La Terza Sezione penale della Corte di cassazione ha pubblicato, il 22 ottobre 2025, una sentenza (n. 34484) destinata a fare chiarezza su una questione che tocca direttamente gli imprenditori e i professionisti coinvolti in procedimenti per reati tributari. Il nucleo della decisione è abbastanza secco: quella protezione che protegge la prima casa dall’espropriazione fiscale non vale per i sequestri e le confische ordinate dal giudice penale.
Non si tratta di una svolta normativa improvvisa, ma piuttosto della consolidazione di un orientamento giurisprudenziale che ormai da anni la Cassazione ribadisce. Eppure il tema resta delicato, soprattutto per chi si trova all’improvviso con un decreto di sequestro sulla propria abitazione principale. Serve analizzare con attenzione i vari strati di questa questione.
🕒 Cosa sapere in un minuto
- La sentenza: La Cassazione (sent. n. 34484/2025) conferma che la prima casa può essere confiscata in caso di reati tributari, anche se è l’unico immobile del condannato.
- Il limite dell’art. 76 DPR 602/1973 (che protegge la prima casa dall’espropriazione fiscale) vale solo per la riscossione tributaria, non per i procedimenti penali.
- Due strumenti diversi: La riscossione mira a recuperare il debito; la confisca penale mira a sottrarre il profitto illecito derivante dal reato.
- Responsabilità universale: L’art. 2740 c.c. prevede che il debitore risponda con tutti i suoi beni. Le eccezioni sono tassative e non si estendono al procedimento penale.
- Immobili cointestati: Anche se l’immobile è intestato al coniuge, il sequestro e la confisca colpiscono la quota dell’indagato. Il fondo patrimoniale non costituisce protezione.
- Orientamento consolidato: La giurisprudenza è uniforme su questo punto. Ricorsi basati sull’intoccabilità della prima casa sono sistematicamente rigettati.
Il caso finito davanti agli Ermellini
Un imprenditore si era visto notificare un sequestro preventivo finalizzato alla confisca del profitto generato da un reato di dichiarazione fraudolenta (articolo 2 D.Lgs. 74/2000). La misura cauteleare riguardava anche un immobile, cointestato al coniuge, che rappresentava la residenza abituale della famiglia.
Il ricorrente aveva proposto ricorso sostenendo che quell’immobile non poteva essere toccato. Il fondamento della sua difesa era semplice: l’articolo 76 del D.P.R. 602/1973 vieta l’espropriazione della cosiddetta prima casa del debitore. Perciò, argomenta il ricorrente, anche il sequestro penale dovrebbe trovare un limite in quella disposizione.
Il Tribunale del riesame di Rovigo ha dichiarato inammissibile l’istanza. La Corte di cassazione ha confermato. E i motivi della decisione, com’è spesso accade, valgono ben più della decisione stessa.
Confisca penale e riscossione tributaria: due binari paralleli
Qui sta il punto cruciale. L’articolo 76 del D.P.R. 602/1973 limita la pignorabilità dell’abitazione del debitore, ma solo quando l’Erario (attraverso l’Agente della riscossione) agisce per recuperare un debito tributario. È una norma che regola il procedimento esecutivo tributario, non un principio generale del diritto.
Il procedimento penale, invece, persegue una finalità completamente diversa. Non si tratta di riscuotere un’imposta. L’obiettivo è sottrarre al condannato il profitto che ha ricavato illecitamente dal reato. Se ha evaso il fisco di 100.000 euro, la confisca mira a recuperare quei 100.000 (o beni di equivalente valore) considerandoli come il “frutto dell’illecito”.
La riscossione mira a pagare il debito. La confisca mira a privare il reo dell’ingiusto arricchimento. Due strumenti che muovono da logiche diverse.
La Cassazione lo spiega ricordando che il limite dell’articolo 76 opera “solo nei confronti dell’Erario, per debiti tributari, e non di altre categorie di creditori”. Non è quindi un limite che si estende automaticamente a tutte le forme di espropriazione.
Unico immobile, non “prima casa”: la lettura della norma
Un dettaglio semantico che ha peso giuridico. La norma non parla di “prima casa”, bensì di “unico immobile di proprietà del debitore”.
Si tratta di un concetto diverso. La qualificazione “prima casa” attiene alla destinazione dell’immobile, al fatto che vi si abita. Il concetto di “unico immobile di proprietà” riguarda invece la situazione patrimoniale complessiva della persona: il numero degli immobili che possiede.
Quindi, se un debitore tributario possiede due appartamenti, anche se uno è la sua residenza principale e l’altro è sfitto, il limite dell’articolo 76 non opera. C’è più di un immobile nel patrimonio. Punto.
Allo stesso modo, se un immobile è in comunione con il coniuge, la questione si complica. E la Cassazione, in altre pronunce, ha precisato che la confisca può colpire la quota dell’indagato proporzionatamente a quella quota. Il vincolo matrimoniale non forma uno schermo.
La lezione qui è che i non addetti ai lavori spesso confondono la tutela. Non esiste una “intoccabilità” generale della prima casa. Esiste una protezione limitata e specifica, ristretta al procedimento di riscossione tributaria e solo nel caso in cui sia davvero l’unico immobile posseduto.
Sequestro e confisca: le radici diverse
Fondamentale comprendere che la confisca penale (sia diretta che per equivalente) non è assimilabile a una riscossione coattiva di un debito.
La confisca diretta colpisce il profitto specifico della condotta illecita (i soldi non versati, il valore della merce contrabbadata, etc.). La confisca per equivalente entra in gioco quando quel profitto non è più reperibile o disponibile. In quel caso il giudice confisca altri beni appartenti al reo, purché di pari valore.
Una persona condannata per evasione che ha speso i soldi da evadere in una ristrutturazione di casa rischia di vedersi confiscare la casa stessa (o parte di essa) per equivalente. È il meccanismo di ablazione patrimoniale ordinato dall’articolo 2740 del Codice civile, che sancisce il principio di responsabilità universale: il debitore risponde con tutti i suoi beni.
Il divieto di espropriazione della prima casa per debiti tributari non rientra tra le eccezioni previste dalla legge a questo principio generale.
Il fondamento nel Codice civile e nella responsabilità
Qui siamo al nocciolo teorico della questione. L’articolo 2740 c.c. prevede che “il debitore risponde dell’adempimento delle obbligazioni con tutti i suoi beni presenti e futuri”. Questo è il principio di responsabilità patrimoniale universale.
La legge ammette delle eccezioni a questo principio, ma solo quando le stabilisce esplicitamente. Non tutte le limitazioni sono ammesse. L’imputato che risponde di un reato non è semplicemente un “debitore” tributario. È una persona sottoposta a procedimento penale per aver commesso un illecito penale.
Quando la legge penale prevede la confisca, intende sottrarre il profitto illecito dal patrimonio di chi ha commesso il reato. Non è un obbligo tributario, è una pena ablativa. Le protezioni previste per il contribuente ordinario non si estendono automaticamente a chi ha violato la legge penale.
Prassi consolidata e orientamento giurisprudenziale
La Cassazione non ha innovato con questa sentenza. Ha ribadito un orientamento che ormai costituisce la linea maggioritaria della giurisprudenza di legittimità.
La stessa Sezione Terza penale aveva già deciso diversi anni fa (sentenze n. 8995/2019, n. 30342/2021, n. 5608/2021) sul medesimo tema. Il messaggio era già chiaro: la prima casa non è al riparo dalla confisca penale, neanche nelle fasi cautelari del procedimento (il sequestro preventivo).
Quello che cambia è che ora questa linea si consolida ulteriormente. E gli avvocati che seguono questi procedimenti devono saperlo. Chi presenta ricorso contro un sequestro della prima casa basandosi sull’articolo 76 del D.P.R. 602/1973 incontrerà quasi certamente un rigetto.
Gli immobili in comunione e il fondo patrimoniale
Un aspetto che spesso genera confusione riguarda i beni cointestati o iscritti in fondo patrimoniale.
Se l’immobile è intestato sia al presunto reo che al coniuge, il sequestro e la confisca toccano comunque la quota riferibile all’indagato. Non importa che il coniuge sia ignaro dell’illecito o che il bene sia destinato a soddisfare i bisogni della famiglia.
Allo stesso modo, se l’immobile è incluso in un fondo patrimoniale (una forma di protezione civile utilizzata talvolta dalle famiglie), il fatto non lo rende intoccabile. Il fondo patrimoniale pone un vincolo di destinazione, non sottrae la proprietà. Chi ha conferito l’immobile nel fondo rimane proprietario. E quella proprietà, in caso di reato, può essere aggredita dal sequestro penale.
La giurisprudenza ha chiarito che il fondo patrimoniale non costituisce un ostacolo alla confisca per equivalente nei reati tributari. Il vincolo è di destinazione civile, non una causa di esclusione dal patrimonio responsabile.
Differenze cruciali tra i procedimenti
È utile schematizzare le distinzioni, anche per i clienti che chiedono chiarimenti:
Nel procedimento tributario il fine è riscuotere il debito d’imposta. Il limite all’espropriazione della prima casa esiste ed opera. L’Agente della riscossione non può espropriare l’unico immobile adibito ad abitazione principale se il debitore vi risiede.
Nel procedimento penale il fine è sottrarre il profitto illecito. I limiti dell’articolo 76 del D.P.R. 602 non operano. Il giudice penale può disporre il sequestro della prima casa se ritiene che sia frutto o mezzo del reato, oppure se ne confischi il valore per equivalente.
Due strumenti, due campi di applicazione, due obiettivi. La confusione tra i due piani origina quasi sempre dai ricorsi infondati.
Condanna al pagamento delle spese
La sentenza ha dichiarato il ricorso infondato, condannando il ricorrente al pagamento delle spese processuali sostenute dalla parte pubblica.
Non è sorprendente. La giurisprudenza su questo tema è così consolidata che proporre ricorso sulla base di argomenti già sistematicamente rigettati espone all’accusa di abuso del mezzo impugnativo.
Rimane però importante che gli operatori del settore comunichino chiaramente questo stato della legge ai clienti sottoposti a procedimenti per reati tributari. Se viene ordinato il sequestro della prima casa, la difesa deve muoversi su altri terreni: l’assenza di gravi indizi di colpevolezza, l’assenza di pericolo di fuga, la sproporzionatezza della misura, l’errore nel calcolo del profitto.
Ma la scherma difensiva basata sulla “intoccabilità” della prima casa opone argomenti vecchi contro una giurisprudenza compatta.
Prospettiva dell’art. 2740 e responsabilità universale
Qui conviene soffermarsi ulteriormente. L’articolo 2740 c.c. non è una norma marginale. È il fondamento stesso del sistema di responsabilità patrimoniale nel diritto civile italiano.
Quando una legge speciale (come la normativa tributaria) introduce un’eccezione a questo principio, la eccezione rimane ristretta a quel campo. Non si estende ad altri campi, tantomeno al diritto penale, se non esplicitamente.
La normativa sulla riscossione tributaria ha introdotto un’eccezione per tutelare il debitore ordinario dal rischio di perdere la propria casa per un debito di imposta. È una scelta di policy pubblica: si ritiene ingiusto espropriare l’abitazione principale.
Ma quando entri nel campo della repressione penale dei reati tributari, il ragionamento cambia. Qui non si parla di debito verso il fisco. Si parla di arricchimento illecito. Di violazione della legge penale. Di reo che ha lucrato su un illecito.
In questo contesto, invocare la protezione della prima casa significa chiedere al giudice penale di riconoscere un’eccezione che la legge penale non prevede. E qui la Cassazione taglia netto: l’articolo 76 D.P.R. 602 non è applicabile al procedimento penale.
Implicazioni e insegnamenti per gli operatori
La sentenza n. 34484/2025 insegna tre cose importanti.
La prima: non confondere mai la riscossione tributaria con il procedimento penale. Sono due universi diversi, con regole diverse, con finalità diverse. Un limite che vale in uno non vale automaticamente nell’altro.
La seconda: verificare sempre la composizione del patrimonio dell’imputato. Se possiede più di un immobile, la questione della “prima casa” è già risolta in partenza. L’articolo 76 non protegge comunque. Se possiede un solo immobile ma destinato a uso abitativo, il limite opera nel procedimento tributario, non in quello penale.
La terza: la responsabilità universale (articolo 2740 c.c.) è il principio cardine. Le eccezioni a esso sono tassative. Chi voglia invocare un’eccezione deve citare la legge che la prevede. Nel caso della confisca penale per reati tributari, quella legge non esiste.
Difficile che i ricorsi sulla base di questi argomenti abbiano successo nei prossimi anni. La giurisprudenza è consolidata, gli Ermellini hanno ribadito il principio, l’orientamento è maggioritario. Chi affronta questi procedimenti deve agire su altre linee difensive.
Prospettive e quadro normativo vigente
Lo stato della legge, a partire da questa sentenza e da quello che l’ha preceduta, è abbastanza stabile. Non ci sono segnali di riforma imminente. Il legislatore non sembra intenzionato a modificare questa linea.
Anzi, se mai, la discussione si è spostata su altri fronti. Non su se è ammissibile la confisca della prima casa, ma su come calibrare le misure cautelari in modo proporzionato. Su come proteggere il nucleo familiare quando uno dei coniugi viene indagato. Su come bilanciare la presunzione di innocenza con le esigenze di prevenzione del reato.
Sono questioni che la Cassazione continua ad affrontare, caso per caso. La sentenza 34484 non parla di questi profili, ma stabilisce chiaramente il perimetro: nel procedimento penale per reati tributari, la prima casa non è un bene protetto dal limite dell’articolo 76 D.P.R. 602.
Accettare questa consapevolezza è il primo passo per costruire una difesa credibile e realistica quando si affrontano questi procedimenti.



