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Tassazione vendite online beni usati

Tassazione vendite online beni usati: quando Vinted, eBay e Subito diventano attività di impresa

4 Novembre, 2025

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Lo scenario commerciale contemporaneo ha trasformato il concetto stesso di “attività d’impresa”. Non è più necessario possedere un negozio fisico, una ragione sociale o una struttura organizzata complessa per incorrere negli obblighi fiscali che la legge riserva agli imprenditori. A confermarlo è stata di recente la Corte di Cassazione, la quale ha fornito una pronuncia destinata a chiarire definitivamente una questione rimasta a lungo incerta: la vendita frequente di beni attraverso piattaforme digitali può costituire attività commerciale vera e propria, con tutte le conseguenze tributarie che ne scaturiscono.

🕒 Cosa sapere in un minuto

  • Le vendite occasionali di oggetti personali usati su Vinted, eBay e piattaforme simili non sono tassabili, indipendentemente dal ricavo realizzato.
  • L’elemento discriminante tra occasionalità e attività d’impresa è l’abitualità e la continuità delle transazioni, non la presenza di una struttura formale.
  • La sentenza della Corte di Cassazione n. 7552 del 21 marzo 2025 ha chiarito che 1.600 vendite in due anni configurano definitivamente un’attività commerciale, anche senza negozio fisico.
  • La direttiva europea DAC7 (in vigore dal 1° gennaio 2023) obbliga le piattaforme a comunicare al fisco i dati dei venditori che superano 30 operazioni oppure 2.000 euro di ricavo in un anno.
  • Il superamento di queste soglie non equivale automaticamente a tassazione, ma attiva il controllo dell’Agenzia delle Entrate, che valuterà caso per caso la natura dell’attività.
  • Chi esercita attività d’impresa abituale deve aprire partita IVA, dichiarare i redditi, emettere fatture e versare imposte secondo le aliquote ordinarie (23%-43% di Irpef).
  • L’Agenzia può ricostruire i redditi omessi attraverso i movimenti bancari e i dati comunicati dalle piattaforme, con sanzioni retroattive sino a 5 esercizi.
Conclusione operativa: chi intende operare occasionalmente deve restare al di sotto delle soglie DAC7; chi sviluppa attività strutturata deve regolarizzarsi proattivamente con la partita IVA, evitando controlli più severi successivamente.

Il discrimine tra occasionale e abituale

Accade frequentemente che il contribuente italiano si trovi di fronte a un dubbio: liquidare il guardaroba su Vinted, cedere oggetti da collezione su eBay oppure ricavare qualcosa dai beni invenduti rappresenta veramente un’attività da tassare? La risposta non è univoca, perché dipende anzitutto da come il fisco qualifica l’operazione. La norma tributaria, in questo, traccia una linea ben precisa. Le vendite occasionali di beni personali non costituiscono reddito imponibile: un capo d’abbigliamento usato, una bicicletta dismessa, persino mobili di cui ci si vuole disfare rientrano nella sfera privata del soggetto e non generano pretese fiscali. Qui, il principio è basilare: chi aliena ciò che possiede, saltuariamente e senza scopo di lucro, non compie un’azione qualificabile come commerciale.

Il discorso muta radicalmente nel momento in cui quella che sembrava una semplice pulizia dell’armadio acquisisce caratteristiche di sistematicità. Quand’è che si oltrepassa il confine? Secondo la pratica amministrativa consolidata, l’elemento discriminante non è la presenza di una organizzazione formale, bensì la ricorrenza e la continuità delle operazioni. Se le transazioni si moltiplicano nel corso del medesimo anno solare, se i corrispettivi incassati raggiungono importi significativi, se la tipologia di beni venduti rivela intenti speculativi, allora siamo di fronte a un comportamento diverso. Non più occasionale, dunque, ma abituale.

La sentenza della Cassazione che cambia il quadro

Pochi mesi fa, la Suprema Corte ha preso posizione in modo netto su una fattispecie che sintetizza perfettamente questa evoluzione. Nel caso sottoposto al giudizio (sentenza n. 7552 del 21 marzo 2025), un contribuente aveva effettuato 1.211 vendite di calzature nel primo anno di osservazione e 418 nel secondo. Un numero decisamente spropositato per chiunque volesse sostenere che si trattasse di operazioni sporadiche. L’Agenzia delle Entrate aveva ricostruito gli importi incassati attraverso le tracce bancarie e le comunicazioni provenienti dalle piattaforme, giungendo alla conclusione che l’attività configurasse un vero e proprio reddito d’impresa omesso dal bilancio fiscale.

La difesa del contribuente ha tentato di opporre un argomento: l’assenza di una struttura organizzata, il fatto che le vendite avvenissero da casa propria, senza dipendenti né magazzino né qualsiasi altro elemento tipicamente associato a un’impresa tradizionale. Ma la Cassazione non ha aderito a questa tesi. Ha stabilito, invece, che l’abitualità dell’attività è sufficiente di per sé a configurare una fattispecie commerciale. Non occorre, cioè, che il contribuente possieda i tratti formali dell’imprenditore per essere sottoposto alla disciplina tributaria dell’impresa stessa. L’elemento centrale rimane il comportamento economico: se vendi in modo frequente e continuativo, sei un imprenditore. Punto. La sentenza tocca un nervo scoperto del sistema, soprattutto considerato il diffondersi delle piattaforme che rendono accessibile il commercio a chiunque disponga di una connessione internet.

Le soglie della direttiva Dac7

Parallelamente a questa evoluzione giurisprudenziale, l’Europa ha deciso di intervenire. Dal 1° gennaio 2023, è entrata in vigore la direttiva Ue 2021/514, comunemente nota come Dac7 (sigla che rimanda al directive on administrative cooperation). Il presupposto è semplice ma rivoluzionario: i gestori delle piattaforme digitali devono comunicare all’Agenzia delle Entrate (e alle autorità fiscali competenti negli altri Stati membri) i dati relativi ai venditori che superano determinate soglie. Non si tratta di una semplice comunicazione facoltativa bensì di un obbligo legale, il cui inadempimento comporta rischi anche significativi per la piattaforma.

Le soglie sono due. La prima è numerica: se effettui più di 30 operazioni in un anno solare, il tuo profilo entra nella sfera di comunicazione obbligatoria. La seconda è monetaria: se il totale dei corrispettivi incassati raggiunge o supera i 2.000 euro nello stesso periodo, scatta l’identico obbligo. Non importa che in realtà tu non abbia guadagnato nulla (nel caso, ad esempio, di vendite in perdita): quello che conta è l’importo lordo incassato. Importante, tuttavia, tenere a mente che l’Iva, le commissioni trattenute dalla piattaforma e gli altri oneri di natura amministrativa sono esclusi dal computo. Le piattaforme si sono già adeguate, implementando sistemi di raccolta dati che identificano automaticamente quando un utente raggiunge o supera le soglie e provvedono a richiedere la compilazione di moduli con i dati fiscali del venditore.

La trasmissione avviene entro il 31 dicembre di ogni anno, rispetto alle operazioni dell’anno precedente. Le autorità tributarie italiane ricevono così informazioni dettagliate: il numero di transazioni, gli importi lordi, i dati anagrafici e fiscali del venditore, l’Iban del conto utilizzato. Un tracciamento, insomma, che nega praticamente qualsiasi spazio a comportamenti omissivi.

L’attività d’impresa oltre la struttura formale

La giurisprudenza amministrativa ha già chiarito, attraverso numerose sentenze tributarie, che il requisito dell’organizzazione economica non è determinante al fine di identificare un’impresa. L’articolo 55 del Tuir (Testo unico delle imposte sul reddito) definisce redditi d’impresa quelli derivanti dall’esercizio di arti e professioni. La norma non richiede la pre-esistenza di un’organizzazione, di locali, di strutture fisiche o di dipendenti. Al contrario, essa guarda al fatto economico sostanziale: se la gestione di beni, la loro trasformazione, il loro scambio avvengono con sistematicità e professionalità, allora siamo di fronte a reddito d’impresa.

Un aspetto non sufficientemente noto riguarda il fatto che questa qualificazione prescinde completamente dall’apertura di una partita Iva. Cioè, un soggetto può svolgere attività d’impresa anche senza averla formalmente registrata presso l’Agenzia. Il contrario, però, non è vero: è del tutto illegittimo intestarsi una partita Iva ma non operare alcunché. La conseguenza di questa mancata qualificazione genera responsabilità fiscale retroattiva. Se l’Agenzia scopre, attraverso i dati comunicati dalle piattaforme o altre fonti, che hai condotto attività commerciale abituale senza dichiararla, potrai ricevere un avviso di accertamento che ripercorrerà i redditi non dichiarati negli anni passati (generalmente sino a 5 esercizi), incrementati di sanzioni amministrative e, eventualmente, di interessi moratori.

La pratica amministrativa e le criticità interpretative

Nella prassi applicativa, emerge una questione delicata. Non esiste attualmente una soglia numerica ufficiale stabilita dalla legge che dica: “da questo numero di vendite in poi sei obbligato a considerarti imprenditore”. La Dac7, come riportato, identifica 30 transazioni e 2.000 euro come elementi che attivano l’obbligo comunicativo verso le autorità fiscali. Ma la Dac7 non è una norma tributaria di qualificazione; è una norma di trasparenza amministrativa. Significa che il superamento di quelle soglie non comporta automaticamente che debba pagarsi l’Iva o che scatti la qualificazione d’impresa. Quello che accade è che i tuoi dati finiscono nella sfera di controllo delle autorità.

Questa distinzione, benché sottile, riveste importanza capitale. L’Agenzia delle Entrate, ricevuti i dati, procede a una valutazione caso per caso. Osserva il numero complessivo di vendite, l’importo unitario dei beni, il loro genere, i tempi intercorsi tra acquisto e cessione (nel caso in cui sia dimostrabile l’acquisto). Valuta se la vendita di “oggetti usati” sia realmente tale oppure se si configuri una rivendita sistematica di merce. Tutti questi fattori concorrono a formare il convincimento dell’ufficio circa la natura dell’attività.

Le conseguenze tributarie della qualificazione

Nel momento in cui l’Agenzia determina che le vendite costituiscono attività d’impresa, il venditore viene assoggettato a una serie di obblighi dai quali non può sottrarsi. In primo luogo, occorre procedere all’iscrizione in via retroattiva nel registro delle imprese presso la Camera di commercio (o nell’equivalente organo). Questo atto è presupposto per l’emissione della partita Iva. Da quel momento, ogni successiva vendita deve essere documentata attraverso fattura (oppure, in casi specifici, attraverso lo scontrino fiscale) e i dati contabili devono essere versati all’Agenzia secondo la cadenza amministrativa prevista dal regime contabile adottato (ordinario o semplificato).

L’aspetto più gravoso riguarda però l’Iva. Un’impresa, in linea generale, non paga Iva sui ricavi che incassa, bensì versa lo Stato la differenza tra l’Iva dovuta sulle vendite e quella detraibile sugli acquisti. Nel caso di vendita di beni usati, però, la disciplina è leggermente diversa (il cosiddetto regime dei beni usati previsto dall’articolo 36-bis del Dpr 633/1972), ma comunque il vendente diviene responsabile verso il fisco dell’adempimento di obblighi amministrativi stringenti.

Inoltre, i guadagni incassati devono essere dichiarati nella dichiarazione dei redditi come redditi d’impresa, calcolandone la tassazione secondo l’aliquota Irpef ordinaria applicabile al contribuente (con scaglioni che vanno dal 23% al 43% a seconda dei redditi complessivi). Non mancano poi i contributi previdenziali per i lavoratori autonomi, qualora non si proceda diversamente. Infine, la tenuta della contabilità diviene obbligatoria, come pure la comunicazione dei dati al fisco tramite modelli fiscali specifici.

Il controllo del fisco e l’uso dei dati bancari

L’Agenzia delle Entrate ha ulteriormente rafforzato i propri strumenti di controllo. Può ricorrere alle presunzioni legali ex articolo 51 del Dpr 633/1972, il quale stabilisce che movimenti significativi su conti correnti privi di giustificazione documentale possono costituire presunzione legale di reddito commerciale. Se la banca comunica al fisco bonifici ricorrenti verso il conto di un soggetto e questi non viene dichiarato da alcuna parte, sorge il sospetto fondato. Incrocio questa informazione con i dati comunicati dalle piattaforme e il quadro si completa.

Il rapporto Eurispes intitolato “Riflessi fiscali e profili accertativi del commercio online” ha documentato come siano già state avviate indagini articolate, volta a identificare i “falsi venditori occasionali”. Alcuni soggetti, infatti, ricorrono a un escamotage: si registrano come privati sulle piattaforme, vendono pochi articoli inizialmente, poi gradualmente convertono il profilo in uno strumento di commercio professionale vero e proprio. Il fisco ha imparato a riconoscere questo pattern comportamentale e lo monitora attentamente.

Aspetti specifici: il valore unitario e l’intento speculativo

Un elemento che merita attenzione concerne il valore degli articoli venduti. Non tutti i venditori si limitano a piazzare centinaia di capi di abbigliamento usati. Taluni commerciano beni di elevato valore unitario: orologi d’epoca, gioielli, opere d’arte, automobili storiche. Anche poche vendite di questo tipo, se ripetute sistematicamente, possono far emergere un intento speculativo, cioè l’intenzione di acquistare a prezzo inferiore e rivendere a prezzo superiore, traendo guadagno dalla transazione. Questo intento speculativo, secondo la giurisprudenza consolidata, è indizio di attività d’impresa anche ove non sia accompagnato da volumetria elevata.

Considerazioni analoghe valgono nel caso di beni da collezione o da investimento. Se un soggetto acquista regolarmente gioielli vintage, Li lascia invecchiare (talvolta per migliorarne il valore di collezione) e poi li cede, la plusvalenza realizzata potrebbe essere soggetta a tassazione come reddito diverso (se l’attività non è qualificata come impresa). Tuttavia, se questa attività si ripete con frequenza, sfuma nuovamente verso la qualificazione d’impresa.

La situazione normativa vigente e i chiarimenti dell’Agenzia

L’Agenzia delle Entrate, con vari provvedimenti (in particolare, il provvedimento del 20 novembre 2023 che ha recepito la Dac7 nel nostro ordinamento), ha cercato di fornire chiarimenti. Ha distinto tra:

I. Vendite saltuarie di beni personali usati (esenti da tassazione e da obblighi di comunicazione) II. Vendite abituali di beni usati (tassabili come redditi d’impresa o redditi diversi, a seconda dei caratteri dell’attività) III. Attività strutturata di commercio (sempre tassabile come reddito d’impresa)

La transizione dalla categoria I alla categoria II non è segnalata da un numero magico, bensì da una valutazione contestuale. Tuttavia, il raggiungimento delle soglie Dac7 (30 operazioni, 2.000 euro) rappresenta un indicatore abbastanza eloquente che qualcosa sta cambiando nella natura dell’attività.

Profili di conflittualità pratica e opzioni difensive

Accade che venditori occasionali si trovino sorpresi da una comunicazione della piattaforma che li informa dell’obbligo di compilare il modulo fiscale. Non di rado, il contribuente interpreta questa comunicazione come un obbligo di pagare le tasse, cosa che non è automaticamente vera. L’obbligo comunicativo non equivale a un obbligo tributario; è semplicemente uno strumento di trasparenza.

Colui che riceve tale comunicazione dovrebbe verificare, innanzitutto, se effettivamente abbia superato le soglie. Poi, dovrebbe valutare se le sue operazioni possono ragionevolmente considerarsi “occasionali” nonostante il superamento numerico. In alcuni casi, accade che un individuo abbia registrato un picco di vendite in un anno specifico (per esempio, in seguito a un cambiamento abitativo), ma nel complesso la sua attività rimane episodica. È lecito contestare la qualificazione fornita dall’Agenzia, mediante una memoria o una ricorso amministrativo, qualora si possa dimostrare che non sussistono gli elementi di abitualità e professionalità richiesti dalla norma.

Inversamente, se il contribuente riconosce che la sua attività si è trasformata in qualcosa di più strutturato, è fortemente opportuno procedere all’autotassazione: dichiarare i redditi generati negli anni passati, versare le imposte dovute e procedere alla regolarizzazione con l’Agenzia. Molti uffici, in questi casi, applicano riduzioni di sanzioni nel contesto di collaborazione volontaria.

Lo scenario futuro: digitalizzazione e compliance

È ragionevole prevedere che i controlli si intensificheranno ulteriormente. Le piattaforme, da parte loro, sono sempre più sollecite nel communicare i dati al fisco. Non vi è più spazio, insomma, per comportamenti improvvisati. La digitalizzazione dei pagamenti (carte di credito, bonifici, portafogli digitali) rende tracciabile ogni movimiento. Il contribuente che intenda operare sul commercio online deve ormai assumere consapevolezza di questa realtà e regolarizzare la propria posizione ancor prima di ricevere accertamenti da parte del fisco.

Per chi vuol limitarsi a vendite genuinamente occasionali, l’indicazione è netta: contenere il numero di transazioni e gli importi incassati, in modo da restare al di sotto delle soglie Dac7. Per chi, invece, intenda sviluppare una vera attività commerciale, il percorso è altrettanto chiaro: aprire una partita Iva, acquisire consapevolezza degli obblighi contabili e fiscali, eventualmente affidarsi a un professionista del settore (commercialista o consulente tributario). In entrambi i casi, la scelta consapevole oggi evita i problemi normativi e sanzionatori domani.

TABELLA RIEPILOGATIVA DELLE SOGLIE E DELLE QUALIFICAZIONI

Caratteristica Occasionale Abituale/Impresa
Numero operazioni/anno Inferiore a 30 Superiore a 30
Importo incassato/anno Inferiore a 2.000 € Superiore a 2.000 €
Continuità nel tempo Assente o molto saltuaria Sistematica su più anni
Intento speculativo Non rilevabile Evidente dai prezzi e dalle tempistiche
Struttura organizzativa Non richiesta Può mancare, non è discriminante
Obbligo Dac7 No (salvo casi specifici)
Obbligo partita Iva No
Tassazione Esente (spesso) Irpef ordinaria + Iva + contributi
Fatturazione Non obbligatoria Obbligatoria

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