzia verificasse che l’offerta è qualitativamente idonea, potrebbe conferire il riconoscimento. Da quel momento, la medesima attività potrebbe beneficiare dell’esenzione, indipendentemente dal finanziamento agevolato già ricevuto.
L’impatto e le prospettive
La pronuncia dell’Agenzia del novembre 2025 serve a chiarire un’ambiguità di fatto divenuta fonte frequente di contestazioni. Non pochi soggetti beneficiari di Resto al Sud avevano ritenuto—forse in buona fede—che il finanziamento pubblico sottintendesse un riconoscimento della loro capacità didattica. La risposta numero 287 sgombra il campo.
Le conseguenze sono tutt’altro che marginali per il settore della formazione privata nel Mezzogiorno. Chiunque intenda avvalersi della misura per avviare una scuola, un centro formativo, una piattaforma didattica dovrà affrontare una doppia incombenza: gestire il finanziamento agevolato presso la competente amministrazione regionale, e in parallelo (o successivamente) richiedere il riconoscimento didattico presso l’Agenzia delle Entrate o presso l’autorità scolastica/formativa territoriale.
Non si tratta di meri adempimenti burocratici sovrabbondanti. Il riconoscimento formale comporta verifiche concrete sulla competenza dei docenti, sulla struttura dei corsi, sulla rispondenza dei contenuti agli standard pubblici. È un meccanismo di garanzia verso i destinatari dei corsi medesimi, oltre che un filtro fiscale.
Cosa significa questa sentenza per gli imprenditori della formazione
Per chi sta pianificando di lanciare un’attività formativa grazie a Resto al Sud, il consiglio è univoco: non contare sul finanziamento agevolato per legittimare l’esenzione IVA. Calcolare invece il prezzo dei corsi includendo l’IVA ordinaria. Se l’intenzione è riuscire a proporre prestazioni esenti, avanzare contestualmente istanza di riconoscimento presso l’amministrazione competente. I tempi di riconoscimento possono variare da alcuni mesi a un anno o più, per cui conviene non attendere l’ultimo momento.
Una strategia prudente consiste nel sottoporre il piano di corsi all’amministrazione fiscale ancor prima di ricevere il finanziamento, in modo da coordinare bene i tempi e identificare eventuali profili di criticità nella proposta formativa. Così, se l’amministrazione dovesse contestare la qualificazione didattica di taluni insegnamenti, si avrebbe ancora tempo di correggerla.


