Il cash pooling rappresenta uno degli strumenti più articolati e diffusi nella gestione finanziaria dei gruppi societari moderni, configurandosi come un meccanismo di centralizzazione delle disponibilità liquide finalizzato all’ottimizzazione delle risorse e alla riduzione dei costi finanziari complessivi. Tuttavia, l’implementazione di tali accordi presenta profili di complessità notevoli, sia sotto il profilo della corretta rappresentazione contabile che dal punto di vista della conformità alle disposizioni civilistiche e penali, particolarmente rilevanti nelle situazioni di crisi aziendale. L’aggiornamento del Principio contabile OIC 14 “Disponibilità liquide”, conseguente all’entrata in vigore del D.Lgs. 18 agosto 2015, n. 139 (c.d. “Decreto Bilanci”), ha fornito indicazioni specifiche per il trattamento contabile delle operazioni di cash pooling, sebbene limitate alla fattispecie dello zero balance system. Tale intervento normativo ha colmato un vuoto interpretativo significativo, fornendo criteri chiari per la classificazione delle posizioni attive e passive derivanti da questi accordi, ma ha altresì evidenziato la necessità di un approccio sistematico e rigoroso nella loro implementazione.
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Inquadramento giuridico e tipologie operative del cash pooling
Il cash pooling si sostanzia in un accordo contrattuale infragruppo mediante il quale le società partecipanti convengono la centralizzazione delle proprie disponibilità finanziarie presso un soggetto capofila (pooler), generalmente identificato nella società holding o in una società finanziaria del gruppo. Tale meccanismo persegue finalità di ottimizzazione finanziaria attraverso la compensazione automatica dei saldi attivi e passivi delle diverse entità partecipanti, consentendo una gestione unitaria della liquidità e una riduzione significativa dei costi finanziari complessivi.
Dal punto di vista operativo, si distinguono due principali configurazioni: il zero balance system (ZBS), caratterizzato da trasferimenti effettivi di liquidità che azzerano quotidianamente i saldi dei conti delle società partecipanti, e il notional cash pooling (NCP), nel quale non si verificano movimentazioni reali di fondi ma solo compensazioni contabili sui saldi di interesse. Ciascuna configurazione presenta specifiche implicazioni contabili e fiscali che richiedono un’analisi approfondita delle relative caratteristiche strutturali.
La corretta qualificazione giuridica dell’accordo di cash pooling assume rilevanza determinante ai fini della sua rappresentazione contabile e della valutazione dei profili di responsabilità degli amministratori. In particolare, la giurisprudenza ha evidenziato come la mancanza di una formalizzazione contrattuale adeguata possa esporre le operazioni a contestazioni di natura penale, specialmente nel contesto di procedure concorsuali.
Disciplina contabile secondo l’OIC 14
L’OIC 14, nella sua formulazione aggiornata, ha introdotto specifiche disposizioni per la corretta classificazione delle posizioni derivanti dal cash pooling, distinguendo tra attività finanziarie dell’attivo circolante e immobilizzazioni finanziarie in funzione delle caratteristiche dell’accordo e del livello di rischio associato.
Classificazione delle posizioni attive
Quando la società partecipante risulta creditrice nei confronti del pooler – ossia ha conferito risorse proprie nel sistema di gestione accentrata – il saldo attivo può essere classificato secondo due modalità alternative, in funzione del soddisfacimento di specifici requisiti normativi.
La prima opzione prevede l’iscrizione tra le attività finanziarie che non costituiscono immobilizzazioni (voce C.III.7 “Attività finanziarie per la gestione accentrata della tesoreria”), ma esclusivamente quando, ai sensi dell’art. 2423-ter, comma 3, c.c., sono cumulativamente soddisfatti i seguenti presupposti:
- le condizioni contrattuali che regolano la gestione della tesoreria accentrata devono essere sostanzialmente equivalenti a quelle di un deposito bancario, con particolare riferimento alla disponibilità delle somme, ai tassi di interesse applicati e alle modalità di rimborso;
- il rischio di perdita della controparte deve essere qualificabile come insignificante, valutazione che richiede un’analisi approfondita della solidità finanziaria del pooler e delle eventuali garanzie prestate.
La valutazione del “rischio insignificante” rappresenta uno degli aspetti più delicati dell’applicazione pratica dell’OIC 14. Tale concetto, infatti, non è definito normativamente in termini quantitativi, richiedendo un giudizio professionale che tenga conto di diversi fattori: la situazione patrimoniale e finanziaria del pooler, l’andamento economico del gruppo, la presenza di garanzie specifiche, nonché l’evoluzione del mercato di riferimento. Nella prassi applicativa, si ritiene generalmente soddisfatto tale requisito quando il pooler presenta adeguati indici di solidità patrimoniale e finanziaria, documentati attraverso rating interni o esterni, e quando esistono meccanismi contrattuali di garanzia o clausole di salvaguardia specifiche.
Qualora tali requisiti non siano integralmente soddisfatti, la classificazione deve avvenire tra le immobilizzazioni finanziarie (voce B.III.2), con evidenti implicazioni sulla rappresentazione della liquidità aziendale e sui relativi indici di bilancio. Questa classificazione comporta inoltre l’applicazione dei criteri di valutazione previsti per le immobilizzazioni finanziarie, inclusi i test di impairment e le relative svalutazioni in caso di perdite durevoli di valore.
Trattamento delle posizioni passive
Per quanto attiene ai saldi passivi derivanti da operazioni di cash pooling, sebbene l’attuale formulazione degli OIC 14 e 19 non contenga indicazioni esplicite, la prassi consolidata e i principi generali di rappresentazione contabile suggeriscono che tali importi debbano essere iscritti tra i debiti, con specifica evidenziazione nella categoria appropriata in funzione della natura del rapporto e delle scadenze previste.
La classificazione tra debiti a breve o medio-lungo termine dipende dalle caratteristiche dell’accordo di cash pooling e dalle modalità di regolamento previste contrattualmente. In presenza di accordi che prevedono la possibilità di richiedere il rimborso delle somme senza vincoli temporali specifici, la classificazione tra i debiti a breve termine appare più appropriata. Viceversa, quando l’accordo stabilisce termini di rimborso predeterminati superiori ai dodici mesi, si rende necessaria la classificazione tra i debiti a medio-lungo termine.
Obblighi informativi e trasparenza nella nota integrativa
L’OIC 14 stabilisce specifici obblighi informativi per le società che partecipano ad accordi di cash pooling, richiedendo un’adeguata descrizione di tali operazioni nella nota integrativa. Tale obbligo informativo non riveste carattere meramente formale, ma costituisce un elemento essenziale per garantire la trasparenza dell’informazione finanziaria e la corretta valutazione della situazione patrimoniale e finanziaria dell’impresa da parte degli utilizzatori del bilancio.
Le informazioni da fornire comprendono necessariamente:
- La natura giuridica dell’accordo: specificando se si tratti di un contratto di deposito, di finanziamento, di mandato o di altra natura, con evidenziazione delle principali clausole contrattuali che ne definiscono il funzionamento;
- I criteri di determinazione degli interessi attivi e passivi: incluse le modalità di calcolo, i tassi applicati, le scadenze di maturazione e le eventuali clausole di indicizzazione o variabilità;
- Le modalità di regolamento delle posizioni: specificando i termini temporali, le condizioni di rimborso, le eventuali clausole di compensazione e i meccanismi di risoluzione delle controversie;
- I rischi connessi e le eventuali garanzie: con particolare riferimento ai rischi di credito, di liquidità e operativi, nonché alle garanzie prestate o ricevute per la copertura di tali rischi.
Tali obblighi informativi si inquadrano nel più ampio sistema di principi stabiliti dall’art. 2423 del Codice civile (chiarezza, veridicità e correttezza), finalizzati a garantire una rappresentazione fedele della situazione patrimoniale, finanziaria ed economica dell’impresa. La loro osservanza assume particolare rilevanza anche ai fini della prevenzione di contestazioni future, sia sotto il profilo civilistico che penale.
Disciplina contabile degli interessi e principio di non compensazione
Una delle questioni più tecnicamente complesse nell’applicazione dell’OIC 14 ai contratti di cash pooling riguarda il trattamento contabile degli interessi attivi e passivi derivanti da tali operazioni. L’OIC 14, concentrandosi primariamente sulle disponibilità liquide, non fornisce indicazioni specifiche e dettagliate su questo aspetto, rendendo necessario il ricorso ai principi generali di rappresentazione contabile e, in particolare, al divieto di compensazione stabilito dall’ultimo comma dell’art. 2423-ter c.c.
Il modello zero balance system
Nel modello zero balance system, gli interessi attivi e passivi vengono accreditati o addebitati dall’istituto bancario direttamente sul conto accentrato intestato al pooler. Dal punto di vista contabile, tali interessi devono essere integralmente rilevati a conto economico dal pooler, il quale assume la veste di soggetto civilmente responsabile nei rapporti con l’istituto bancario.
Successivamente, il pooler deve provvedere alla ripartizione di tali interessi tra le società aderenti sulla base dei saldi individuali e dei criteri stabiliti contrattualmente nell’accordo di cash pooling. Tale ripartizione deve avvenire nel rispetto del principio di competenza economica, indipendentemente dalle modalità e dai tempi di regolamento finanziario effettivo.
Le imprese partecipanti, dal canto loro, devono registrare separatamente gli interessi maturati sui propri saldi, rispettando rigorosamente il principio di competenza anche quando contrattualmente è prevista una compensazione finanziaria con altri componenti reddituali. Il divieto di compensazione ex art. 2423-ter c.c. opera infatti in modo assoluto, impedendo qualsiasi forma di netting contabile tra componenti positivi e negativi di reddito.
Il modello notional cash pooling
Il caso del cash pooling “notional” presenta una complessità operativa maggiore, poiché mancano trasferimenti effettivi di liquidità tra le società partecipanti. In questa configurazione, l’istituto bancario calcola gli interessi su base consolidata, considerando il saldo netto complessivo del gruppo, ma mantiene separati i conti individuali delle singole società.
La società pooler assume comunque il ruolo di soggetto coordinatore e deve determinare, sulla base di criteri predefiniti contrattualmente, la ripartizione degli interessi imputabili a ciascuna società partecipante. Tale determinazione deve avvenire con criteri oggettivi e trasparenti, generalmente basati sui saldi medi individuali e sui periodi di utilizzo delle risorse.
Le società partecipanti devono registrare gli interessi loro attribuiti secondo il principio di competenza, indipendentemente dal fatto che non si siano verificate movimentazioni fisiche delle somme. La contabilizzazione deve avvenire nelle apposite voci di conto economico, mantenendo separata evidenza della natura infragruppo dell’operazione.
Collocazione sistematica a conto economico
La corretta collocazione a conto economico dei componenti reddituali derivanti dalle operazioni di cash pooling riveste particolare importanza ai fini della comparabilità e della corretta interpretazione dei risultati economici dell’impresa. L’OIC 12 “Composizione e schemi del bilancio d’esercizio” fornisce indicazioni specifiche per la classificazione di tali componenti.
Proventi finanziari
I proventi maturati nell’ambito di accordi di cash pooling devono essere iscritti nella voce C.16.d del conto economico (“proventi diversi dai precedenti”), con specifica evidenziazione separata degli importi derivanti da rapporti con imprese controllate, collegate, controllanti o sottoposte al controllo di queste ultime, conformemente a quanto previsto dall’art. 2427, n. 22-bis, c.c.
Tale classificazione riflette la natura particolare di questi proventi, che non derivano da investimenti finanziari tradizionali ma da specifici accordi di gestione accentrata della liquidità. La separata indicazione degli importi infragruppo consente agli utilizzatori del bilancio di valutare correttamente l’impatto di tali operazioni sui risultati economici e di distinguerli dai proventi derivanti da rapporti con terzi.
Oneri finanziari
Analogamente, gli oneri finanziari generati dalle operazioni di cash pooling devono essere classificati nella voce C.17.d del conto economico (“interessi e altri oneri finanziari”), mantenendo separata evidenza dei rapporti con soggetti del gruppo secondo la medesima logica applicata ai proventi.
Questa classificazione simmetrica garantisce coerenza nella rappresentazione economica delle operazioni e facilita l’analisi dei risultati finanziari dell’impresa, consentendo una valutazione più accurata dell’impatto del cash pooling sulla gestione finanziaria complessiva.
Profili fiscali e di transfer pricing: la riqualificazione secondo la Cassazione
Prima di analizzare i profili penali, occorre esaminare le recenti evoluzioni giurisprudenziali in materia fiscale, particolarmente rilevanti per i gruppi multinazionali che implementano sistemi di cash pooling con società non residenti.
La sentenza della Cassazione n. 998/2024
La Corte di Cassazione, con sentenza n. 998/2024, ha fornito importanti chiarimenti sui criteri di qualificazione fiscale degli accordi di zero balance cash pooling nei rapporti internazionali, delineando i confini tra gestione accentrata della tesoreria e finanziamento soggetto alle regole dei prezzi di trasferimento.
La controversia traeva origine da una verifica fiscale condotta dall’Amministrazione finanziaria nei confronti di una società italiana interamente partecipata da una controllante irlandese. L’Ufficio aveva proceduto alla riqualificazione del rapporto di cash pooling in un finanziamento a medio-lungo termine, sulla base di specifici elementi fattuali emersi durante l’accertamento per il periodo gennaio 2000-settembre 2005:
- Unidirezionalità dei flussi: la consociata italiana non faceva mai ricorso al credito infragruppo, limitandosi a trasmettere alla tesoreria centralizzata esclusivamente i propri saldi attivi;
- Frequenza dei trasferimenti: le movimentazioni non avvenivano con cadenza giornaliera, come tipico del zero balance system, ma secondo periodicità più estese;
- Autonomia operativa: la società italiana manteneva sul proprio conto corrente somme aggiuntive che le consentivano di operare indipendentemente dal sistema centralizzato.
Sulla scorta di tali circostanze, l’Amministrazione finanziaria ha rilevato “la stipulazione di un contratto eccentrico rispetto a quanto formalmente dichiarato”, procedendo al recupero dei maggiori interessi attivi da finanziamento ricalcolati a valore normale secondo le disposizioni dell’art. 110, comma 7, del TUIR in materia di prezzi di trasferimento.
I criteri di riqualificazione fiscale
La Suprema Corte, pur pronunciandosi favorevolmente al contribuente per insufficienza probatoria, ha confermato la validità metodologica dell’approccio adottato dall’Amministrazione finanziaria. In particolare, la Cassazione ha osservato che “il contratto in esame non potrebbe essere considerato una forma di tesoreria accentrata, dovendosi considerare gli elementi precipui cioè la circostanza che i trasferimenti attivi e passivi non avvenivano a fine giornata, ma con cadenza più ampia, nonché la circostanza che solo le somme in eccedenza sono state versate dalla italiana alla irlandese, che mai l’italiana ha fatto ricorso al credito presso l’irlandese”.
Il rapporto, secondo la ricostruzione della Corte, “si sostanzia in un vero e proprio contratto di messa a disposizione della liquidità eccedente il fabbisogno di cassa della partecipata italiana a favore della controllante irlandese”, configurando pertanto un finanziamento soggetto alla disciplina dei transfer pricing.
Precedenti giurisprudenziali tributari
La pronuncia si inserisce in un filone interpretativo già delineato dalla Commissione Tributaria Regionale della Lombardia nella sentenza n. 1847 del 17 maggio 2021, che aveva escluso la configurabilità di uno schema di “zero balance cash pooling” in presenza di un rapporto caratterizzato da:
- Mancanza del requisito essenziale della reciprocità delle rimesse tra società capogruppo e consociata;
- Presenza di soli trasferimenti di saldi debitori in capo a una delle parti;
- Debito verso la controparte in costante crescita temporale.
Implicazioni per la pianificazione fiscale internazionale
Le indicazioni fornite dalla giurisprudenza di legittimità impongono agli operatori una verifica accurata dell’effettiva sussistenza dei requisiti sostanziali del cash pooling, con particolare riferimento a:
- Reciprocità effettiva: deve essere dimostrata attraverso documentazione che evidenzi l’esistenza di flussi bidirezionali tra le parti, non limitandosi a trasferimenti unidirezionali di eccedenze di liquidità;
- Cadenza operativa: i trasferimenti devono avvenire con frequenza compatibile con la finalità di gestione accentrata della tesoreria, preferibilmente giornaliera o comunque sufficientemente regolare;
- Evoluzione dei saldi: l’andamento delle posizioni creditorie e debitorie deve riflettere una gestione effettivamente centralizzata, evitando situazioni di indebitamento sistematico e crescente di una delle parti.
Profili di responsabilità penale: l’evoluzione giurisprudenziale
L’aspetto più delicato e potenzialmente problematico del cash pooling emerge in presenza di situazioni di crisi aziendale, quando le movimentazioni finanziarie possono essere sottoposte al vaglio dell’Autorità giudiziaria sotto il profilo della loro legittimità e della configurabilità di reati fallimentari.
La pronuncia della Cassazione n. 37062/2022
La Corte di Cassazione, con ordinanza n. 37062 del 24 maggio 2022 (deposito 30 settembre 2022), ha delineato i confini tra operazione lecita e condotta penalmente rilevante, stabilendo principi interpretativi di fondamentale importanza per la prassi operativa.
Secondo la Suprema Corte, le movimentazioni finanziarie effettuate nell’ambito di accordi di cash pooling possono integrare gli estremi del reato di bancarotta fraudolenta per distrazione ex art. 216, comma 1, n. 1, L. Fall., quando non sussista una gestione unitaria effettivamente dimostrabile, fondata su presupposti contrattuali formalizzati e su vantaggi compensativi oggettivamente riscontrabili per tutte le società partecipanti.
La Corte ha individuato due condizioni cumulative per escludere la configurabilità del reato:
- La presenza di un contratto di cash pooling formalizzato, che definisca con precisione e chiarezza le modalità operative di funzionamento, gli aspetti economici (tassi applicati, modalità di calcolo degli interessi, tempistiche di maturazione e rimborso), nonché i profili di responsabilità nella gestione delle risorse condivise;
- La dimostrazione dell’esistenza di vantaggi compensativi concreti per la società “apparentemente depauperata”, da valutare in relazione alla sua effettiva partecipazione al gruppo e agli effetti economici positivi derivanti dalla gestione accentrata della liquidità.
La pronuncia della Cassazione n. 23910/2024
L’evoluzione giurisprudenziale ha trovato ulteriore consolidamento nella pronuncia n. 23910 del 22 febbraio 2024, con cui la sezione V penale della Corte di Cassazione ha confermato un’interpretazione particolarmente rigorosa in materia, affermando che il mero fatto di aver effettuato trasferimenti finanziari a favore della capogruppo non è sufficiente, da solo, a escludere la configurabilità del reato di bancarotta fraudolenta per distrazione.
La Suprema Corte ha specificato che è indispensabile che il contratto di cash pooling sia chiaro, dettagliato e completo sin dalla sua stipula, sia sotto il profilo economico che sotto quello giuridico. Non si tratta, quindi, di una mera formalità documentale, ma di un requisito sostanziale che può determinare la qualificazione penale dell’operazione.
Particolare rilevanza assume, secondo questa pronuncia, la necessità che il contratto contenga:
- Una disciplina precisa dei rapporti economici tra le parti,
- La definizione dei criteri di determinazione degli interessi e delle commissioni,
- Le modalità di calcolo e ripartizione dei vantaggi,
- I meccanismi di garanzia e tutela delle società partecipanti,
- Le procedure di monitoraggio e controllo dell’operatività.
La sentenza del Tribunale di Milano n. 2146/2022
Di segno parzialmente diverso, ma altrettanto significativa per la comprensione del quadro giurisprudenziale, è la pronuncia del Tribunale di Milano, sez. II penale, sentenza 25 febbraio 2022 (deposito 28 marzo 2022), n. 2146, che ha escluso la configurabilità del reato di dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici ex art. 3, D.Lgs. n. 74/2000.
Il Tribunale milanese ha evidenziato come la sola esistenza di movimentazioni finanziarie tra società del medesimo gruppo non sia sufficiente, ai fini penali, a configurare una condotta fraudolenta in ambito tributario, qualora non siano accompagnate da elementi ulteriori di artificiosità, quali:
- La predisposizione di documenti contabili falsi o artefatti,
- Il ricorso a mezzi ingannevoli specificamente finalizzati a ostacolare l’accertamento fiscale,
- La creazione di situazioni apparenti non corrispondenti alla sostanza economica dell’operazione.
Questa pronuncia, pur riferendosi a fattispecie di reato diverse da quelle fallimentari, contribuisce a delineare un quadro interpretativo più articolato, nel quale assume rilevanza determinante la valutazione della sostanza economica dell’operazione e della presenza di finalità effettivamente elusive.