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Affitto d’azienda: l’inerenza dei costi immobiliari secondo la CGT del Molise

16 Settembre, 2025

La Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado del Molise, con la sentenza n. 52 del 7 marzo 2025, ha riformato una precedente decisione di primo grado. Il caso riguarda la deducibilità delle spese sostenute per immobili nell’ambito di contratti d’affitto di azienda. La questione tocca uno degli aspetti più delicati del reddito d’impresa: quando un costo può considerarsi inerente all’attività. Il giudice di prime cure aveva inizialmente riconosciuto la legittimità dei costi sostenuti dall’affittuario. La decisione si basava sui contenuti specifici del contratto di affitto d’azienda e sulle previsioni contrattuali. Tuttavia, i giudici di secondo grado hanno ribaltato questa interpretazione, rivedendo completamente l’approccio alla questione.

🕒 Cosa sapere in un minuto

  • La CGT Molise ha ridefinito l’inerenza dei costi negli affitti d’azienda: non serve un rapporto diretto tra costo e ricavo, conta la riferibilità al complesso dell’attività d’impresa.
  • Le clausole contrattuali non bastano: bisogna dimostrare che i costi immobiliari siano realmente funzionali all’attività svolta, anche tramite documentazione contabile adeguata.
  • Il criterio di correlazione tra costi e ricavi vale solo per la tempistica, non per determinare l’inerenza fiscale.
  • Occhio agli aspetti antielusivi: se il valore dell’azienda deriva per oltre il 50% dagli immobili, può scattare la disciplina della locazione immobiliare.
  • La Cassazione conferma che sono deducibili anche i costi sostenuti su immobili di terzi se strumentali all’attività, ma restano esclusi i casi non strettamente connessi.
  • In sede di contenzioso, il contribuente deve provare la correttezza dei criteri adottati e l’amministrazione deve contestare in modo specifico, non generico.

Il principio di inerenza nell’imposta sui redditi

La Corte molisana ha precisato un concetto fondamentale. L’inerenza non implica necessariamente un rapporto causale diretto tra costo e ricavo. Si tratta invece di un criterio più ampio che attiene alla riferibilità del costo all’attività d’impresa nella sua globalità.

Questo orientamento si distacca da quella prassi consolidata che richiedeva una correlazione specifica tra spesa sostenuta e proventi derivanti dall’attività. La norma di riferimento rimane l’articolo 109, comma 5, del TUIR, ma la sua interpretazione viene ora ricondotta al corretto ambito applicativo.

Il criterio di correlazione tra costi deducibili e ricavi imponibili trova la sua codificazione proprio nel citato articolo 109. Tuttavia – e questo è il punto cruciale della decisione – tale regola opera specificamente per l’imputazione temporale dei costi, non per determinarne l’inerenza.

La rivalutazione del caso in questione

Nel caso specifico esaminato dalla Corte, l’affittuario aveva sostenuto spese per l’immobile oggetto del contratto. Il contratto d’affitto d’azienda prevedeva clausole che, in prima battuta, sembravano giustificare la deducibilità di tali oneri.

I giudici di secondo grado hanno però evidenziato come la mera previsione contrattuale non sia sufficiente a garantire l’inerenza. È necessario valutare se il costo si riferisca effettivamente all’attività d’impresa complessivamente considerata.

La sentenza chiarisce che occorre verificare la sostanza economica dell’operazione. Non bastano i richiami formali contenuti nel contratto se manca la reale connessione con l’attività imprenditoriale svolta dall’affittuario.

Profili applicativi nella prassi operativa

Nella prassi professionale si osserva spesso una certa confusione nell’applicazione del principio di inerenza ai contratti d’affitto di azienda. La giurisprudenza ha talvolta interpretato in modo restrittivo la deducibilità dei costi, specialmente quando riguardano beni immobili.

La sentenza del Molise introduce elementi di chiarezza. L’inerenza deve essere valutata in rapporto all’attività d’impresa nel suo complesso, non limitatamente ai singoli ricavi o proventi. Questo approccio risulta più coerente con la natura stessa del reddito d’impresa.

È importante notare come la decisione si inserisca in un orientamento giurisprudenziale più ampio. Le Sezioni Unite della Cassazione hanno già affrontato questioni simili in relazione alla detrazione IVA per lavori su immobili di terzi. Il principio di strumentalità all’attività d’impresa rimane centrale anche per le imposte dirette.

Aspetti critici ricorrenti

Nell’esperienza applicativa emergono alcune criticità che meritano attenzione. Prima fra tutte, la difficoltà di distinguere tra affitto d’azienda vero e proprio e locazione commerciale mascherata.

La normativa antielusiva prevista dall’art. 35, comma 10-quater, del D.L. 223/2006 interviene quando il valore dell’azienda sia costituito per oltre il 50% dal valore degli immobili. In tali circostanze si applica il regime della locazione immobiliare anziché quello dell’affitto d’azienda.

Questo meccanismo ha l’obiettivo di evitare manovre elusive finalizzate al risparmio d’imposta. Tuttavia, nella pratica può generare incertezze interpretative, soprattutto nella valutazione del valore normale dei fabbricati secondo l’art. 14 del DPR 633/72.

Orientamenti della Cassazione

La Suprema Corte ha consolidato alcuni principi in materia di inerenza dei costi sostenuti su beni di terzi. Le sentenze nn. 8389/2013, 6200/2015, 6022/2020 e 9327/2014 hanno riconosciuto la deducibilità di spese di ristrutturazione sostenute dall’utilizzatore del bene.

La condizione essenziale rimane l’esistenza di un nesso di strumentalità con l’attività d’impresa. Non rileva che il soggetto non sia proprietario del bene, purché la spesa sia finalizzata all’esercizio dell’attività imprenditoriale.

Si consideri tuttavia che non tutti i costi trovano automaticamente copertura in questi orientamenti. La Cassazione ha negato il diritto alla deducibilità in alcune fattispecie specifiche, come nel caso di opere inseparabili dal bene su cui insistono (Cass. n. 24779/2015).

Implicazioni operative per gli affittuari

Dal punto di vista operativo, la decisione del Molise comporta alcune conseguenze pratiche per gli affittuari d’azienda. È necessario documentare adeguatamente il collegamento tra i costi sostenuti e l’attività d’impresa.

Non è sufficiente fare affidamento sulle clausole contrattuali. Occorre dimostrare che le spese sono state sostenute per assicurare lo sfruttamento nel tempo degli immobili e sono finalizzate all’esercizio della propria attività.

La corretta tenuta della documentazione contabile assume un rilievo particolare. I costi devono risultare chiaramente dalle scritture obbligatorie e la loro imputazione deve rispettare i criteri civilistici e fiscali applicabili.

Aspetti procedurali del contenzioso

Dal punto di vista procedurale, la sentenza evidenzia l’importanza di una difesa tecnica adeguata. L’onere del contribuente è quello di provare la correttezza dei criteri adottati nella valutazione dell’inerenza.

La giurisprudenza di legittimità ha chiarito che l’amministrazione finanziaria non può limitarsi a contestazioni generiche. Deve fornire elementi specifici che dimostrino la mancanza di inerenza del costo all’attività d’impresa.

Negli aspetti spesso trascurati emerge la necessità di una valutazione caso per caso. Non esistono automatismi nella qualificazione dell’inerenza, che dipende sempre dalle circostanze concrete del singolo rapporto contrattuale.

Considerazioni sulla tempistica

Un aspetto rilevante riguarda l’imputazione temporale dei costi inerenti. Secondo quanto previsto dall’art. 109, comma 4, del TUIR, i costi ad utilizzazione pluriennale devono essere ripartiti nel periodo di utilità.

Nel caso dell’affitto d’azienda, occorre considerare la durata del contratto e l’eventuale diritto di rinnovo. La CTR ha stabilito che il contribuente deve provare la correttezza del periodo di ammortamento adottato.

La normativa fiscale si “appiattisce” su quella civilistica, ma non elimina l’onere probatorio a carico del soggetto passivo. È necessario dimostrare che il periodo di utilità futura sia effettivamente quello indicato in contabilità.

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