L’agricoltura contemporanea si muove secondo logiche ben diverse da quella che i nostri nonni conoscevano. Dentro capannoni, serre e strutture controllate nascono oggi pomodori, insalate, funghi. E il fisco italiano, dopo decenni, finalmente se n’è accorto. Con il decreto legislativo numero 192 del 2024, il governo ha ridisegnato completamente il modo di tassare chi coltiva dentro i muri, anziché sotto le stelle. La circolare numero 12 dell’Agenzia delle Entrate, arrivata solo lo scorso agosto, fornisce gli insegnamenti operativi. Non è poco. Perché, fino a ieri, chi coltivava in idroponica pagava imposte normali. Da oggi, no. O meglio: dipende da come lo fa.
🕒 Cosa sapere in un minuto
- La nuova disciplina fiscale (D.lgs. 192/2024) riconosce le coltivazioni evolute in fabbricati come vere attività agricole con regole specifiche.
- La tassazione agevolata si applica solo se si usano sistemi avanzati e immobili censiti nel Catasto fabbricati (specifiche categorie C/D).
- La superficie produttiva non deve superare il doppio di quella agraria di riferimento—attesa approvazione del decreto attuativo.
- Reddito agrario e dominicale si calcolano con la tariffa d’estimo maggiorata del 400%, con rivalutazioni specifiche.
- Mancano le agevolazioni per coltivatori diretti, IAP e giovani imprenditori: il regime è meno favorevole rispetto al terreno agricolo.
- I redditi da crediti di carbonio rientrano nel regime agevolato solo se generati da reali attività agricole certificate.
- Per l’agriturismo, il regime forfetario non si applica: permane la disciplina speciale.
- Dal 2025, chi coltiva in idroponica in fabbricati deve seguire le nuove regole di dichiarazione e calcolo.
Quando la serra diventa agricola
Il passaggio è sottile ma decisivo. La legge ora riconosce che chi produce verdure mediante i cosiddetti “sistemi evoluti” lavora davvero in agricoltura. Parliamo di vertical farm, colture idroponiche, micropropagazione in vitro. Tecniche che, fino a ieri, il fisco vedeva come attività imprenditoriali tout court.
Ma c’è una condizione: l’attività deve svolgersi dentro immobili specifici. Quelli censiti al Catasto fabbricati. E qui iniziano i dettagli, perché la lista è precisa: categorie C/1, C/2, C/3, C/6, C/7, e poi D/1, D/7, D/8, D/9, D/10. Capannoni, laboratori, serre industriali, vecchi magazzini riconvertiti. Strutture che prima erano destinate ad altro.
L’Agenzia delle Entrate ha voluto sgomberare il campo da dubbi interprettativi. Secondo la tassazione reddito agricolo in fabbricati, due condizioni devono sussistere insieme, altrimenti la disciplina ordinaria continua a valere. Primo: l’attività deve effettivamente usare sistemi avanzati, non quelli tradizionali. Se coltivi in serra leggera (quella non accatastabile) rimani nella categoria precedente. Secondo: devi usare uno di quegli immobili specifici, censiti appunto al Catasto dei fabbricati.
Senza entrambe? Scatta il regime ordinario. E allora il reddito si calcola diversamente, meno vantaggioso.
Il doppio della superficie: il limite misterioso
Qui la norma diventa più complicata. Il decreto dice che la tassazione favorevole vale “entro il limite di superficie adibita alla produzione non eccedente il doppio della superficie agraria di riferimento”. Bello, ma quale superficie? Quella che definirà un decreto attuativo ancora non emanato.
In pratica, al momento (e fino a quando il decreto non arriva) vige una disciplina provvisoria. Si prende la tariffa d’estimo più elevata tra quelle in vigore nella provincia dove il fabbricato è situato. Poi la si aumenta del 400 per cento. Così si ottiene il reddito agrario.
Esempio: un capannone a Milano ha tariffa d’estimo di 100 euro. Applicando l’aumento: 100 euro più il 400 per cento dà 500 euro. Su quella base si calcola il reddito. Fino all’arrivo del decreto, funziona così. Ruvido, ma chiaro.
Se invece la superficie di coltura supera il doppio della particella catastale su cui insiste l’immobile, allora scatta il regime forfetario per la parte eccedente. E lì il reddito si determina usando criteri diversi, più penalizzanti per chi coltiva.
Il reddito dominicale: quando conta il possesso
Accanto al reddito agrario c’è il reddito dominicale. Questo riguarda chi possiede il terreno, non chi lo coltiva. Due categorie diverse di reddito, due tipi diversi di tassazione.
Per le nuove colture in fabbricati, il reddito dominicale si calcola come il reddito agrario: tariffa d’estimo della provincia, aumentata del 400 per cento. Ma c’è un minimo garantito. L’importo non può essere inferiore alla rendita catastale dell’immobile stesso. E qui scattano ulteriori rivalutazioni.
Il reddito dominicale va rivalutato dell’80 per cento, poi ancora del 30 per cento. La rendita catastale del 5 per cento. Se dopo tutte queste rivalutazioni il reddito dominicale risulta ancora inferiore alla rendita catastale rivalutata, allora il contribuente dichiara quest’ultima come reddito imponibile.
È un meccanismo che protegge l’erario. Se il calcolo forfetario darebbe troppo poco, il fisco utilizza comunque la rendita catastale. Ma prima devono avvenire le rivalutazioni tecniche. Altrimenti si rischierebbe di sottodichiarare il reddito.
Le agevolazioni che non ci sono
Qui viene il colpo, o almeno così lo vedono molti coltivatori. Le agevolazioni fiscali previste per i coltivatori diretti e gli imprenditori agricoli professionali non si applicano. Non si applica nemmeno l’esenzione per i giovani imprenditori agricoli.
Perché? Perché quelle norme fanno riferimento ai “terreni”, non agli “immobili”. E una coltura in fabbricato non sfrutta il terreno, per definizione. L’Agenzia delle Entrate ha scelto un’interpretazione letterale della norma, senza estensioni.
Significa che chi coltiva in vertical farm dentro un capannone non beneficia della mancata applicazione della rivalutazione del 30 per cento su reddito agrario e dominicale. Paga il pieno delle rivalutazioni. È uno dei punti più contestati dalla categoria, e non sorprende: molti coltivatori innovativi si aspettavano almeno qualche piccola agevolazione, dato che il fisco finalmente riconosce quello che fanno.
Ma la legge dice no. E la legge vige.
Compilare la dichiarazione dei redditi: la pratica
Sul piano concreto, come si comporta il contribuente che coltiva in idroponica? Deve inserire nella dichiarazione 2025 (relativa al 2024) il reddito dominicale calcolato secondo le regole appena descritte.
Se usa il Modello 730, la colonna 1 del quadro A accoglie la cifra. Se la rendita catastale rivalutata risulta superiore al reddito dominicale imponibile, allora va inserita la rendita. Se invece il reddito dominicale risulta maggiore, si indica il reddito dominicale, lasciando che il software di compilazione applichi automaticamente le rivalutazioni dell’80 e del 30 per cento.
La formula per neutralizzare le rivalutazioni è: rendita catastale per 1,05 diviso 2,34. Perché il 2,34? Perché è il coefficiente che, applicato, annulla gli effetti delle rivalutazioni automatiche del software. Non tutti i contribuenti lo sanno. Ma senza quella formula, il calcolo risulterebbe doppiamente aumentato.
Stesse procedure valgono per il Modello Redditi Persone Fisiche, per il Modello SP (società di persone) e per il Modello ENC (enti non commerciali). La logica sottostante è identica ovunque.
Attività connesse e sostenibilità ambientale
Il legislatore ha inserito un’altra categoria: le attività agricole che producono beni (anche immateriali) al fine di tutelare l’ambiente e combattere i cambiamenti climatici. L’esempio più concreto è quello dei crediti di carbonio. Chi coltiva in maniera sostenibile e genera certificati di emissioni evitate può far rientrare quei redditi nel regime agevolato del reddito agrario.
Ma solo fino a concorrenza dei corrispettivi effettivamente incassati. E solo se tali corrispettivi derivano dalle attività agricole secondo l’articolo 2135 del Codice civile. Se vendi crediti di carbonio generati dalla tua attività agricola certificata, quel reddito è agrario. Se però vendi servizi o prestazioni non direttamente connesse, allora rimane impresa ordinaria.
Per il calcolo del limite di agrarietà, rilevano solo i corrispettivi delle cessioni di beni che rientrano nei limiti stabiliti. Non si considerano i ricavi da prestazioni di servizi, né quelli da beni estranei alle attività agricole di cui all’articolo 2135. Se i beni sono ceduti nell’anno successivo a quello di produzione, il limite va calcolato nell’anno di vendita, non in quello di realizzazione.
Un’ulteriore specificazione, tecnica ma importante: i crediti di carbonio entrano certamente nella nuova disciplina. Ma non esclusivamente loro. L’Agenzia ammette che possono esserci altre attività che concorrono alla tutela ambientale, anche “a valle” del processo produttivo agricolo. Purché generino corrispettivi e i benefici di natura ambientale siano certificabili.
Agriturismo: la disciplina speciale che resiste
C’è un’ultima questione, quella dell’agriturismo. Il decreto ha esteso il regime forfetario a società di persone, società a responsabilità limitata e società cooperative agricole che hanno optato per la tassazione su base catastale. Bene, può sembrare.
Peccato che non valga per chi fa agriturismo. L’Agenzia specifica chiaramente: le società agricole che producono reddito da attività agrituristica non possono utilizzare il regime forfetario di cui all’articolo 56-bis. Motivo? L’articolo 5 della legge numero 413 del 1991 disciplina gli agriturismi in modo speciale. E questa norma speciale prevale sulla disciplina generale.
Il risultato è penalizzante, soprattutto per le S.r.l. e le cooperative agricole. Rimangono escluse dal regime forfetario per l’agriturismo, mentre potevano beneficiarne. Una lacuna normativa che il legislatore aveva l’opportunità di correggere, ma non ha fatto. L’Agenzia stessa nota che sarebbe stata una naturale evoluzione del processo di armonizzazione tra regole civilistiche e fiscali. Ma così non è stato.
Rimane comunque aperta la possibilità, per le società agricole che hanno optato per la tassazione catastale, di usare il regime forfetario per le attività agricole ordinarie connesse (fattoria didattica, vendita di prodotti caseari, eccetera). Solo l’agriturismo vero e proprio ne rimane fuori.
Tabella riepilogativa: elementi chiave della nuova tassazione
| Elemento | Descrizione | Nota |
|---|---|---|
| Attività qualificanti | Vertical farm, colture idroponiche, micropropagazione in vitro | Devono usare sistemi evoluti, non tradizionali |
| Immobili ammessi | Categorie catastali C/1, C/2, C/3, C/6, C/7, D/1, D/7, D/8, D/9, D/10 | Censiti al Catasto fabbricati |
| Limite di superficie | Doppio della superficie agraria di riferimento | In via transitoria: tariffa d’estimo provinciale + 400% |
| Reddito agrario (transitorio) | Tariffa d’estimo max provincia × 1,04 sulla particella catastale | Fino a decreto attuativo |
| Rivalutazioni agrarie | 70% + 30% | Non si applicano agevolazioni coltivatori diretti/IAP |
| Reddito dominicale (transitorio) | Tariffa d’estimo max provincia × 1,04 sulla particella catastale | Minimo: rendita catastale rivalutata del 5% |
| Rivalutazioni dominicali | 80% + 30% | Non si applicano agevolazioni per terreni in affitto a giovani |
| Crediti di carbonio | Reddito agrario se certificati e da attività agricole | Solo fino a concorrenza dei corrispettivi IVA |
| Agriturismo e forfetario | Non ammesso | Disciplina speciale art. 5 legge 413/1991 prevale |
| Applicazione normativa | Periodo d’imposta in corso al 31 dicembre 2024 | Dichiarazioni 2025 in poi |
Cosa cambia concretamente
Per chi gestiva già colture idroponiche prima della riforma? Se non ha modificato l’attività, continua ad applicarsi la disciplina ordinaria di prima. La norma nuova non retroagisce. Ma da quest’anno, chi inizia con questi sistemi all’interno di fabbricati catastabili può beneficiare del nuovo regime. È un passaggio importante per chi investe in innovazione.
Il vantaggio fiscale esiste, nonostante le limitazioni. Il reddito agrario e dominicale, calcolati su base catastale, risultano quasi sempre inferiori al reddito effettivo generato da queste attività. Una serra idroponica con tecnologie di punta produce cifre decisamente superiori a quelle che il fisco assegna forfettariamente. Da qui l’interesse degli operatori verso il nuovo regime.
La vera partita si gioca con il decreto attuativo sui limiti di superficie e le nuove classi di coltura. Quando arriverà, si definirà meglio la “superficie agraria di riferimento”. Al momento, il 400 per cento di aumento della tariffa d’estimo è solo una soluzione temporanea. Ma quanto durerà? Difficile dirlo. Il governo ha altri priorità. Intanto chi investe sa che il trattamento fiscale, almeno, non sarà peggiore di quello ordinario. Questo conta.



