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Compensi amministratori, contabilità e fisco tra regole e incertezze

9 Dicembre, 2025

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Quando si parla di compensi amministratori, il primo errore è pensare che contabilità e fisco ragionino allo stesso modo. Non è così. Civilisticamente il costo matura nell’esercizio in cui l’amministratore svolge la propria attività. Fiscalmente la deduzione segue il momento del pagamento, con la regola del principio di cassa allargato. Secondo l’OIC 12, tutti i corrispettivi riconosciuti agli amministratori, compresi rimborsi, gettoni e somme legate ai risultati, devono essere imputati al conto economico nell’esercizio in cui nascono. La voce è la B7, tra i costi per servizi. Se la società delibera un compenso per il 2025, il relativo costo va iscritto nel bilancio 2025, anche se materialmente la somma verrà corrisposta solo nei primi giorni del 2026. Dal lato fiscale la musica cambia. L’articolo 95 del Tuir subordina la deduzione alla condizione che il compenso venga effettivamente pagato entro il 12 gennaio dell’anno successivo. Se il pagamento scivola oltre questa data, la società deve rinviare la deduzione al periodo in cui il versamento avviene. Il risultato pratico è un disallineamento tra bilancio e dichiarazione dei redditi che i professionisti devono gestire con attenzione.

🕒 Cosa sapere in un minuto

  • I compensi amministratori maturano per competenza e vanno iscritti nel bilancio dell’esercizio di riferimento;
  • La deducibilità fiscale segue il principio di cassa allargato con termine fissato al 12 gennaio dell’anno successivo;
  • Il pagamento è valido solo quando la somma entra davvero nella disponibilità dell’amministratore;
  • Nota integrativa, delibera assembleare e scritture contabili devono essere perfettamente coerenti;
  • Sui compensi possono gravare contributi alla gestione separata e, in alcuni casi, doppia contribuzione.

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Quando il compenso nasce: delibera, contratto e prassi aziendale

Per poter parlare di compensi amministratori occorre prima che il diritto al compenso nasca. Il codice civile affida all’assemblea il potere di determinare l’emolumento degli amministratori. In alternativa la misura può essere fissata nello statuto o nel contratto di amministrazione.

Nella prassi si incontrano situazioni meno lineari. A volte l’assemblea si limita a una formula vaga, oppure rinvia la quantificazione al consiglio di amministrazione. In altri casi il compenso viene riconosciuto solo a posteriori, con delibere che ratificano attività svolte da anni. Dal punto di vista civilistico il problema è relativo. Dal punto di vista fiscale, invece, la mancanza di una base deliberativa chiara può alimentare contestazioni.

La Cassazione ha più volte ricordato che il compenso è deducibile solo se risulta da una delibera assembleare specifica, oppure da una previsione statutaria precisa. Una semplice decisione interna del consiglio, priva di ratifica assembleare, può essere giudicata insufficiente. La società si trova così a sostenere un costo che, pur esponendosi nel bilancio, rischia di non essere riconosciuto ai fini delle imposte.

Principio di cassa allargato: come si individua il pagamento

Il cuore della disciplina fiscale resta il principio di cassa allargato. Il pagamento dei compensi amministratori è considerato tempestivo se avviene entro il 12 gennaio dell’anno successivo a quello di competenza. Non conta però il momento in cui la società decide di pagare, ma quello in cui il compenso entra nella disponibilità del percettore.

Per orientarsi è utile schematizzare il momento in cui il pagamento si considera effettuato, a seconda dello strumento utilizzato.

Modalità di pagamento Momento in cui si considera pagato il compenso
Contanti Giorno di consegna della somma, documentata da quietanza firmata
Assegno bancario o circolare Data apposta sul titolo, perché in quel momento il credito si incorpora nell’assegno
Bonifico bancario Data di accredito sul conto dell’amministratore, non la data di disposizione dell’operazione

Questo dettaglio produce effetti concreti. Se una società dispone un bonifico il 10 gennaio, ma l’accredito sul conto dell’amministratore avviene il 13, il pagamento è fiscalmente tardivo. Il compenso resta di competenza del 2025, ma la deduzione slitta al 2026.

La regola vale anche per i compensi corrisposti in natura. Quando l’emolumento è costituito da beni o servizi, il pagamento coincide con il momento in cui il bene entra nella disponibilità del beneficiario. Pensiamo all’assegnazione di un’auto ad uso promiscuo o alla concessione di un alloggio. Il valore normale attribuito al fringe benefit è deducibile nell’esercizio in cui il bene viene attribuito.

Rimborsi spese, premi e utili: come trattare le componenti accessorie

I compensi amministratori spesso non si esauriscono nella mera somma fissa annua. In molte realtà la remunerazione comprende rimborsi spese, premi legati ai risultati, partecipazioni agli utili, gettoni di presenza. Anche queste voci seguono regole precise.

I rimborsi spese documentati, legati a costi sostenuti nell’interesse della società, assumono natura diversa dal compenso. In contabilità vanno comunque imputati a conto economico, ma possono essere classificati tra i costi per servizi o tra gli oneri diversi di gestione, secondo la loro natura.
Fiscalmente restano deducibili secondo il principio di competenza, perché rappresentano costi propri della società e non veri emolumenti. La parte di rimborso che eccede la spesa effettiva o che non trova supporto documentale, invece, rischia di essere qualificata come componente del compenso, con tutte le conseguenze contributive e fiscali del caso.

Le partecipazioni agli utili richiedono ancora più attenzione. Il diritto sorge solo quando l’assemblea approva il bilancio che evidenzia l’utile distribuibile. Prima di quel momento l’amministratore non può vantare alcuna pretesa. Di conseguenza il relativo costo per la società si manifesta e diventa deducibile solo nell’esercizio di approvazione del bilancio, fermo restando che anche in questo caso la deducibilità è subordinata all’effettivo pagamento.

Nota integrativa, trasparenza e controlli dell’amministrazione finanziaria

L’articolo 2427, comma 1, n. 16, del codice civile impone di indicare in nota integrativa l’ammontare dei compensi corrisposti agli amministratori, compresi le anticipazioni e i crediti concessi. L’obbligo vale anche per i compensi che rappresentano una partecipazione agli utili e per quelli che non transitano nella voce B7 del conto economico.

Nella prassi la nota integrativa è spesso il primo documento che l’Agenzia delle Entrate esamina quando avvia un controllo. Se emergono compensi indicati in nota ma non risultano pagamenti entro il 12 gennaio, nasce il sospetto che la società abbia dedotto costi in assenza del relativo presupposto fiscale. All’opposto, se i pagamenti risultano dalle schede contabili ma la nota integrativa non contiene alcuna indicazione, l’amministrazione potrebbe contestare la carenza di una delibera o di una base giuridica chiara.

Il consiglio operativo, per chi redige il bilancio, è tenere allineate tre dimensioni: delibere assembleari, dati contabili, informazioni di nota integrativa. La coerenza tra queste tre fonti riduce il rischio di accertamenti e rende più semplice ricostruire la storia dei compensi amministratori in caso di verifiche retrospettive.

Il problema della deducibilità rinviata e delle imposte anticipate

Quando il pagamento dei compensi avviene fuori tempo massimo, la società deve effettuare una variazione in aumento nel modello Redditi, perché il costo contabilizzato non è deducibile nell’esercizio. In teoria si potrebbe contabilizzare un’imposta anticipata, se sono soddisfatti i requisiti dell’OIC 25: alta probabilità che negli esercizi futuri esistano imponibili positivi sui quali recuperare la differenza temporanea.

Nella pratica molti bilanci delle piccole e medie imprese trascurano questo passaggio, anche per ragioni di semplicità. Il risultato è un carico fiscale immediato più elevato rispetto a quanto emergerebbe da una gestione rigorosa delle imposte anticipate. Per le società che generano stabilmente utili, però, una valutazione sull’iscrizione di queste attività fiscali può portare a un miglioramento significativo dei risultati di periodo.

Va poi considerato un ulteriore profilo: il mancato pagamento protratto nel tempo può far emergere dubbi sulla reale esistenza del debito verso l’amministratore. Dopo alcuni esercizi senza erogazione, i revisori e i sindaci spesso chiedono chiarimenti sulla volontà delle parti. La società potrebbe essere costretta a stornare il debito e il relativo costo, con possibili effetti anche sulle annualità pregresse se l’Agenzia dovesse contestare la genuinità del rapporto.

Compensi amministratori e contributi previdenziali

Sul piano previdenziale il quadro è meno lineare di quanto si creda. Di regola i compensi amministratori rientrano tra i redditi assimilati al lavoro dipendente (articolo 50 Tuir) e sono soggetti a contribuzione alla gestione separata Inps. L’aliquota varia nel tempo e può differenziarsi in base alla presenza o meno di altra copertura previdenziale obbligatoria.

Il problema nasce quando l’amministratore è anche socio operativo di una srl commerciale o artigiana. L’Inps, con una serie di circolari e, soprattutto, con un contenzioso ormai ampio, ha sostenuto la tesi della doppia iscrizione: gestione commercianti o artigiani per l’attività imprenditoriale e gestione separata per l’attività di amministratore. La Cassazione ha in più occasioni avallato questa impostazione.

Ne derivano tre scenari possibili:

  1. amministratore non attivo operativamente, privo di altre forme di lavoro autonomo o subordinato: contributi solo alla gestione separata;
  2. amministratore che svolge anche attività professionale con cassa autonoma: contributi alla cassa professionale e, di norma, anche alla gestione separata sui compensi amministratori;
  3. amministratore socio che partecipa in modo abituale all’attività della srl: doppia contribuzione gestione commercianti o artigiani e gestione separata.

La materia resta oggetto di contenziosi, ma ignorare la posizione contributiva degli amministratori è rischioso. L’omissione può generare recuperi che incidono pesantemente sui flussi di cassa, specie se l’Inps interviene dopo più anni con contributi, sanzioni e interessi cumulati.

Alcuni esempi numerici per orientarsi nella pratica

Si consideri una società che approva il 30 aprile 2026 il bilancio relativo al 2025 e contestualmente delibera un compenso agli amministratori di € 60.000 per l’attività svolta nel 2025. Il consiglio decide di pagare il compenso in un’unica soluzione, mediante bonifico, il 10 gennaio 2027.

Civilisticamente il costo di € 60.000 è iscritto nel bilancio 2025, alla voce B7. Il debito verso amministratori resta aperto nei conti fino al pagamento. Fiscalmente, però, la deduzione non spetta nel 2025, perché il pagamento avviene ben oltre il 12 gennaio 2026. La società dovrà effettuare una variazione in aumento di € 60.000 nel modello Redditi 2026, relativo al 2025, e potrà dedurre il costo nell’anno d’imposta 2027, quando avviene l’effettivo pagamento.

Altro caso. Una società delibera per il 2025 un compenso fisso annuo di € 30.000 e un premio variabile pari al 5% dell’utile ante imposte che superi una certa soglia. Il bilancio 2025 evidenzia un utile ante imposte sufficientemente elevato e l’assemblea delibera un premio di € 12.000. La società paga il fisso in acconti mensili e il premio con bonifico il 5 gennaio 2026.

Nel bilancio 2025 saranno iscritti sia il compenso fisso sia il premio. Dal lato fiscale, il fisso è deducibile nel 2025 perché pagato nel corso dell’anno, il premio è deducibile perché il pagamento è avvenuto entro il 12 gennaio 2026. Se, per qualunque ragione, il bonifico del premio fosse stato disposto il 15 gennaio, la deducibilità del premio slitterebbe al periodo successivo, pur restando il costo di competenza del 2025 ai fini civilistici.

Questi esempi mostrano perché i compensi amministratori richiedano una pianificazione accurata. Bastano pochi giorni di ritardo nei pagamenti per alterare il carico fiscale di un esercizio e creare differenze temporanee che complicano la lettura del bilancio.

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