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Competenza professionale commercialista: tra titolo abilitativo e preparazione effettiva

29 Maggio, 2025

La questione dell’adeguatezza professionale nella consulenza fiscale e contabile assume oggi dimensioni sempre più rilevanti nel panorama delle professioni intellettuali. Non si tratta più – come si potrebbe pensare in prima battuta – di una mera riflessione teorica sui doveri deontologici, ma di una problematica che trova concreta applicazione nella giurisprudenza disciplinare, con risvolti pratici di notevole portata per l’intera categoria professionale. Il punto di partenza normativo è costituito dall’articolo 8, comma 2, del Codice deontologico dei dottori commercialisti e degli esperti contabili, il quale stabilisce – con formulazione che non lascia adito a dubbi interpretativi – l’obbligo per il professionista di astenersi dall’assumere incarichi che non sia in condizione di gestire con adeguata perizia tecnica. La disposizione, tuttavia, nella prassi applicativa genera spesso perplessità e incertezze operative, soprattutto per quanto concerne la fase temporale della sua applicazione e i parametri di valutazione della competenza richiesta.

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Il principio deontologico e la sua portata applicativa

La norma deontologica, ad un’analisi più approfondita, non si limita infatti a disciplinare la fase esecutiva del rapporto professionale. Il suo ambito di applicazione si estende – e questo rappresenta l’aspetto più delicato della questione – alla fase antecedente dell’accettazione dell’incarico stesso. Si configura così un momento di particolare criticità nel quale il professionista è chiamato ad operare una valutazione preliminare circa la propria idoneità tecnica e la disponibilità delle risorse necessarie per l’adempimento del mandato.

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza delle Sezioni Unite n. 13271 del 19.05.2025, ha fornito un chiarimento interpretativo di straordinaria rilevanza sul concetto di “competenza” richiesto per l’accettazione di un incarico professionale. I giudici supremi hanno precisato – con argomentazione che segna una netta evoluzione rispetto a precedenti orientamenti più permissivi – che non risulta sufficiente il mero possesso del titolo di abilitazione professionale o di esperienze pregresse di carattere generico.

La pronuncia della Suprema Corte: elementi di novità

Secondo l’interpretazione della Cassazione, la competenza deve essere intesa come effettiva capacità, in quel momento specifico e per quel preciso incarico, di garantire una prestazione professionale adeguata alle esigenze del caso concreto. Questo orientamento impone una lettura del concetto di competenza in chiave soggettiva e concreta, superando definitivamente interpretazioni formaliste basate sul mero possesso di titoli o qualifiche professionali.

Il caso che ha originato la pronuncia riguardava un procedimento disciplinare nei confronti di un dottore commercialista, destinatario di una sospensione di tredici mesi dall’esercizio della professione per violazioni multiple del Codice deontologico. Tra queste violazioni figurava proprio la trasgressione dell’art. 8, comma 2, relativa all’assunzione di un incarico senza possedere un’adeguata preparazione specifica.

Il professionista aveva argomentato – nel ricorso proposto in Cassazione – che il principio deontologico in questione fosse applicabile soltanto in presenza di una mancanza assoluta di titoli o esperienza professionale. La sua strategia difensiva tendeva a configurare il comportamento tenuto come una mera negligenza nell’esecuzione del lavoro, piuttosto che come una carenza originaria di competenza.

La replica dei giudici e le implicazioni sistematiche

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso, evidenziando come l’argomentazione del professionista non fosse conforme all’interpretazione corretta della norma deontologica. I giudici hanno sottolineato che il fulcro dell’obbligo disciplinare consiste proprio nell’autovalutazione da compiere prima dell’accettazione dell’incarico, non soltanto nel rispetto delle regole durante la sua esecuzione.

Nella motivazione della decisione, la Suprema Corte ha precisato che non è sufficiente dimostrare l’assenza di dolo o di imperizia in senso stretto. Il punto centrale – come spesso accade nella giurisprudenza disciplinare più recente – è che l’incarico comporta, sin dalla sua origine, una responsabilità autonoma legata alla capacità di discernimento circa le proprie effettive competenze operative.

Implicazioni operative nella pratica professionale quotidiana

Questa interpretazione rigorosa impone nella pratica professionale quotidiana un significativo cambiamento di prospettiva nell’approccio all’attività di consulenza. Ogni incarico deve essere affrontato non soltanto con la disponibilità a svolgere il lavoro richiesto, ma anche con la consapevolezza critica delle proprie competenze attuali e dell’adeguatezza delle risorse disponibili in quel momento specifico.

Si consideri, a titolo esemplificativo, l’ipotesi di un commercialista specializzato prevalentemente in contabilità ordinaria che riceva l’incarico di assistere un contribuente in una complessa operazione di riorganizzazione aziendale con profili di fiscalità internazionale. Secondo l’orientamento della Cassazione, non sarebbe sufficiente l’esperienza generale in materia fiscale, ma occorrerebbe una specifica competenza nel settore interessato, verificata alla luce delle caratteristiche concrete dell’operazione.

Nell’esperienza applicativa si osserva frequentemente una sottovalutazione di alcuni elementi cruciali nella valutazione delle proprie competenze professionali. La specificità tecnica dell’incarico rappresenta il primo aspetto da considerare: non tutti gli incarichi fiscali presentano il medesimo livello di complessità tecnica o richiedono le stesse competenze specialistiche. Le risorse temporali disponibili costituiscono un secondo elemento spesso trascurato: la competenza include anche la capacità di dedicare il tempo necessario all’incarico senza compromettere la qualità della prestazione.

Aggiornamento professionale e supporto specialistico

L’aggiornamento normativo rappresenta un terzo aspetto di cruciale importanza: in un settore in costante evoluzione come quello fiscale, la competenza richiede un aggiornamento continuo e specifico. Non è sufficiente – come talvolta si ritiene nella prassi – un aggiornamento generico, ma occorre una formazione mirata sui temi oggetto dell’incarico specifico.

Il supporto di consulenti specializzati costituisce infine un elemento che deve essere considerato nella valutazione iniziale: la competenza professionale può essere integrata attraverso collaborazioni esterne, purché queste siano preventivamente individuate e organizzate in modo adeguato.

L’evoluzione normativa e giurisprudenziale richiama i professionisti ad un’etica della responsabilità, nella quale l’ammissione di un limite non costituisce una debolezza professionale, ma un atto di rispetto verso la professione, i clienti e la collettività nel suo complesso. L’incarico non può essere considerato soltanto un’opportunità commerciale, ma deve essere affrontato come un impegno che richiede serietà e trasparenza nella valutazione delle proprie capacità.

È opportuno notare che questo orientamento si inserisce in un più ampio movimento di valorizzazione della qualità professionale, che attraversa trasversalmente tutte le professioni intellettuali. La giurisprudenza ha talvolta interpretato in modo restrittivo i doveri deontologici, ma sempre nell’ottica di tutelare l’interesse pubblico alla qualità delle prestazioni professionali.

Procedure interne di controllo qualità e valutazione preventiva

La pronuncia della Cassazione rappresenta un monito per tutti i commercialisti e impone l’instaurazione di un metodo professionale basato su un’analisi preventiva delle proprie capacità operative. Non si tratta soltanto di evitare errori durante l’esecuzione dell’incarico, ma di sviluppare procedure interne di valutazione della competenza che precedano l’accettazione del mandato.

Nella casistica comune si riscontrano situazioni nelle quali il professionista, pur possedendo competenze generali adeguate, si trova a dover affrontare problematiche specifiche per le quali la sua preparazione risulta insufficiente. In questi casi, secondo l’orientamento della Suprema Corte, l’obbligo deontologico impone di rinunciare all’incarico o di richiedere la collaborazione di specialisti del settore, organizzando preventivamente le modalità di tale collaborazione.

Criticità ricorrenti e profili applicativi

L’esperienza professionale evidenzia alcune criticità ricorrenti nella valutazione delle competenze che meritano particolare attenzione. La formazione continua rappresenta un aspetto fondamentale: il settore fiscale è caratterizzato da continui aggiornamenti normativi che richiedono formazione specialistica costante. La competenza non può essere considerata acquisita una volta per tutte, ma richiede un continuo aggiornamento che deve essere specifico e mirato.

Le specializzazioni settoriali costituiscono un secondo profilo critico: alcuni ambiti (come la fiscalità internazionale, le operazioni straordinarie, o specifici settori economici) richiedono competenze altamente specializzate che non possono essere improvvisate. La valutazione delle risorse rappresenta un terzo elemento spesso sottovalutato: la competenza include anche la capacità di valutare realisticamente i tempi e le risorse necessarie per l’adempimento dell’incarico.

Il valore della competenza come fondamento dell’attività professionale

Accettare un incarico significa assumersi una responsabilità che inizia ben prima dell’esecuzione materiale dell’attività di consulenza. La competenza non costituisce una qualità formale o teorica, ma una condizione concreta da accertare ogni volta, tenendo conto delle peculiarità specifiche del compito assegnato e del momento in cui viene richiesta la prestazione.

La Cassazione, con l’ordinanza del 19.05.2025, ha chiarito definitivamente che la professionalità non può essere presunta sulla base di titoli o esperienze passate, ma deve essere verificata caso per caso, incarico per incarico. Questo orientamento rappresenta un ulteriore passo verso una cultura della responsabilità e della qualità nell’ambito delle professioni contabili, a beneficio dell’intero sistema economico e sociale.

Ai sensi dell’articolo 8, comma 2, del Codice deontologico, dunque, rifiutare un incarico per il quale non si possiedano competenze adeguate non costituisce un limite professionale, ma piuttosto un segno di maturità e rispetto deontologico. Tale approccio, pur potendo comportare nel breve termine una rinuncia a opportunità professionali, contribuisce nel lungo periodo alla costruzione di una reputazione basata sulla qualità e sull’affidabilità delle prestazioni offerte, elementi che rappresentano il vero valore aggiunto di una professione intellettuale moderna e responsabile.

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