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Rimborsi chilometrici professionisti: l’Agenzia delle Entrate chiarisce la regole

27 Ottobre, 2025

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L’Agenzia delle Entrate ha messo un punto fermo sulla questione. Con la risposta a interpello n. 270 del 23 ottobre 2025, l’amministrazione finanziaria chiarisce quando i rimborsi chilometrici rappresentano reddito imponibile per chi esercita un’attività professionale. Il caso è emblematico: un libero professionista che fattura ai propri clienti, oltre ai compensi per le consulenze, anche dei rimborsi spese calcolati semplicemente moltiplicando i chilometri percorsi per una tariffa concordata. Niente scontrini del carburante, nessuna ricevuta di pedaggi autostradali. Solo un prospetto con i tragitti effettuati. La domanda è secca: questi importi vanno considerati reddito professionale oppure no? E soprattutto, il committente deve applicare la ritenuta d’acconto? La risposta dell’Agenzia non lascia spazio a interpretazioni ambigue.

🕒 Cosa sapere in un minuto

  • I rimborsi chilometrici parametrici (km × tariffa) sono considerati reddito professionale e sono soggetti a ritenuta d’acconto del 20%.
  • Solo i rimborsi spese “analitici”, documentati da scontrini, ricevute o fatture e separati in fattura, possono essere esclusi dal reddito.
  • Per le trasferte e spese di viaggio, vitto e alloggio, il pagamento deve essere tracciabile (no contanti) per poter escludere il rimborso dal reddito.
  • La mancata corretta qualificazione/documentazione dei rimborsi può generare sanzioni sia per il professionista che per il committente.
  • Le nuove regole si applicano ai rimborsi dal periodo d’imposta 2025 (dichiarazione redditi 2026).

La nuova disciplina dei rimborsi spese nel lavoro autonomo

Dal periodo d’imposta 2025 opera a regime una disciplina completamente rinnovata. Il D.Lgs. 192/2024 ha modificato in profondità il TUIR, introducendo nell’articolo 54 al comma 2, lettera b), un principio che sulla carta sembrava risolutivo: non concorrono alla formazione del reddito i rimborsi delle spese sostenute per l’esecuzione di un incarico e addebitate analiticamente al committente.

Specularmente – ed è qui che si complica il quadro – l’articolo 54-ter stabilisce che tali spese non sono deducibili dal professionista che le sostiene. Una sorta di neutralità fiscale, insomma. O almeno così dovrebbe funzionare.

Il meccanismo prevede anche un obbligo di tracciabilità. Secondo l’articolo 54, comma 2-bis del TUIR (introdotto dal DL 84/2025), quando si tratta di spese per vitto, alloggio, viaggio e trasporto tramite taxi o noleggio con conducente sostenute in territorio italiano, il rimborso concorre al reddito se i pagamenti non avvengono con strumenti tracciabili. Quindi niente contanti, altrimenti scatta l’imponibilità anche per spese che sarebbero teoricamente “analitiche”. Bisogna usare bonifici, carte di pagamento, assegni bancari o app collegate a un IBAN.

Ma c’è un punto che il legislatore ha lasciato indeterminato: cosa si intende esattamente per “addebitate analiticamente”? È proprio su questo nodo che interviene la risposta n. 270/2025.

Quando un rimborso è davvero analitico

L’Agenzia delle Entrate non ci gira attorno. Per escludere un rimborso dal reddito professionale servono due requisiti simultanei, entrambi inderogabili:

  • le spese devono essere state effettivamente sostenute dal professionista per svolgere l’incarico affidatogli
  • devono risultare indicate in fattura in modo separato rispetto ai compensi dovuti per la prestazione

Non basta, però. Occorre anche un terzo elemento, forse il più delicato: una documentazione idonea che dimostri puntualmente la tipologia di spesa, l’importo esatto e la riferibilità precisa all’attività professionale svolta. La finalità è evidente: impedire che un professionista possa mascherare compensi come rimborsi spese, gonfiando artificialmente gli importi non soggetti a tassazione.

Nella prassi quotidiana, questo significa conservare scontrini del carburante, ricevute di pedaggi, fatture di alberghi, biglietti ferroviari. Documenti terzi, insomma, che attestino l’effettiva uscita di denaro. Il controllo di coerenza e correttezza che l’amministrazione deve poter effettuare richiede prove concrete, non semplici prospetti interni elaborati dal professionista stesso.

Il caso dei rimborsi chilometrici a tariffa parametrica

Nel caso sottoposto all’Agenzia, il professionista aveva predisposto tutto con una certa cura formale. Aveva concordato preventivamente con il committente le modalità di rimborso. Aveva calcolato le distanze sulla base di parametri oggettivi. Aveva persino allegato un prospetto riepilogativo delle trasferte effettuate, con l’indicazione dei chilometri percorsi moltiplicati per una tariffa oraria prestabilita.

In apparenza, tutto quadrava. Ma l’Agenzia ha bocciato questa impostazione senza mezzi termini.

Il rimborso chilometrico così strutturato – si legge nella risposta – “nonostante la sua indicazione separata in fattura, non rappresenta un rimborso di spese addebitate analiticamente”. Manca il requisito fondamentale dell’effettività della spesa. Un conteggio basato su chilometri per tariffa è un calcolo forfettario, per quanto dettagliato sia il prospetto dei tragitti. Non c’è la prova che il professionista abbia davvero sostenuto quella precisa spesa.

Potrebbe aver utilizzato un’auto aziendale con serbatoio pieno pagato dalla società. Oppure viaggiare con un collega che ha sostenuto lui il costo del carburante. O ancora beneficiare di una tessera carburante con tariffe agevolate che rendono il costo effettivo inferiore al rimborso incassato. In tutti questi scenari, il rimborso chilometrico parametrico finisce per rappresentare un’entrata superiore al costo realmente sostenuto. E quindi, nella sostanza economica, diventa un compenso mascherato.

Conseguenze operative per professionisti e committenti

Le ricadute pratiche sono immediate e stringenti. I rimborsi chilometrici calcolati con il sistema chilometri per tariffa concorrono integralmente alla formazione del reddito di lavoro autonomo, secondo quanto previsto dall’articolo 54, comma 1, del TUIR.

Quando il committente riveste la qualifica di sostituto d’imposta (quindi praticamente sempre, se si tratta di un’impresa o di un ente), deve applicare la ritenuta d’acconto del 20% ai sensi dell’articolo 25 del DPR 600/73. Non può esimersi, anche se il professionista sostiene che si tratti di un semplice rimborso spese.

Sul versante opposto, però, va sottolineato che le spese di trasporto effettivamente sostenute dal professionista per svolgere l’incarico restano pienamente deducibili secondo le regole ordinarie. Il carburante acquistato, i pedaggi pagati, i parcheggi sostenuti sono tutti costi inerenti all’attività professionale e quindi deducibili dal reddito. Semplicemente, la deduzione segue il regime normale e non quello speciale previsto per i rimborsi analitici.

Come documentare correttamente i rimborsi spese

Per chi vuole evitare che i rimborsi concorrano al reddito, la strada è una sola: raccogliere e conservare tutta la documentazione necessaria. Ogni trasferta deve essere supportata da giustificativi puntuali.

Prendiamo un esempio concreto. Un commercialista deve recarsi presso un cliente distante 150 km per una consulenza urgente. Se vuole fatturare il rimborso come spesa analitica esclusa dal reddito, dovrà conservare:

  • lo scontrino del rifornimento di carburante effettuato per il viaggio
  • l’eventuale ricevuta del pedaggio autostradale
  • la fattura del parcheggio presso la sede del cliente
  • un prospetto che colleghi inequivocabilmente queste spese alla specifica trasferta

Solo così il rimborso addebitato in fattura potrà considerarsi “analitico” nel senso voluto dalla norma. E solo così sarà escluso dal reddito imponibile e quindi anche dalla base di calcolo della ritenuta d’acconto.

È opportuno notare che l’obbligo documentale non riguarda solo il momento della fatturazione, ma si protrae per tutto il periodo di conservazione delle scritture contabili. In caso di controllo, il professionista deve essere in grado di esibire immediatamente la documentazione giustificativa delle spese rimborsate.

L’obbligo di tracciabilità dei pagamenti

Un aspetto ulteriore, introdotto dal DL 84/2025, riguarda le modalità di pagamento delle spese sostenute in Italia per vitto, alloggio, viaggio e trasporti tramite taxi o NCC. Anche quando queste spese sono documentate analiticamente e separate in fattura, se il pagamento è avvenuto in contanti il rimborso concorre comunque al reddito.

Si tratta di una presunzione legale difficilmente contrastabile. Il legislatore ha voluto incentivare l’uso di strumenti di pagamento tracciabili, penalizzando fiscalmente chi continua a utilizzare il contante. Secondo quanto previsto dall’articolo 23 del D.Lgs. 241/97, occorre pagare tramite:

  • bonifico bancario o postale
  • carte di debito, credito o prepagate
  • assegni bancari o circolari
  • sistemi di pagamento digitali collegati a un IBAN (come Satispay o altre app similari)

Nella pratica professionale si osserva una certa difficoltà applicativa. Non sempre è possibile pagare con carta un pedagio autostradale o un parcheggio, specialmente nelle aree meno servite. Eppure la norma è chiara: se il pagamento avviene in contanti, anche con uno scontrino fiscale regolare, il rimborso diventa imponibile.

Regime transitorio e prima applicazione

Le nuove regole si applicano dal periodo d’imposta 2025 per i soggetti con esercizio coincidente con l’anno solare, come stabilito dall’articolo 6, comma 1, del D.Lgs. 192/2024. Questo significa che il primo impatto concreto si avrà con la dichiarazione dei redditi 2026, da presentare nel 2026 per il periodo d’imposta 2025.

Per l’anno 2024 valeva ancora il vecchio regime. I rimborsi spese seguivano la disciplina previgente e generalmente erano soggetti a ritenuta d’acconto, salvo i casi di spese anticipate in nome e per conto del cliente (come l’acquisto di marche da bollo o visure camerali pagate per conto del committente e poi riaddebitate al centesimo).

La circolare dell’Agenzia delle Entrate n. 58/2001, al paragrafo 2.2, aveva già delineato la differenza tra rimborsi per spese proprie del professionista e spese anticipate per conto del cliente. Questa distinzione resta valida e si è ora cristallizzata nel nuovo testo normativo, con l’aggiunta però dei requisiti di analiticità e tracciabilità.

Profili sanzionatori e aspetti dichiarativi

Come spesso accade in materia tributaria, gli errori nella qualificazione dei rimborsi possono generare conseguenze sia per il professionista che per il committente-sostituto d’imposta.

Se il professionista esclude erroneamente dal reddito rimborsi che invece dovrebbero concorrervi (perché non analitici o pagati in contanti), si configura un’omessa dichiarazione di ricavi con le relative sanzioni amministrative. In caso di accertamento, l’ufficio recupererà le imposte dovute con gli interessi, oltre a irrogare sanzioni dal 90% al 180% delle maggiori imposte.

Sul fronte del committente-sostituto, omettere la ritenuta su somme che ne sono soggette comporta l’applicazione della sanzione prevista dall’articolo 14 del D.Lgs. 471/97, pari al 20% dell’importo non trattenuto. Il versamento omesso della ritenuta comporta inoltre la sanzione del 30% prevista dall’articolo 13 dello stesso decreto, cui si aggiungono gli interessi di mora.

Tabella riepilogativa del regime fiscale dei rimborsi

Tipologia di rimborso Documentazione necessaria Concorre al reddito? Ritenuta d’acconto? Deducibilità spese
Rimborsi analitici con giustificativi terzi Scontrini, fatture, ricevute che provano il costo sostenuto No No No (sono già neutrali)
Rimborsi chilometrici parametrici (km × tariffa) Solo prospetto interno dei tragitti Sì (20%) Sì (spese realmente sostenute)
Spese anticipate per conto del cliente Fattura intestata al committente No No No (non sono spese del professionista)
Rimborsi analitici pagati in contanti (vitto, alloggio, taxi in Italia) Giustificativi fiscali regolari ma pagamento cash Sì (20%) Condizionata alla tracciabilità

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