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Scissione IVA logistica: il meccanismo transitorio che rivoluziona gli appalti

16 Settembre, 2025

Il settore della logistica italiana si trova di fronte a un cambiamento epocale. Con l’introduzione della Legge di bilancio 2025 (n. 207/2024) e le successive modifiche del Decreto Fiscale n. 84/2025, il legislatore ha messo in campo un arsenale normativo senza precedenti per combattere le frodi fiscali che da anni erodono il gettito IVA nel comparto trasporti e movimentazione merci. La svolta arriva dopo anni di segnalazioni da parte dell’amministrazione finanziaria su fenomeni evasivi particolarmente sofisticati: prestatori di servizi logistici che, dopo aver regolarmente fatturato l’IVA ai committenti, sparivano nel nulla prima di versare l’imposta dovuta all’erario. Una pratica che, secondo fonti del Ministero dell’Economia, sottrae alle casse statali centinaia di milioni di euro ogni anno.

🕒 Cosa sapere in un minuto

  • NORMATIVA: La Legge di Bilancio 2025 (n. 207/2024) e il D.L. n. 84/2025 introducono un regime transitorio opzionale per l’IVA nel settore trasporti e logistica, in attesa dell’autorizzazione UE per il reverse charge definitivo.

  • MECCANISMO: Il committente paga il corrispettivo al netto IVA e versa l’imposta direttamente all’erario con F24 (codice tributo “6045”), mentre il prestatore emette fattura ordinaria mantenendo responsabilità solidale.

  • OPERATIVITÀ: Dal 30 luglio 2025 tramite comunicazione telematica all’Agenzia delle Entrate (software “ReverseChargeLogistica”). Opzione triennale esercitabile autonomamente anche nei subappalti.

  • FINALITÀ ANTI-FRODE: Contrasto ai fenomeni evasivi di prestatori che incassano IVA dai committenti ma omettono il versamento all’erario, spesso con cessazione rapida dell’attività.

  • CRITICITÀ: Incertezza sui soggetti applicatori (mancanza codici ATECO specifici), impatto finanziario negativo sui prestatori, regime sanzionatorio da chiarire, tempi incerti per autorizzazione europea del reverse charge definitivo.

Il blitz normativo di giugno: eliminati i vincoli contrattuali

L’intervento più significativo è arrivato con l’art. 9 del D.L. n. 84/2025, entrato in vigore il 18 giugno scorso. Il decreto ha letteralmente smontato la formulazione originaria della Legge di bilancio, eliminando il riferimento al “prevalente utilizzo di manodopera presso le sedi di attività del committente” e ai “beni strumentali di proprietà del committente”.

Questa modifica – che a prima vista può sembrare tecnica – ha in realtà un impatto dirompente. Prima del decreto di giugno, molti operatori del settore si interrogavano su come interpretare questi vincoli. Che cosa significa “prevalente utilizzo”? Come si quantifica il rapporto tra manodopera e tecnologia? Domande che nella prassi quotidiana degli studi professionali generavano incertezze e contenziosi.

La circolare Assonime n. 17/2025, che ha analizzato in dettaglio la normativa, evidenzia come questa semplificazione risponda a una logica anti-frode più ampia: colpire tutti i contratti di appalto nel settore, indipendentemente dalle loro caratteristiche specifiche. Non più distinguo su beni strumentali o percentuali di manodopera, ma un approccio che guarda alla sostanza economica dell’operazione.

Il labirinto europeo del reverse charge

Ma c’è un problema: il reverse charge vero e proprio – quello che trasferisce definitivamente l’obbligo di versamento IVA dal prestatore al committente – non può ancora entrare in funzione. Serve l’autorizzazione del Consiglio dell’Unione Europea, prevista dall’art. 395 della Direttiva 2006/112/CE.

E qui si apre uno scenario complesso. Le autorizzazioni europee per meccanismi di reverse charge settoriali richiedono spesso mesi, a volte anni di negoziazione. Basti pensare al caso dell’edilizia, dove il percorso autorizzativo ha richiesto tempi lunghi e complesse mediazioni con gli altri Stati membri.

Fonti vicine al dossier europeo riferiscono che la Commissione sta valutando attentamente la richiesta italiana, ma occorre dimostrare che le misure sono proporzionate e non distorcono la concorrenza nel mercato unico. Non è un passaggio scontato.

L’escamotage del regime transitorio opzionale

In questa situazione di incertezza temporale nasce il regime transitorio opzionale. Un meccanismo che, pur non essendo un vero reverse charge, produce effetti simili: il committente paga il corrispettivo al netto dell’IVA e versa l’imposta direttamente all’erario tramite modello F24, utilizzando il nuovo codice tributo “6045” istituito dall’Agenzia delle Entrate con la risoluzione n. 47/E/2025.

Il prestatore mantiene la responsabilità solidale per l’imposta dovuta, ma il rischio di “sparizione” con l’IVA incassata viene di fatto neutralizzato. Un sistema che ricorda lo split payment delle pubbliche amministrazioni, ma applicato ai rapporti tra privati.

L’avvio operativo è fissato per il 30 luglio 2025, con il Provvedimento n. 309107/2025 dell’Agenzia delle Entrate che ha definito modelli e procedure. Gli operatori dovranno utilizzare il software “ReverseChargeLogistica”, scaricabile gratuitamente dal sito dell’agenzia.

Subappalti: la rivoluzione della catena autonoma

Una delle novità più rilevanti riguarda i subappalti. Il decreto di giugno ha chiarito che l’opzione può essere esercitata autonomamente da tutti i soggetti della catena contrattuale. Non serve che il committente principale aderisca al regime perché possano farlo i subappaltatori.

Questo principio di autonomia decisionale, chiarito anche dalla Relazione al D.L. n. 84/2025, apre scenari operativi inediti. Un subappaltatore di secondo o terzo livello può decidere di applicare il regime anche se tutti gli altri soggetti della catena restano nel sistema ordinario.

La circolare Assonime sottolinea come questa flessibilità sia un’arma a doppio taglio: da un lato facilita l’applicazione selettiva del regime dove serve davvero, dall’altro complica la gestione amministrativa per chi deve coordinare più livelli contrattuali con regimi IVA diversi.

I nodi irrisolti sulla qualificazione soggettiva

Ma chi sono esattamente i soggetti che possono beneficiare di questo regime? La norma parla genericamente di “imprese che svolgono attività di trasporto e movimentazione di merci e prestazione di servizi di logistica”. Una definizione che, nella pratica applicativa, genera più domande che risposte.

Assonime, nella sua analisi, solleva perplessità sull’individuazione dei settori interessati. Suggerisce l’utilizzo dei codici ATECO, come avviene per il reverse charge nell’edilizia, ma la normativa non fornisce indicazioni specifiche. Un magazziniere che movimenta merci rientra sempre nel regime? E un corriere espresso? E una società che gestisce un hub logistico ma non fa trasporti diretti?

L’esperienza degli studi professionali dimostra che questa indeterminatezza genera contenziosi. Nell’edilizia, i codici ATECO hanno fornito un criterio oggettivo, anche se non privo di zone grigie. Nel settore logistico, l’assenza di parametri classificatori precisi rischia di creare incertezza applicativa.

Il dilemma finanziario dei prestatori

Un aspetto che la normativa sottovaluta è l’impatto finanziario sui prestatori di servizi. Nel regime transitorio, questi soggetti emettono fattura ma non incassano l’IVA, che viene versata direttamente dal committente all’erario. Il risultato è un peggioramento della loro posizione creditoria nei confronti dello Stato.

La questione non è marginale. Una società di logistica che fattura milioni di euro al mese si trova improvvisamente con un credito IVA molto più alto, che deve recuperare attraverso i normali meccanismi di rimborso dell’amministrazione finanziaria. I tempi di rimborso dell’Agenzia delle Entrate, pur migliorati negli ultimi anni, restano comunque più lunghi di una normale transazione commerciale.

Assonime propone di includere questi soggetti tra coloro che possono beneficiare dei rimborsi prioritari previsti dall’art. 38-bis, comma 10, del D.P.R. n. 633/1972. Una soluzione che richiederebbe però un intervento normativo specifico.

Il rebus dei rimborsi per IVA non dovuta

Il comma 62 della Legge n. 207/2024 disciplina il rimborso dell’imposta erroneamente applicata, richiamando l’art. 30-ter del D.P.R. n. 633/1972. Ma l’applicazione di questa norma al regime transitorio presenta profili problematici che meritano un’analisi dettagliata.

Nel sistema ordinario, il rimborso dell’IVA non dovuta richiede che il prestatore restituisca prima l’imposta al committente. Solo dopo questa restituzione può chiedere il rimborso all’erario, entro due anni dall’avvenuta restituzione al cliente.

Nel regime transitorio, però, è il committente stesso a versare l’IVA. La condizione della previa restituzione diventa quindi inapplicabile. Assonime chiarisce che, in questo caso, il committente che ha versato e detratto l’imposta mantiene il diritto di ripetizione diretta nei confronti dell’erario.

Ma cosa succede per le imposte correttamente applicate in fattura ma erroneamente versate? Il caso tipico è la duplicazione di versamento per errore materiale. La normativa non fornisce indicazioni specifiche, creando un vuoto procedurale che dovrà essere colmato dall’interpretazione amministrativa o da futuri interventi correttivi.

Sanzioni: un sistema da decifrare

Il regime sanzionatorio previsto dal comma 62 richiama l’art. 6, comma 9-bis1, del D.Lgs. n. 471/1997: sanzione da 250 a 10.000 euro, con responsabilità solidale del prestatore. Ma il rinvio normativo presenta margini di incertezza che la prassi applicativa dovrà chiarire.

La collocazione sistematica della norma suggerisce che la violazione consista nel pagamento di imposta non dovuta, ma Assonime evidenzia come il rinvio non sia perfettamente calibrato sulle specificità del regime transitorio.

Nella casistica professionale si osserva spesso che sanzioni mal congegnate finiscono per generare più contenziosi della materia che dovrebbero disciplinare. Il rischio è che operatori in buona fede si trovino esposti a sanzioni per violazioni non chiaramente definite.

Gli scenari evolutivi: verso il regime definitivo

L’efficacia di questo articolato sistema normativo dipende dall’evolversi delle trattative europee. La durata triennale dell’opzione pone interrogativi sulla gestione del passaggio al regime definitivo del reverse charge.

Se l’autorizzazione europea arrivasse dopo due anni, che fine farebbero le opzioni già esercitate? La normativa non prevede meccanismi di transizione, lasciando questa gestione alla futura interpretazione amministrativa.

L’esperienza di altri Stati membri che hanno ottenuto deroghe settoriali al regime IVA ordinario suggerisce che i tempi possono essere lunghi. La Francia ha impiegato oltre tre anni per ottenere l’autorizzazione al reverse charge nel settore delle telecomunicazioni. Il Belgio ha dovuto modificare due volte la proposta iniziale per il settore della grande distribuzione.

Il giudizio degli operatori: scetticismo e speranza

Le prime reazioni degli operatori del settore sono contrastanti. Le associazioni di categoria apprezzano lo sforzo di contrasto alle frodi, ma temono l’impatto burocratico del nuovo regime. La Conftrasporto ha definito “complesso ma necessario” il sistema transitorio, mentre Assologistica sottolinea la necessità di chiarimenti operativi urgenti.

Gli studi professionali segnalano richieste di consulenza in forte aumento. “I clienti vogliono capire se conviene aderire subito o aspettare”, spiega un commercialista milanese specializzato in IVA. “Ma senza conoscere i tempi dell’autorizzazione europea è difficile dare consigli”.

Il regime transitorio opzionale rappresenta comunque un esperimento normativo interessante: un meccanismo ponte che potrebbe fare scuola anche in altri settori esposti a frodi sistematiche.

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