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Lettere di compliance professionisti

Rimborsi analitici forfettari: chiarimenti sulla tassazione 2025

19 Dicembre, 2025

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La questione aveva tenuto banco per mesi tra commercialisti e professionisti. Ora però arriva una risposta che fa chiarezza, anche se non pubblicata sul sito dell’Agenzia delle Entrate. Si tratta di un parere della Direzione Regionale Lombardia datato 9 dicembre 2025 che sgombra il campo dai dubbi: i rimborsi analitici delle spese sostenute per l’esecuzione dell’incarico non vanno più tassati, nemmeno per chi opera in regime forfettario.

La faccenda aveva generato un bel po’ di confusione. Da un lato c’erano quelli convinti che il forfettario dovesse comunque tassare tutto quello che incassava, rimborsi compresi. Dall’altro chi sosteneva che, se una somma non è un compenso per il professionista ordinario, non può diventarlo magicamente solo perché a riceverla è un forfettario. E qui, bisogna dirlo, la seconda tesi sembra avere tutte le carte in regola per prevalere.

La riforma del reddito professionale

La storia parte da lontano, o meglio, da un anno fa. Il D.Lgs. n. 192/2024 ha riscritto completamente l’articolo 54 del TUIR, quello che disciplina appunto il reddito da lavoro autonomo. Una delle novità più rilevanti riguarda proprio i rimborsi analitici di spesa: dal primo gennaio 2025 questi importi non vanno più considerati come elementi che formano il reddito imponibile del professionista. C’è però un vincolo, introdotto con il D.L. n. 84/2025, e cioè che la spesa deve essere pagata con strumenti tracciabili quando sostenuta in Italia. Niente contanti, insomma, altrimenti decade il beneficio.

A questo punto, però, si è posto un problema non da poco. L’articolo 54 parla di professionisti in generale, ma il regime forfettario funziona diversamente rispetto a quello ordinario. Nel regime normale, il professionista deduce i costi e indica i compensi. Nel forfettario, invece, si applica un coefficiente di redditività ai ricavi e basta. Quindi: se il rimborso analitico non è più un compenso per il professionista ordinario, lo è ancora per quello forfettario?

Cosa si intende davvero per compenso

Il punto cruciale sta proprio nella definizione di “compenso”. E qui emerge una lacuna normativa che la riforma non ha risolto. Secondo quanto previsto dall’articolo 53 del TUIR, sono considerati redditi da lavoro autonomo quelli che derivano dall’esercizio abituale di arti e professioni. Fin qui tutto chiaro. Ma manca una definizione precisa di cosa costituisca effettivamente un compenso, quella somma che rappresenta il corrispettivo della prestazione professionale vera e propria.

Nel caso del forfettario la situazione si complica perché, va detto chiaramente, non esiste una qualificazione specifica del reddito imponibile diversa da quella generale. Il professionista forfettario resta comunque un professionista che rientra nella previsione dell’articolo 53, anche se poi determina il quantum imponibile con regole proprie. E queste regole dipendono tutte da un presupposto: l’incasso di una somma che possa definirsi “compenso”.

Per questo motivo – ed è una certezza abbastanza granitica – altre forme di incasso che potrebbero manifestarsi per il professionista ordinario e anche essere tassate (si pensi alle plusvalenze o alle sopravvenienze attive) non hanno alcuna rilevanza per quello forfettario. Semplicemente perché non rientrano nella nozione di compenso professionale.

Il dibattito sull’applicabilità ai forfettari

Alla luce di questa ricostruzione, la questione si è fatta interessante. Da una parte c’erano coloro che sostenevano l’imponibilità dei rimborsi per i forfettari, basandosi su una presunta “specificità” della nozione di compenso per questo regime. Una specificità mai chiarita né dimostrata sul piano normativo, va detto. La tesi, in sostanza, era questa: siccome il forfettario ha delle regole speciali, allora anche il rimborso analitico andrebbe trattato diversamente.

Dall’altra parte si collocava invece chi riconosceva una verità piuttosto evidente. Se la determinazione del reddito del soggetto forfettario discende da un’unica fonte – appunto il compenso, ugualmente definito come il corrispettivo della prestazione professionale per tutti i lavoratori autonomi (ordinari o forfettari) – allora l’azzeramento della rilevanza dei rimborsi analitici per il lavoro autonomo non può che tradursi nell’irrilevanza di tali incassi anche per il forfettario.

In altre parole, la logica è semplice: se una somma viene esclusa dal reddito imponibile per un lavoratore autonomo, certamente non può essere definita un “compenso”. E se per il soggetto forfettario esiste un’unica fonte di innesco del reddito imponibile (cioè proprio il compenso), allora i rimborsi analitici non devono essere inseriti nel coacervo delle somme da sottoporre al coefficiente di redditività.

La risposta della Direzione Regionale Lombardia

Ebbene, questa seconda conclusione – che a parere di chi scrive appare corretta e condivisibile – è stata fatta propria anche dalla DRE Lombardia. Il parere prodotto in risposta all’istanza di un professionista forfettario puntualizza alcuni aspetti fondamentali che conviene evidenziare con precisione.

Primo elemento: l’irrilevanza del rimborso è subordinata alla modalità di pagamento. La spesa deve essere stata eseguita in forma tracciabile, altrimenti il beneficio viene meno. Questa condizione vale per le spese sostenute in Italia, mentre per quelle effettuate all’estero non c’è vincolo di tracciabilità.

Secondo punto rilevante: il regime transitorio. Per le spese sostenute entro il 2024, anche se i rimborsi vengono incassati nel 2025, le somme percepite restano imponibili. Non bisogna dimenticare che la nuova disciplina dei rimborsi analitici si applica dal periodo d’imposta 2025, e ciò in deroga alla generale decorrenza delle novità introdotte dal D.Lgs. n. 192/2024. Quest’ultimo, infatti, fa risalire all’1 gennaio 2024 la nuova disciplina degli articoli 54 e seguenti del TUIR, ma per i rimborsi analitici vale una tempistica diversa.

Terzo aspetto, particolarmente importante: i rimborsi analitici di spesa sostenute nel 2025 (con incasso del relativo rimborso sempre nel 2025) non concorrono a formare il tetto dei componenti positivi del soggetto forfettario. Si tratta di quella soglia di 85.000 euro annui che permette di restare nel regime (oppure 100.000 euro, il cui superamento comporta la fuoriuscita immediata nel corso dell’anno).

Esempio pratico di calcolo del reddito imponibile

Mettiamo il caso di un consulente informatico con coefficiente di redditività del 67%. Nel 2025 emette una fattura per 2.000 euro di onorario professionale e 450 euro di rimborso analitico per spese di trasferta (volo e albergo pagati con carta di credito).

Con le vecchie regole applicate fino al 2024, il reddito imponibile veniva calcolato su 2.450 euro (2.000 + 450), risultando quindi pari a 1.641,50 euro (2.450 x 67%). Con la nuova disciplina applicabile dal 2025, invece, il reddito imponibile si calcola sui soli 2.000 euro di onorario, risultando quindi pari a 1.340 euro (2.000 x 67%). La differenza in termini di risparmio d’imposta è tutt’altro che trascurabile.

Questo meccanismo si applica anche ai fini della verifica delle soglie di permanenza nel regime. Se un professionista incassa nell’anno 82.000 euro di compensi e 6.000 euro di rimborsi analitici, con le vecchie regole avrebbe superato la soglia degli 85.000 euro. Con le nuove disposizioni, invece, resta ampiamente sotto il limite perché i rimborsi non vengono computati.

Le spese che non richiedono tracciabilità

Chiarito l’aspetto principale, resta da sviscerare una questione più specifica. Ci sono spese che vengono sostenute per l’esecuzione dell’incarico ma che non rientrano nella classificazione di “viaggio, trasporto, vitto e alloggio”. Di conseguenza, secondo l’interpretazione attuale, non sarebbero soggette alla necessità del pagamento tracciabile.

L’esempio classico è rappresentato dalle spese di parcheggio. Secondo quanto chiarito dalla risposta a consulenza giuridica n. 5/E/2019, queste non rientrano tra le spese di viaggio. Una posizione, bisogna dirlo, veramente poco convincente. Come sia possibile considerare il parcheggio una spesa non legata al viaggio è francamente difficile da comprendere. Anche la recente circolare Assonime n. 26/2025 ha sottolineato questa incongruenza e ne auspica l’inserimento tra le spese di viaggio.

In ogni caso, le spese di parcheggio sono certamente spese escluse dalla formazione del reddito (in quanto sostenute per l’esecuzione dell’incarico), ma non devono essere pagate con strumento tracciabile almeno fino a quando non sarà modificata la datata risposta dell’Agenzia. Questo porterebbe, almeno in teoria, a un’esclusione dal reddito del forfettario non condizionata alla modalità di pagamento.

Il caso particolare delle indennità chilometriche

Una situazione completamente diversa riguarda invece i rimborsi delle spese di viaggio effettuati con utilizzo di auto propria. Quando il professionista utilizza il proprio veicolo e richiede il rimborso sotto forma di indennità chilometriche, la questione assume contorni differenti.

Qui è intervenuto l’interpello n. 270/E/2025 che ha escluso queste somme dal novero dei rimborsi analitici di spesa. La conseguenza pratica è che tali importi restano imponibili per il professionista ordinario e, a maggior ragione, restano imponibili anche per il soggetto forfettario.

La ratio di questa scelta è abbastanza comprensibile. L’indennità chilometrica non rappresenta il rimborso di una spesa effettivamente sostenuta e documentata (come potrebbe essere un biglietto del treno o una fattura di albergo), ma costituisce piuttosto un forfait che compensa in modo approssimativo i costi di utilizzo del mezzo proprio. Per questo motivo non può beneficiare della esclusione dal reddito prevista per i rimborsi analitici veri e propri.

Coordinamento tra le diverse disposizioni normative

La disciplina che emerge dall’insieme di questi interventi normativi e di prassi amministrativa presenta quindi diverse sfaccettature. Per ricapitolare nella maniera più chiara possibile: i rimborsi analitici di spese documentate non concorrono al reddito dei forfettari se la spesa è stata pagata con strumenti tracciabili (per quelle sostenute in Italia) o comunque documentata (per quelle sostenute all’estero).

Le spese sostenute entro il 31 dicembre 2024 seguono le vecchie regole anche se rimborsate nel 2025. Le indennità chilometriche restano fuori da questo trattamento agevolato e continuano a essere considerate compenso imponibile. Per alcune categorie di spese (come i parcheggi) permane una zona grigia interpretativa in attesa di chiarimenti ufficiali.

La questione della tracciabilità merita un approfondimento. Secondo quanto previsto dall’articolo 23 del D.Lgs. n. 241/1997, sono considerati tracciabili i pagamenti effettuati tramite bonifico bancario o postale, carte di debito, carte di credito, carte prepagate, assegni bancari e circolari. Anche i sistemi di pagamento elettronico come quelli gestiti da PayPal o Satispay rientrano tra gli strumenti ammessi, purché consentano l’identificazione del soggetto che effettua il pagamento.

Implicazioni pratiche per i professionisti forfettari

Dal punto di vista operativo, i professionisti forfettari devono ora prestare particolare attenzione alla modalità di pagamento delle spese che intendono poi riaddebitare ai clienti. Se una spesa viene pagata in contanti, il relativo rimborso finisce per essere tassato anche se si tratta di una spesa sostenuta per l’esecuzione dell’incarico.

Un consulente che viaggia per un cliente dovrà quindi assicurarsi di pagare volo, treno, albergo e taxi sempre con strumenti tracciabili. Anche un pranzo di lavoro con il committente, se poi viene riaddebitato, dovrà essere saldato con carta e non in contanti. Questo comporta un cambiamento nelle abitudini di molti professionisti che fino a ieri potevano gestire queste spese in modo più informale.

La tenuta della documentazione diventa cruciale. Non basta più conservare le ricevute, serve anche poter dimostrare che il pagamento è avvenuto con strumento tracciabile. In pratica, oltre alla fattura dell’albergo servirà anche l’estratto conto della carta di credito che provi l’avvenuto pagamento.

Va sottolineato che il vantaggio fiscale può essere davvero significativo. Per un professionista con coefficiente di redditività alto (per esempio i consulenti informatici al 67% o i professionisti tecnici al 78%), escludere i rimborsi dal calcolo del reddito imponibile può tradursi in un risparmio d’imposta tutt’altro che trascurabile.

Prospettive future e possibili sviluppi

La risposta della DRE Lombardia, pur non essendo stata pubblicata sul sito dell’Agenzia delle Entrate, rappresenta un importante punto di riferimento. Non è una circolare né una risoluzione, quindi formalmente non costituisce prassi ufficiale vincolante per tutti gli uffici. Tuttavia, trattandosi di un’interpretazione fornita da una Direzione Regionale, assume un peso notevole.

Sarebbe auspicabile un intervento chiarificatore a livello centrale, magari con una circolare che metta fine definitivamente al dibattito. Soprattutto sulla questione delle spese non espressamente soggette a tracciabilità (come i parcheggi) serve maggiore chiarezza.

Nel frattempo, i professionisti forfettari possono orientare il proprio comportamento seguendo l’interpretazione fornita dalla DRE Lombardia, che appare del resto la più coerente con il quadro normativo complessivo. L’importante è documentare correttamente le spese e conservare le prove dei pagamenti tracciabili.

Anche sul fronte delle indennità chilometriche potrebbe esserci spazio per ripensamenti. La scelta di escluderle dai rimborsi analitici penalizza chi utilizza il proprio mezzo, costringendo questi professionisti a continuare a tassare queste somme. Una soluzione potrebbe essere quella di ammettere la non imponibilità delle indennità chilometriche calcolate secondo le tabelle ACI, purché documentate con un prospetto analitico dei viaggi effettuati.

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