La decisione della Cassazione sulle società a responsabilità limitata scioglie un nodo interpretativo che da anni divideva i tribunali. Chi possiede quote in una s.r.l. ha facoltà di richiedere l’allontanamento del manager per gravi anomalie gestionali attraverso un giudizio ordinario, senza vincolo alcuno rispetto all’eventuale causa per danni. La pronuncia n. 30533, depositata dalla Suprema Corte lo scorso 20 novembre, segna una svolta nella governance delle compagini societarie di medio-piccole dimensioni. Secondo l’orientamento espresso dai giudici di legittimità, il quotista dispone di uno strumento diretto e completo per intervenire quando emergono situazioni di seria compromissione nella conduzione aziendale, senza dover necessariamente imboccare la strada – ben più complessa – dell’azione di responsabilità contro l’organo amministrativo.
🕒 Cosa sapere in un minuto
- I soci di una Srl possono richiedere direttamente al tribunale la revoca dell’amministratore per gravi irregolarità gestionali, senza dover necessariamente avviare un’azione di responsabilità o risarcimento danni.
- La revoca giudiziale è autonoma e non dipende dalla domanda risarcitoria; può essere esercitata anche senza il consenso degli altri soci.
- La Cassazione stabilisce che il provvedimento può essere richiesto isolatamente, consentendo una tutela tempestiva della società contro una gestione dannosa.
- Il socio ha l’onere di provare le “gravi irregolarità” (esempio: sistematiche violazioni degli obblighi informativi, omissione convocazione assemblee, conflitti d’interesse).
- La revoca assembleare resta possibile, ma segue regole diverse: non richiede giusta causa e può essere deliberata dalla maggioranza dei soci.
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Il quadro normativo della rimozione nelle s.r.l.
L’articolo 2476 del codice civile al suo terzo comma attribuisce a ciascun socio la legittimazione per promuovere l’azione di responsabilità contro chi amministra. La medesima disposizione prevede poi che, qualora ricorrano gravi irregolarità nella gestione societaria, possa essere richiesta l’adozione di un provvedimento cautelare finalizzato alla revoca. Il giudice ha facoltà di subordinare tale misura alla prestazione di cauzione da parte del richiedente.
Nella prassi, però, i tribunali di merito erano arrivati a soluzioni contrastanti. Alcuni giudici ritenevano che la domanda cautelare dovesse necessariamente accompagnarsi all’esercizio dell’azione per il risarcimento dei danni. Altri invece ammettevano un’autonomia operativa tra i due strumenti, considerandoli svincolati l’uno dall’altro sul piano logico-giuridico. Il dubbio investiva precisamente questo punto: stabilire se il ricorso finalizzato alla rimozione dell’amministratore potesse essere presentato dal socio soltanto quale accessorio funzionale all’azione di responsabilità, oppure se rappresentasse un rimedio indipendente e autosufficiente.
Autonomia piena dell’azione di revoca dell’amministratore
La Suprema Corte ha sciolto il nodo interpretativo optando per la soluzione più garantista. Pur riconoscendo che il dettato normativo presenta margini di ambiguità, i giudici di Piazza Cavour hanno privilegiato un’interpretazione teleologica, guardando alla finalità della norma piuttosto che alla sua mera lettera. La ratio dell’articolo 2476, terzo comma, risponde all’esigenza di consentire ai soci un intervento tempestivo – e se necessario definitivo – in presenza di anomalie gestionali qualificate.
Gli argomenti invocati da chi sostiene la tesi restrittiva non reggono, secondo la Cassazione. Non basta richiamare il fatto che la previsione sulla revoca cautelare sia collocata all’interno della disposizione dedicata all’azione sociale di responsabilità. Né assume rilievo decisivo l’utilizzo dell’avverbio “altresì”, che alcuni interpreti avevano letto come segnale di accessorietà. Infine, non può essere invocato il principio di tassatività delle sentenze costitutive (art. 2908 c.c.) per limitare la portata del rimedio.
Secondo la Corte, non si tratta di creare per via analogica un’ipotesi ulteriore di pronuncia costitutiva. Si tratta semplicemente di leggere la disposizione nel contesto sistematico complessivo. Sarebbe infatti anomalo – per non dire irragionevole – circoscrivere la rimozione del manager responsabile di gravi irregolarità entro i soli confini dell’azione per danni, che presuppone elementi diversi e persegue obiettivi del tutto distinti. L’azione di responsabilità mira al risarcimento per i pregiudizi subiti dalla società. La revoca mira invece a bloccare tempestivamente una gestione dannosa, impedendone la prosecuzione.
La facoltà cautelare implica quella ordinaria
Se il legislatore ha attribuito al socio il potere di agire in via d’urgenza per ottenere la sospensione dell’amministratore, deve necessariamente riconoscersi anche la facoltà – implicita ma logicamente ineludibile – di promuovere l’ordinaria azione di cognizione volta a ottenere una sentenza definitiva di revoca. Diversamente, si creerebbe una contraddizione interna al sistema: sarebbe possibile chiedere la rimozione temporanea attraverso lo strumento cautelare, ma non quella stabile mediante giudizio ordinario. Una simile lettura restrittiva non trova giustificazione razionale.
La Cassazione ha poi valorizzato un elemento di diritto comparato interno. Nelle società di persone, l’articolo 2259, terzo comma, del codice civile riconosce espressamente a ciascun socio la possibilità di chiedere giudizialmente la revoca per giusta causa dell’amministratore, senza alcun collegamento con eventuali azioni di danno. Sarebbe inspiegabile ammettere questa autonomia nelle compagini personali e negarla invece nelle società a responsabilità limitata, dove anzi le esigenze di tutela dei soci minoritari sono ancora più marcate. La lettura opposta condurrebbe al paradosso per cui solo nelle s.r.l. la rimozione del manager potrebbe conseguirsi esclusivamente attraverso l’esercizio dell’azione di responsabilità.
Conseguenze pratiche della pronuncia
La sentenza produce effetti concreti rilevanti per la vita delle società. Il socio dispone ora di un potere pieno e diretto per far rimuovere l’amministratore colpevole di gravi irregolarità nella gestione. L’azione di revoca può essere proposta isolatamente, senza necessità di affiancarla a una domanda risarcitoria. Naturalmente nulla vieta che le due azioni vengano cumulate, ma resta fermo che l’una non condiziona l’altra sotto il profilo della legittimazione e dell’ammissibilità.
Questo consente al quotista di prevenire ulteriori danni alla società senza doversi imbarcare in un giudizio di responsabilità, che per sua natura richiede la prova del danno, del nesso causale e dell’elemento soggettivo (dolo o colpa). Quando ciò che interessa è semplicemente bloccare una gestione pregiudizievole, il socio può percorrere la via più diretta della domanda di revoca, concentrandosi sulla dimostrazione delle “gravi irregolarità” senza dover affrontare le complesse questioni probatorie legate al quantum debeatur.
Un esempio può chiarire la portata applicativa della decisione. Si consideri il caso di un socio che rilevi sistematiche violazioni degli obblighi informativi da parte dell’amministratore, il quale omette di convocare l’assemblea nei termini di legge, non fornisce riscontro alle richieste di consultazione dei libri sociali e agisce in conflitto di interessi in operazioni con parti correlate. In presenza di tali comportamenti – che integrano certamente gravi irregolarità – il socio potrà adire il tribunale chiedendo direttamente la revoca dell’amministratore, senza dover quantificare e provare i danni economici eventualmente subiti dalla compagine.
Distinzione rispetto alla revoca assembleare
Occorre precisare che la pronuncia della Cassazione riguarda specificamente l’azione giudiziale promossa dal singolo socio ai sensi dell’articolo 2476, comma 3, cod. civ. Si tratta quindi di un rimedio individuale, azionabile anche contro la volontà degli altri quotisti o quando l’assemblea non sia nelle condizioni di deliberare. Resta ferma, evidentemente, la possibilità per i soci di procedere alla rimozione dell’amministratore attraverso delibera assembleare, secondo le ordinarie regole di funzionamento dell’organo collegiale.
La revoca deliberata dall’assemblea non richiede l’indicazione di una giusta causa ed è sempre efficace, salvo il diritto dell’amministratore al risarcimento del danno qualora manchino ragioni oggettive. La revoca giudiziale richiesta dal singolo socio presuppone invece la sussistenza di “gravi irregolarità” nella gestione, concetto che secondo la giurisprudenza consolidata comprende non solo le violazioni di legge o statutarie, ma anche comportamenti gestionali gravemente imprudenti o pericolosi per l’integrità del patrimonio sociale.
Riferimenti normativi e coordinamento sistematico
Secondo quanto previsto dall’articolo 2476, comma 3, ciascun socio è legittimato a promuovere l’azione di responsabilità contro gli amministratori. La medesima disposizione consente di richiedere l’adozione di un provvedimento cautelare di revoca “in caso di gravi irregolarità nella gestione della società”. Il giudice può subordinare il provvedimento alla prestazione di apposita cauzione.
La Corte ha dovuto confrontarsi anche con il principio generale sancito dall’articolo 2908 cod. civ., in base al quale le sentenze costitutive sono ammesse solo nei casi previsti dalla legge. Secondo alcuni interpreti, riconoscere al socio la facoltà di ottenere una sentenza costitutiva di revoca dell’amministratore al di fuori dell’azione di responsabilità avrebbe violato tale principio. I giudici di legittimità hanno respinto questa obiezione, evidenziando che non si tratta di creare un’ipotesi ulteriore di pronuncia costitutiva mediante analogia, ma semplicemente di dare corretta lettura a una previsione normativa già esistente.
Ai sensi dell’articolo 2259, terzo comma, nelle società di persone la revoca per giusta causa può in ogni caso essere chiesta giudizialmente da ciascun socio. La norma non subordina tale facoltà all’esercizio di alcuna azione risarcitoria, riconoscendo così al rimedio della revoca una piena autonomia. L’argomentazione della Suprema Corte valorizza questo precedente normativo per sostenere che sarebbe contraddittorio ammettere tale autonomia nelle società personali e negarla nelle s.r.l., dove il sistema di tutele a favore dei soci dovrebbe essere almeno equivalente se non più penetrante.
Profili processuali e onere della prova
Sul piano processuale, l’azione deve essere proposta nei confronti dell’amministratore di cui si chiede la revoca. Secondo l’orientamento prevalente non sussiste litisconsorzio necessario con gli altri soci, i quali potranno eventualmente intervenire volontariamente nel giudizio. La società, invece, deve essere necessariamente contraddetta, in quanto titolare di un interesse qualificato rispetto alla composizione del proprio organo gestorio.
L’onere probatorio grava sul socio attore, il quale dovrà dimostrare la sussistenza delle “gravi irregolarità” nella gestione. La giurisprudenza ha chiarito che non è sufficiente la mera violazione di singole disposizioni normative o statutarie, ma occorre provare un quadro di anomalie gestionali di particolare gravità, tali da compromettere il corretto funzionamento della società o da esporre il patrimonio sociale a rischi rilevanti. Possono integrare tale fattispecie, a titolo esemplificativo: la sistematica violazione dei doveri di corretta informazione verso i soci, la gestione in palese conflitto di interessi, l’omessa convocazione delle assemblee previste per legge, operazioni ultra vires rispetto all’oggetto sociale.
La sentenza che accoglie la domanda ha natura costitutiva e produce effetti dalla sua pubblicazione. L’amministratore cessa immediatamente dalle funzioni e perde tutti i poteri connessi alla carica. Qualora non risulti nominato un sostituto, si applica la disciplina dell’amministrazione provvisoria o, nei casi più gravi, possono essere adottati provvedimenti cautelari per la gestione dell’impresa.



