Quando il comodatario affitta l’immobile ricevuto gratuitamente, il canone che incassa diventa un reddito completamente diverso da quello fondiario del proprietario. È questa la chiarificazione che arriva dalla norma di comportamento n. 233 dell’AIDC, pubblicata il 6 novembre 2025, risolvendo una questione che ha generato confusione negli ultimi anni tra i professionisti del settore.
🕒 Cosa sapere in un minuto
- Regola base: Quando un comodatario loca l’immobile ricevuto gratuitamente, il canone incassato è un reddito diverso del comodatario, non del proprietario.
- Chi paga le imposte: Il comodatario dichiara il canone come reddito diverso (art. 67 comma 1 lett. h TUIR). Il proprietario/comodante continua a dichiarare il reddito fondiario ordinario.
- Normativa di riferimento: Norma di comportamento AIDC n. 233 del 6 novembre 2025; articoli 26, 67 e 71 del TUIR; articolo 4 comma 3 D.L. 50/2017.
- Cedolare secca: Se l’immobile è abitativo, il comodatario può optare per il regime della cedolare secca (attualmente 21%) anche sulle locazioni di durata superiore a 30 giorni.
- Deducibilità costi: Spese di condominio, assicurazioni, manutenzione sostenute dal comodatario-locatore sono deducibili dal canone lordo.
- Non c’è doppia imposizione: Il proprietario non vede il canone. La base imponibile rimane quella catastale ordinaria, indipendentemente da chi effettivamente loca l’immobile.
Una questione annosa finalmente risolta
La questione dei redditi diversi del comodatario che loca ha origini lontane. Per molto tempo, l’amministrazione finanziaria sosteneva che quando un comodatario concedeva in locazione il bene ricevuto gratuitamente, il reddito derivante da quell’affitto dovesse comunque imputarsi al proprietario. La logica era semplice ma discutibile: il proprietario rimane titolare del diritto reale sull’immobile, quindi anche i frutti derivanti dal suo utilizzo dovrebbero appartenergli dal punto di vista fiscale.
L’AIDC ha deciso di affrontare direttamente questa questione nella sua nuova norma, portando ordine in un settore dove le interpretazioni variavano significativamente da professionista a professionista. La norma rappresenta un importante punto di riferimento per tutti coloro che operano nel complesso universo della fiscalità immobiliare.
Come funziona il meccanismo della sublocazione
Per comprendere appieno la questione del comodatario, occorre partire da un concetto più generale: quello della sublocazione. Immaginiamo una situazione basilare. Tizio affitta un appartamento da Caio per 800 euro al mese. Successivamente, Tizio subloca lo stesso appartamento a Sempronio per 1200 euro. Chi paga le imposte su questo differenziale di 400 euro?
Secondo le regole ordinarie, Caio continua a dichiarare come reddito fondiario gli 800 euro che riceve da Tizio. Il differenziale di 400 euro che Tizio incassa da Sempronio, però, non rientra nel reddito fondiario di Caio. Esso configura, per Tizio, quello che il codice tributario chiama reddito diverso, disciplinato dall’articolo 67 comma 1 lettera h del Testo Unico Imposte sul Reddito (TUIR).
La medesima logica si applica al comodato. Quando il proprietario riceve gratuitamente l’immobile da un altro soggetto tramite contratto di comodato e decide di affittarlo, il proprietario rimane assoggettato alla normale imposizione sul reddito fondiario. Il canone che il comodatario-locatore incassa, però, non fa parte di questo reddito fondiario del proprietario. Esso costituisce un reddito diverso del comodatario stesso.
Il principio della capacità contributiva
L’AIDC, nella sua norma, richiama un principio fondamentale del diritto tributario italiano: la capacità contributiva. Questo principio, sancito dall’articolo 26 comma 1 del TUIR, stabilisce che i redditi fondiari concorrono alla formazione del reddito complessivo dei soggetti che possiedono immobili a titolo di proprietà, enfiteusi, usufrutto o altro diritto reale, indipendentemente dal fatto che questi redditi siano effettivamente percepiti.
La norma di comportamento precisa, però, che questa indipendenza dalla percezione non significa che tutti i redditi derivanti dall’immobile siano automaticamente imponibili presso il proprietario. Significa, piuttosto, che il proprietario paga le imposte sul reddito fondiario anche se non lo percepisce effettivamente, ma i redditi che terzi realizzano tramite l’immobile rimangono di competenza di coloro che li percepiscono effettivamente.
Il principio guida è dunque quello della manifestazione della capacità contributiva. Chi veramente incassa il canone di locazione, manifestando una capacità economica mediante il suo titolo a riscuoterlo, è colui che deve assoggettarsi a imposizione su quel reddito.
Il reddito fondiario rimane in capo al proprietario
Qui sorge una questione pratica importante. Se il comodatario paga le imposte sul canone che riceve, che succede al proprietario? Il proprietario continua a pagare regolarmente le imposte sul reddito fondiario, come se l’immobile fosse ubicuo e capace di generare redditi infiniti?
La risposta è negativa, ma richiede una spiegazione. Il proprietario continua a sottacere a imposizione per il reddito fondiario dell’immobile, secondo i criteri ordinari di determinazione della base imponibile catastale. Non considera, nella propria dichiarazione, il canone che il comodatario sta incassando. Il comodatario, a sua volta, dichiara come reddito diverso il canone che riceve.
Non c’è in realtà una doppia imposizione. Il proprietario non vede il canone. Ne vede solo il reddito fondiario, che è quello risultante dal calcolo catastale. Se l’immobile è locato (indipendentemente da chi lo affitta), la base imponibile potrebbe variare a seconda che sia classificato come locato o non locato, ma questi sono meccanismi ordinari di determinazione del reddito fondiario.
La questione delle locazioni brevi
Avete presente quelle locazioni brevi, sino a 30 giorni, che negli ultimi anni hanno proliferato? Lì la situazione era più disciplinata. L’articolo 4 comma 3 del Decreto Legge 50/2017 ha esteso il regime della cedolare secca alle locazioni brevi di immobili abitativi quando il locatore è il comodatario.
La cedolare secca è un regime sostitutivo di imposta, significa che chi sceglie questo regime paga una percentuale fissa (attualmente il 21%) sui canoni, in sostituzione dell’IRPEF ordinaria e dell’imposta regionale. Per il comodatario che locava per durate non superiori a 30 giorni, quindi, c’era già una chiara indicazione legislativa: era possibile applicare la cedolare secca al canone incassato, proprio perché il legislatore aveva equiparato il comodatario al sublocatore.
Questa equiparazione aveva un significato importante. Dimostrava che il legislatore considerava il canone incassato dal comodatario come un reddito diverso del comodatario stesso, non come parte del reddito fondiario del proprietario. Se il comodatario poteva optare per la cedolare secca sulle locazioni brevi, era evidente che il reddito gli apparteneva e che poteva scegliere regimi tributari alternativi all’IRPEF ordinaria.
Locazioni lunghe e il vuoto normativo
Il problema sorgeva quando le locazioni avevano durata superiore a 30 giorni. Per queste, l’articolo 4 comma 3 del DL 50/2017 non si applicava. Il comodatario non poteva accedere al regime della cedolare secca. Restavano quindi in vigore le vecchie interpretazioni, talora contraddittorie, sull’imputazione del reddito.
Alcuni studi sostenevano che il comodatario dovesse pagare tasse ordinarie sul canone, altri che il reddito fosse del proprietario. Era una giungla interpretativa dove ogni professionista faceva un po’ come credeva, rifacendosi a circolari datate o a pronunce giurisprudenziali non sempre concordi.
L’AIDC ha deciso di portare chiarezza proprio su questo punto. Se per le locazioni brevi il legislatore equipara il comodatario al sublocatore, applicando il regime della cedolare secca, per le locazioni lunghe non esistono motivi sistematici o logici per differenziare il trattamento. Il principio deve rimanere coerente: il comodatario che loca, per qualunque durata, percepisce un reddito diverso in capo a sé stesso.
Implicazioni pratiche per il comodatario
Cosa significa concretamente per chi si trova nella situazione di comodatario-locatore? Significa che il canone incassato va dichiarato come reddito diverso nella propria dichiarazione dei redditi, secondo le modalità previste dall’articolo 67 comma 1 lettera h del TUIR. La determinazione di questo reddito segue le regole contenute nell’articolo 71 comma 2 del TUIR.
Per il comodatario attivo economicamente, il reddito diverso si calcola sottraendo dal canone i costi sostenuti per la gestione dell’immobile. Se il comodatario paga l’assicurazione, le spese di condominio che ricadono sulla sua responsabilità, le riparazioni, questi costi sono deducibili dal canone lordo per determinare l’imponibile.
Se il comodatario è una persona fisica, ha anche la possibilità di scegliere il regime della cedolare secca quando sussistono i presupposti. Non tutti i redditi diversi, sia chiaro, accedono automaticamente alla cedolare secca. È necessario che si tratti di redditi da locazione di immobili abitativi a uso residenziale. Se il comodatario loca un magazzino o un immobile commerciale, la cedolare secca non è disponibile.
La storia interpretativa precedente
Per apprezzare appieno la portata della norma n. 233 dell’AIDC, conviene ricordare come veniva interpretata la questione in precedenza. La Risoluzione Agenzia delle Entrate n. 381/2008 sosteneva che il comodato non trasfee il diritto reale sull’immobile. È un contratto ad effetti obbligatori, non reali. Il comodatario ha un diritto personale di godimento, non un diritto reale.
Da questa premessa derivava la conclusione: il comodato non trasferisce la titolarità del reddito fondiario dal comodante al comodatario. Se il comodatario loca l’immobile, il reddito derivante dalla locazione rimane imputabile al comodante, che è il titolare del diritto reale. Era una logica che sembrava coerente ma che generava conseguenze fiscali problematiche.
Questa interpretazione aveva il sostegno della Corte di Cassazione. Le sentenze nn. 5000/2024, 32151/2021 e 5588/2021 della Cassazione andavano in questa direzione. Anche tribunali amministrativi avevano seguito questa strada. C’era però anche chi la pensava diversamente: la Commissione Tributaria Regionale di Milano, sezione Brescia, aveva preso una posizione opposta nella sentenza n. 240/63/10.
L’Agenzia delle Entrate, nel corso del tempo, aveva iniziato a muovere verso posizioni diverse. La Circolare n. 24/2017 aveva iniziato a correggere il tiro, ma in modo parziale e incompleto. Restavano zone d’ombra e ambiguità interpretative, specialmente per le locazioni di durata superiore ai 30 giorni.
Il cambio di paradigma dell’AIDC
La norma di comportamento n. 233 rappresenta un vero cambio di rotta. L’associazione dei dottori commercialisti ritiene che non esistano ragioni normative o sistematiche per trattare diversamente le fattispecie di subloc e comodato a seconda della durata contrattuale.
Se il legislatore, nel 2017, ha equiparato il comodatario al sublocatore per le locazioni brevi, estendendo loro il regime della cedolare secca, ciò significa che il legislatore stesso considerava il canone come un reddito del comodatario, non del proprietario. Estendere questa logica anche alle locazioni di lunga durata diviene allora una conseguenza logica e coerente.
L’AIDC cita l’articolo 26 comma 1 del TUIR per spiegare un punto cruciale. L’indipendenza dal quale i redditi fondiari concorrono alla formazione del reddito complessivo non significa che chiunque ricavi redditi dall’immobile sia automaticamente obbligato a versare imposte presso il proprietario. Significa che il proprietario paga sull’immobile anche senza incassare fisicamente il reddito. I redditi percepiti da terzi restano imputabili a coloro che li percepiscono.
Scenari operativi
Vediamo alcuni scenari per comprendere meglio come questa norma si applica nel concreto.
Scenario primo: una coppia di genitori consegna in comodato la loro vecchia casa al figlio affinché vi risieda. Il figlio, tuttavia, affida la casa a un’agenzia che la loca stagionalmente per periodi di 20-25 giorni per volta. I canoni che l’agenzia riceve sono reddito diverso del figlio. I genitori dichiarano il reddito fondiario relativo all’immobile normalmente. Sugli 800 euro di canone mensile che il figlio riceve, il figlio paga l’imposizione. I genitori no, salvo la loro imposizione ordinaria sul reddito fondiario dell’immobile.
Scenario secondo: un imprenditore riceve in comodato da un amico un immobile e lo subloca a un tercero per 2 anni continuativi. L’imprenditore incassa 1500 euro mensili. Questo è un reddito diverso dell’imprenditore, imponibile secondo l’articolo 67 del TUIR. L’amico proprietario continua a pagare il reddito fondiario secondo le modalità ordinarie. Non vede il canone di 1500 euro nella sua dichiarazione.
Scenario terzo: una persona riceve in comodato un bilocale e loca una camera a studenti universitari per periodi di 30 giorni. Qui la situazione è un po’ più articolata. Se tutti i contratti sono inferiori a 30 giorni e l’immobile è classificato come abitativo, il comodatario-locatore potrebbe optare per il regime della cedolare secca sul reddito diverso derivante da queste locazioni brevi.
Implicazioni per il proprietario
Cosa cambia per il proprietario che ha concesso l’immobile in comodato? Formalmente, il proprietario continua a essere soggetto a imposizione sul reddito fondiario. Non dichiara il canone che il comodatario sta incassando. La base imponibile del reddito fondiario rimane quella catastale ordinaria.
Tuttavia, c’è un aspetto pratico di rilievo. Se il proprietario intendesse riprendere possesso dell’immobile o modificare il regime di comodato, dovrebbe coordinare la propria situazione con quella del comodatario-locatore. Se il comodatario ha firmato un contratto di locazione per tre anni, il proprietario non può semplicemente revocare il comodato senza considerare le obbligazioni in capo al comodatario. Questo è diritto civile, non fiscale, ma ha ovviamente implicazioni tributarie.
Inoltre, il proprietario deve essere consapevole che la cessione del bene comporterebbe, per l’acquirente, la necessità di rinegoziare con il comodatario-locatore. Non c’è continuità automatica tra i diritti reali e le obbligazioni contrattuali.
Cedolare secca e redditi diversi
Un aspetto particolarmente importante riguarda la cedolare secca per i redditi diversi del comodatario. Quando i presupposti sono soddisfatti, il comodatario può optare per il regime della cedolare secca sul canone incassato. Cosa significa?
La cedolare secca è una forma di imposizione sostitutiva. Chi la sceglie paga un’aliquota fissa (attualmente il 21% per gli immobili a uso residenziale) e non applica l’IRPEF ordinaria al reddito in questione. È un regime che semplifica molto la contabilità ma che, per alcuni contribuenti ad alto reddito marginale, potrebbe non essere conveniente.
Il comodatario persona fisica che riceve canoni da locazione di immobili abitativi può accedere alla cedolare secca se l’immobile è classificato come abitativo e non se lo è come commerciale o strumentale. Una volta optato per la cedolare secca, il contribuente non deve più dichiarare quel reddito nel quadro ordinario dell’IRPEF. Lo dichiara nel modulo specifico della cedolare secca, pagando direttamente l’imposta al momento della dichiarazione.
Le conseguenze dell’assenza di una norma
Prima della norma n. 233, chi operava in questo settore doveva affrontare un’incertezza sistematica. Un commercialista che consigliava il comodatario di dichiarare il canone come reddito diverso faceva bene, secondo molti, ma rischava comunque controlli amministrativi. Un altro commercialista che suggeriva il contrario poteva far leva su interpretazioni risalenti dell’Agenzia delle Entrate.
Questa incertezza aveva due conseguenze negative. La prima è che molti comodatari, in buona fede, potevano dichiarare il canone in maniera difform da quella corretta, non sapendo bene quale regime applicare. La seconda è che l’amministrazione finanziaria poteva contestare posizioni diverse, creando ingiuste disparità di trattamento tra contribuenti in situazioni praticamente identiche.
La norma AIDC contribuisce a risolvere questa incertezza, anche se ovviamente l’Agenzia delle Entrate potrebbe in futuro emettere proprie interpretazioni ufficiali su questo tema. La pratica professionale, però, avrà ora un riferimento più solido.
Distinzione dalla sublocazione ordinaria
È opportuno sottolineare una differenza importante tra il comodato e la sublocazione ordinaria. Nel comodato, il primo soggetto (comodante) dona gratuitamente l’uso dell’immobile al secondo (comodatario). Nel caso della sublocazione ordinaria, il primo soggetto (locatario) affitta l’immobile da un proprietario (locante) e successivamente lo subloca a un terzo.
Nella sublocazione ordinaria, il primo soggetto paga un canone al proprietario e un canone più alto al terzo. La differenza è il suo reddito diverso. Nel comodato, il comodatario non paga nulla al comodante per il godimento dell’immobile. Se lo loca, il reddito che ne ricava è pienamente suo.
Nonostante questa differenza, il trattamento fiscale è ora assimilato. Sia il sublocatore che il comodatario-locatore dichiarano il canone incassato come reddito diverso. Il proprietario o il comodante continua a dichiarare il reddito fondiario secondo le modalità ordinarie.
Questioni ancora aperte
Nonostante la chiarezza apportata dalla norma AIDC, alcune questioni rimangono aperte. Cosa accade se il comodatario loca l’immobile a una società di cui è socio? È ancora reddito diverso del comodatario o potrebbe configurarsi una situazione diversa? Cosa succede se il comodatario effettua lavori di miglioramento sull’immobile? Questi costi sono deducibili dal reddito diverso?
Sono domande che richiedono analisi caso per caso. La norma AIDC fornisce il principio, ma l’applicazione concreta potrebbe richiedere approfondimenti ulteriori o, eventualmente, chiarimenti successivi dall’Agenzia delle Entrate.



