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Registro titolari effettivi: l’Italia verso l’accesso selettivo

25 Ottobre, 2025

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Il panorama normativo sul registro titolari effettivi sta attraversando una fase di profonda trasformazione in tutta Europa. L’Italia si prepara a chiudere la porta all’accesso indiscriminato alle informazioni sulla proprietà delle società, allineandosi alla recente decisione della Corte di Giustizia dell’Unione europea. Il modello che sta prendendo forma nel nostro Paese prevede diversi livelli di consultazione, in bilico tra trasparenza e tutela della privacy delle persone fisiche.

🕒 Cosa sapere in un minuto

  • L’accesso al registro titolari effettivi in Italia sarà selettivo e subordinato a “interesse legittimo”, dopo la sentenza Corte UE.
  • Autorità, soggetti antiriciclaggio e forze dell’ordine avranno accesso diretto ai dati; per altri serve motivazione giuridica concreta.
  • Sanzioni pecuniarie tra 103€ e 1.032€ se si omette la comunicazione, fino a 50.000€ per violazioni gravi della normativa antiriciclaggio.
  • Il sistema italiano presenta criticità su tempistiche, criteri di ammissione e disparità territoriali.
  • Il nuovo decreto legislativo attua la VI direttiva europea; in attesa della piena operatività, i registri restano “congelati”.

La svolta europea sull’accesso pubblico

La Corte di giustizia ha bocciato il sistema di consultazione aperta che caratterizzava buona parte degli Stati membri. Una decisione che ha fatto tremare i pilastri della trasparenza antiriciclaggio costruiti negli ultimi anni. Secondo il ragionamento dei giudici di Lussemburgo, consentire a chiunque di accedere ai dati dei titolari effettivi viola diritti fondamentali come la privacy e la protezione delle informazioni personali.

Questo ribaltamento ha generato, è opportuno notare, una frammentazione nel continente. Ciascun Paese ha reagito a modo proprio, interpretando i margini di manovra lasciati dalla giurisprudenza europea in maniera differente. La cartina geografica dell’accesso ai registri mostra oggi tre modelli distinti che convivono nell’Unione.

Tre velocità per l’Europa dei registri societari

Il primo gruppo di Stati (Bulgaria, Repubblica Ceca, Croazia, Estonia, Lettonia, Polonia, Portogallo e Romania) ha mantenuto l’accesso pubblico pieno. Chiunque può consultare liberamente le informazioni sui titolari effettivi senza dover fornire motivazioni particolari. Una scelta coraggiosa, o forse incosciente, considerando il pronunciamento della Corte.

Il secondo blocco, più numeroso, comprende Austria, Belgio, Danimarca, Finlandia, Francia, Germania, Irlanda, Lituania, Lussemburgo, Malta, Slovenia, Spagna, Svezia e Ungheria. Qui serve dimostrare un interesse legittimo. Non basta più la curiosità o l’interesse generico: occorre specificare perché si ha necessità di accedere a quei dati. Nella prassi operativa, questo significa presentare una richiesta motivata che le autorità nazionali dovranno valutare caso per caso.

Il terzo gruppo (Cipro, Grecia, Paesi Bassi e Slovacchia) ha optato per registri gestiti privatamente, sottraendoli alla consultazione pubblica generalizzata. E poi c’è l’Italia, con il suo registro sospeso in attesa di una riorganizzazione complessiva del sistema.

Il travagliato percorso italiano verso l’operatività

Nel nostro Paese la vicenda del registro titolari effettivi assomiglia a un romanzo giallo procedurale. Partito in ritardo rispetto al resto d’Europa, il registro italiano ha visto la luce nell’ottobre 2023. I soggetti obbligati avevano tempo fino all’11 dicembre dello stesso anno per comunicare i dati alla Camera di commercio territorialmente competente. Ma alla vigilia della scadenza è arrivato il colpo di scena.

Il TAR del Lazio, con l’ordinanza 8083/2023, ha sospeso tutto. Motivazione: possibili violazioni della normativa sulla privacy. Da lì è partito un ping pong giudiziario che ha coinvolto prima il TAR, poi il Consiglio di Stato, infine la Corte di giustizia europea. Nel maggio 2024 il Consiglio di Stato, con l’ordinanza 3533/2024, ha ulteriormente congelato l’operatività del registro dopo alcune sentenze del TAR favorevoli alla sua riapertura.

Nell’ordinanza 3532/2024, lo stesso Consiglio di Stato aveva suggerito un approccio selettivo: valutare caso per caso le richieste di accesso, soppesando l’interesse pubblico contro il diritto alla riservatezza. Un equilibrismo che richiedeva (e richiede tuttora) capacità interpretativa e discrezionalità da parte delle Camere di commercio.

Il recepimento della VI direttiva antiriciclaggio

Il 2 ottobre 2025 il Consiglio dei ministri ha approvato lo schema di decreto legislativo che recepisce l’articolo 74 della direttiva UE 2024/1640. Si tratta della sesta direttiva in materia di antiriciclaggio, quella che limita formalmente l’accesso ai registri dei titolari effettivi. Il testo normativo, secondo quanto previsto dall’art. 74 della direttiva, ridisegna completamente le modalità di consultazione.

Le autorità pubbliche (magistratura, forze dell’ordine, Unità di informazione finanziaria, autorità di vigilanza) avranno accesso diretto e pieno ai dati. Nessuna motivazione richiesta. Possono consultare il registro per finalità di controllo, prevenzione e contrasto al riciclaggio. Anche i soggetti obbligati antiriciclaggio ai sensi del Dlgs 231/2007 (banche, intermediari finanziari, commercialisti, avvocati, notai) potranno accedere liberamente per svolgere l’adeguata verifica della clientela.

Ma per tutti gli altri? Qui entra in gioco il concetto di interesse legittimo. Chi vuole consultare il registro titolari effettivi dovrà dimostrare un interesse giuridico specifico, concreto e attuale. Non generico, non astratto. Deve essere un interesse collegato a una situazione particolare, differenziato rispetto a quello della collettività.

Chi potrà accedere con interesse legittimo

La categoria degli aventi diritto all’accesso condizionato comprende diverse figure professionali. I giornalisti investigativi che conducono inchieste su fenomeni di riciclaggio o corruzione. Le organizzazioni non governative impegnate nella lotta alla criminalità economica. I ricercatori e gli studiosi che analizzano i flussi finanziari illeciti. Ma anche, ed è un punto delicato, soggetti privati che abbiano un interesse giuridicamente rilevante.

Si consideri il caso di un creditore che intende verificare l’effettiva proprietà di una società debitrice prima di intraprendere azioni esecutive. O quello di un’impresa che vuole conoscere i titolari effettivi di un potenziale partner commerciale per valutare il rischio reputazionale. In questi casi l’interesse c’è, è concreto, è specifico. Ma la Camera di commercio dovrà valutarlo, bilanciandolo con il diritto alla riservatezza delle persone fisiche indicate nel registro.

Nella pratica professionale si osserva che questa valutazione caso per caso genera incertezza applicativa. Non esistono criteri oggettivi predeterminati. Tutto dipende dalla motivazione fornita dal richiedente e dalla discrezionalità dell’autorità che decide. Un sistema che, come spesso accade, favorisce il contenzioso amministrativo.

Le categorie di soggetti esclusi dall’obbligo

Il decreto ministeriale 55/2022, che disciplina le modalità operative del registro, individua alcune esclusioni dall’obbligo di comunicazione. Le società quotate in mercati regolamentati (già sottoposte a obblighi di trasparenza stringenti) non devono comunicare i titolari effettivi. Anche gli enti pubblici e le amministrazioni statali sono esentati, in quanto la loro proprietà è per definizione pubblica e già nota.

Per i trust, la disciplina è più articolata. Occorre distinguere tra trust opachi (dove il beneficiario non è individuato) e trust trasparenti. Nel primo caso si applicano criteri sussidiari: sono considerati titolari effettivi il disponente, il trustee, il guardiano se nominato. Nel secondo caso, quando i beneficiari sono identificati, questi ultimi vanno indicati come titolari effettivi ai sensi dell’art. 22 del Dlgs 231/2007.

Le sanzioni per l’omessa comunicazione

Una volta che il registro tornerà operativo (e non è chiaro quando accadrà), scatteranno le sanzioni per chi non adempie. L’art. 2, comma 2, del Dlgs 90/2017 prevede una sanzione amministrativa pecuniaria da 103 euro a 1.032 euro per la violazione degli obblighi di comunicazione dei dati sulla titolarità effettiva.

Ma attenzione: se l’omissione configura anche una violazione degli obblighi di adeguata verifica previsti dall’art. 18 del Dlgs 231/2007, le sanzioni aumentano sensibilmente. Si passa a una forbice tra 2.500 euro e 50.000 euro nelle ipotesi di violazioni gravi, ripetute o sistematiche. E in caso di recidiva gli importi possono raddoppiare.

Per i professionisti (commercialisti, avvocati, consulenti del lavoro) l’omessa identificazione del titolare effettivo comporta anche responsabilità disciplinari. Gli ordini professionali possono aprire procedimenti sanzionatori che vanno dall’avvertimento alla sospensione dall’albo. La normativa antiriciclaggio non perdona leggerezze in questo ambito.

I tempi di attuazione del nuovo sistema

Il decreto legislativo dovrà essere pubblicato in Gazzetta Ufficiale entro pochi giorni. L’entrata in vigore è prevista il giorno successivo alla pubblicazione, vista l’urgenza determinata dalla procedura di infrazione europea. L’Italia aveva già superato il termine di recepimento della direttiva, fissato al 10 luglio 2025, e la Commissione europea aveva avviato la contestazione formale.

Tuttavia l’operatività effettiva del nuovo sistema richiederà modifiche regolamentari. Il decreto ministeriale 55/2022 va aggiornato per recepire le nuove modalità di accesso. Su queste modifiche dovranno pronunciarsi il Consiglio di Stato (per il profilo di legittimità amministrativa) e il Garante per la protezione dei dati personali (per il profilo privacy). Difficile che tutto si concluda prima del 2026.

Nel frattempo il registro resta congelato. Le società già iscritte nel registro delle imprese non devono comunicare alcunché. L’obbligo tornerà operativo solo dopo l’emanazione del decreto ministeriale modificativo. Una situazione di limbo che penalizza l’Italia nel confronto con gli altri Stati membri, molti dei quali hanno già registri pienamente funzionanti.

Le criticità del modello italiano

Il sistema che sta emergendo presenta alcune zone d’ombra. La prima riguarda la definizione di interesse legittimo. Troppo vaga, troppo elastica. Ogni Camera di commercio potrebbe interpretarla diversamente, generando disparità territoriali. Un’azienda che chiede l’accesso a Milano potrebbe ottenerlo, mentre la stessa richiesta a Palermo potrebbe essere respinta. Serve una circolare interpretativa del Ministero dell’Economia che uniformi i criteri di valutazione.

La seconda criticità è procedurale. Chi valuta le richieste di accesso? Con quali competenze tecniche? Le Camere di commercio non sono attrezzate per svolgere un’analisi giuridica approfondita dell’interesse legittimo. Servirebbero commissioni specializzate, magari con la partecipazione di magistrati o avvocati amministrativisti. Ma questo comporterebbe costi organizzativi non indifferenti.

La terza questione riguarda i tempi di risposta. La normativa non fissa termini certi per la decisione sulle richieste di accesso. Un vuoto che potrebbe tradursi in attese di mesi, vanificando l’utilità pratica del registro. Nella casistica comune accade che il soggetto richiedente abbia necessità di informazioni rapide (per chiudere un contratto, per valutare un investimento, per bloccare un’operazione sospetta). Se la risposta arriva dopo settimane, il dato è ormai inutile.

Il confronto con altri Paesi europei

In Francia il registro è accessibile su richiesta motivata, con risposta entro 15 giorni lavorativi. Un termine ragionevole che bilancia controllo e tempestività. In Germania il sistema prevede tre livelli di accesso graduati: pubblico per dati essenziali (denominazione sociale, sede), ristretto per informazioni sensibili (quote di partecipazione), chiuso per dati particolarmente delicati (domicilio del titolare effettivo). Un modello sofisticato che potrebbe ispirare anche il legislatore italiano.

In Spagna, dove l’identificazione elettronica è molto sviluppata, l’accesso al registro avviene tramite piattaforma digitale con autenticazione forte. Ogni consultazione lascia una traccia informatica, che consente di verificare a posteriori l’uso legittimo dei dati. Un sistema di accountability che tutela sia la trasparenza sia la privacy.

Prospettive future e possibili evoluzioni

Il decreto che sta per entrare in vigore rappresenta solo la prima fase di attuazione della VI direttiva antiriciclaggio. Nei prossimi mesi saranno necessari ulteriori interventi normativi. Il Parlamento europeo sta lavorando a un regolamento che armonizzerà completamente le modalità di accesso ai registri in tutti gli Stati membri. Si parla di creare un sistema di interconnessione europea (il cosiddetto BORIS – Beneficial Ownership Registers Interconnection System) che consenta ricerche transfrontaliere.

L’interconnessione pone problemi tecnici non banali. Come garantire che un ricercatore finlandese che accede al registro italiano comprenda le specificità del nostro ordinamento societario? Come tradurre correttamente i documenti? Come verificare l’identità digitale del richiedente? Questioni ancora aperte, su cui la Commissione europea sta lavorando con il supporto di esperti informatici e giuristi.

Un altro fronte riguarda le sanzioni europee per gli Stati inadempienti. L’Italia rischia multe salate se non completerà rapidamente il recepimento della direttiva. La Commissione ha già avviato la procedura di infrazione. Se non ci saranno progressi sostanziali entro i primi mesi del 2026, potrebbero scattare penalità giornaliere fino alla regolarizzazione della situazione.

Impatti operativi per professionisti e imprese

Per i commercialisti e i consulenti aziendali il nuovo sistema comporta cambiamenti rilevanti. L’adeguata verifica della clientela potrà ancora avvalersi della consultazione del registro, ma occorrerà un accreditamento preventivo presso la Camera di commercio competente. Le modalità di accreditamento saranno definite dal decreto ministeriale modificativo del DM 55/2022.

Le banche e gli intermediari finanziari dovranno aggiornare le loro procedure interne. Il registro resta uno strumento di verifica, ma non esaurisce gli obblighi di due diligence. Secondo la giurisprudenza della Banca d’Italia e dell’UIF (Unità di informazione finanziaria), la consultazione del registro non esonera i soggetti obbligati dall’obbligo di valutare autonomamente il rischio di riciclaggio associato a ciascun cliente.

Le società, soprattutto quelle con strutture proprietarie complesse, dovranno riprendere gli adempimenti di comunicazione una volta che il registro tornerà operativo. Si consiglia di predisporre fin da ora la documentazione necessaria (organigrammi societari, attestazioni dei titolari effettivi, dichiarazioni sostitutive) per essere pronti quando scatterà l’obbligo.

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