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Reati ambientali: esclusione appalti e licenze per condanne definitive

1 Ottobre, 2025

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Il percorso di conversione del decreto-legge 116/2025 prosegue con modifiche che cambiano radicalmente le conseguenze per chi viene condannato in via definitiva per illeciti contro l’ecosistema. Il Senato ha approvato con 91 voti favorevoli e 55 contrari, dopo la questione di fiducia posta dal Governo, un pacchetto di emendamenti che ora passa alla Camera per l’approvazione definitiva entro il 7 ottobre. Le modifiche introdotte durante l’esame in Commissione al Senato configurano un sistema di interdizioni che coinvolge l’intera attività imprenditoriale del condannato. Non si tratta soltanto di pene detentive o pecuniarie: la condanna definitiva comporta l’impossibilità di operare nei rapporti con la pubblica amministrazione e, in molti casi, la decadenza da autorizzazioni già rilasciate. L’intervento normativo risponde all’urgenza di dare attuazione alla sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo del 30 gennaio 2025, che ha condannato l’Italia per non aver adottato misure adeguate contro l’inquinamento nella cosiddetta Terra dei fuochi, un’area di circa 150mila ettari tra Napoli e Caserta con una popolazione di quasi 2 milioni di abitanti.

🕒 Cosa sapere in un minuto

  • Condanna definitiva per reati ambientali: blocco totale delle attività imprenditoriali, interdizioni dai rapporti con la PA, revoca di autorizzazioni e concessioni in essere.
  • Le imprese perdono licenze, iscrizioni, finanziamenti e appalti; la decadenza dai titoli già ottenuti avviene in modo automatico.
  • Introdotta l’amministrazione giudiziaria preventiva per indizi sufficienti di agevolazione a reati ambientali.
  • Sanzioni amministrative specifiche per abbandono illecito di rifiuti urbani, anche accertabili tramite videosorveglianza.
  • Trasformazione delle principali ipotesi da contravvenzioni a delitti penali (con pene aggravate e maggiore rischio di misure cautelari).
  • L’ente rischia responsabilità 231 e sanzioni interdittive; necessario aggiornare i modelli organizzativi e rafforzare la compliance.
  • Stanziati fondi straordinari per la bonifica della Terra dei fuochi e poteri rafforzati al Commissario unico.
  • Nuove criticità operative: coordinamento tra enti e rischi di paralisi per le imprese coinvolte.

Il catalogo delle interdizioni per reati ambientali

Le pene accessorie si applicano ai condannati in via definitiva per delitti specifici previsti dal decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152. La disciplina riguarda l’inquinamento ambientale (art. 452-bis c.p.), il disastro ambientale (art. 452-quater c.p.), il traffico e l’abbandono di materiale ad alta radioattività (art. 452-sexies c.p.) e le attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti (art. 452-quaterdecies c.p.).

La durata delle interdizioni varia da uno a cinque anni. Durante questo periodo il condannato non può ottenere licenze, autorizzazioni, concessioni, iscrizioni, attestazioni, abilitazioni ed erogazioni. Si tratta di un blocco operativo che può compromettere definitivamente l’attività imprenditoriale.

Nel dettaglio, le licenze di polizia e di commercio diventano irraggiungibili per chi ha una condanna definitiva. Ma l’esclusione tocca anche le concessioni di acque pubbliche e di beni demaniali, quando queste risultano necessarie per l’esercizio di attività imprenditoriali. Gli stabilimenti balneari, tanto per intenderci, rientrano in questo perimetro.

L’interdizione copre inoltre le iscrizioni negli elenchi di appaltatori o fornitori della pubblica amministrazione. La Camera di commercio non potrà iscrivere nei propri registri l’impresa condannata per l’attività di distribuzione all’ingrosso, nemmeno nei mercati annonari. L’attestazione di qualificazione per eseguire lavori pubblici e altri provvedimenti autorizzatori per svolgere attività imprenditoriali vengono revocati.

Particolare attenzione merita il blocco di contributi, finanziamenti, mutui agevolati e altre erogazioni da parte dello Stato, enti pubblici o Unione europea legati all’attività d’impresa. Qui si tocca spesso la sopravvivenza economica dell’azienda, perché in molti settori – si pensi all’agricoltura o all’innovazione tecnologica – l’accesso a fondi pubblici rappresenta un elemento decisivo per la continuità operativa.

La decadenza dalle autorizzazioni in corso

Il testo approvato dal Senato non si limita a impedire il rilascio di nuove autorizzazioni. Prevede anche la decadenza da quelle già ottenute. Questo aspetto assume rilevanza pratica immediata: l’impresa che ha in corso appalti, concessioni o contributi pubblici si trova nella condizione di perdere quanto già acquisito.

La prassi applicativa, in casi analoghi già noti nella disciplina antimafia, suggerisce che la decadenza opera in modo automatico una volta che la sentenza diviene definitiva. Non servono ulteriori provvedimenti amministrativi: la condanna definitiva produce l’effetto di far cessare i rapporti in essere.

Nella gestione pratica di queste situazioni, le amministrazioni procedono alla comunicazione formale della decadenza e all’avvio delle procedure di recupero delle somme eventualmente già erogate. Per gli appalti in corso si pone il problema della continuità del servizio o della fornitura, che spesso comporta l’affidamento temporaneo ad altro operatore economico.

Amministrazione giudiziaria su richiesta del pubblico ministero

La modifica all’articolo 54 del codice antimafia (decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159) introduce uno strumento preventivo che opera ancora prima della condanna definitiva. Il procuratore della Repubblica può proporre l’amministrazione giudiziaria di aziende o beni quando emergono sufficienti indizi per ritenere che il libero esercizio delle attività economiche possa agevolare l’attività di una persona sottoposta a procedimento penale per reati ambientali.

L’espressione “sufficienti indizi” configura una soglia probatoria inferiore rispetto alla prova necessaria per la condanna. Si tratta di elementi che, pur non raggiungendo la certezza processuale, fanno ritenere probabile il collegamento tra l’attività d’impresa e la commissione di reati ambientali. La giurisprudenza ha talvolta interpretato questa nozione in modo ampio, ritenendo sufficienti anche elementi indiziari tratti da intercettazioni o da dichiarazioni di collaboratori di giustizia.

L’amministrazione giudiziaria si applica quando l’azienda o i beni vengono utilizzati per agevolare reati come l’abbandono di rifiuti pericolosi e l’attività di gestione di rifiuti non autorizzata. Nell’esperienza applicativa si osserva che questa misura trova spazio soprattutto quando l’impresa, pur non essendo formalmente coinvolta nel procedimento penale, fornisce mezzi, strutture o coperture all’attività illecita.

Il Tribunale competente per l’applicazione delle misure di prevenzione dispone la nomina di un amministratore giudiziario che subentra nella gestione dell’azienda. L’amministratore ha il compito di proseguire l’attività economica eliminando le interferenze criminali, garantendo al contempo la continuità occupazionale e il pagamento dei creditori. Nella pratica professionale si osserva che l’amministrazione giudiziaria può durare anche diversi anni, con impatti significativi sulla redditività dell’impresa.

Sanzioni per abbandono illecito di rifiuti urbani

Il decreto introduce una specifica sanzione amministrativa per chi, in violazione delle disposizioni locali sul conferimento dei rifiuti, abbandona o deposita rifiuti urbani accanto ai cassonetti per la raccolta presenti lungo le strade. La multa va da mille a 3mila euro.

Quando la violazione viene commessa con l’uso di veicoli a motore si applica anche la sanzione accessoria del fermo del veicolo per un mese, secondo quanto previsto dall’articolo 214 del codice della strada. Il fermo comporta l’immobilizzazione fisica del veicolo e il divieto di circolazione, con custodia presso depositi autorizzati.

Un aspetto spesso trascurato riguarda le modalità di accertamento. Il testo consente l’accertamento anche senza contestazione immediata, attraverso immagini riprese dagli impianti di videosorveglianza posti fuori o all’interno delle città. Questo meccanismo permette di differire la contestazione della violazione, superando la necessità della presenza fisica dell’agente accertatore al momento del fatto.

Le telecamere possono inquadrare sia le aree pubbliche che quelle private visibili dall’esterno. L’uso delle immagini deve avvenire nel rispetto della normativa sulla privacy, ma secondo la giurisprudenza consolidata non serve il consenso dell’interessato quando le riprese riguardano spazi aperti al pubblico e sono finalizzate all’accertamento di illeciti.

Trasformazione da contravvenzioni a delitti

Il decreto-legge 116/2025 opera una trasformazione significativa sul piano del diritto penale sostanziale. La maggior parte delle ipotesi prima aventi natura contravvenzionale vengono ora configurate come delitti. L’abbandono di rifiuti pericolosi (art. 255-ter del d.lgs. 152/2006), la gestione non autorizzata di rifiuti (art. 256), le discariche abusive (art. 256) e la combustione illecita (art. 256-bis) diventano delitti con pene aumentate.

Questa modifica produce conseguenze procedurali rilevanti. I delitti hanno termini di prescrizione più lunghi rispetto alle contravvenzioni. Inoltre, per i delitti non operano meccanismi deflattivi come l’estinzione della contravvenzione a seguito dell’adempimento della prescrizione impartita, prevista dagli articoli 318-bis e seguenti del Testo Unico Ambientale.

La trasformazione in delitto comporta anche l’applicabilità delle misure cautelari personali e reali con maggiore facilità. Per le contravvenzioni, infatti, la custodia cautelare in carcere risulta preclusa o fortemente limitata, mentre per i delitti puniti con pena detentiva non inferiore nel massimo a tre anni si aprono tutte le opzioni coercitive previste dal codice di procedura penale.

L’art. 6 del decreto ha conseguentemente aggiornato il decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231, sulla responsabilità amministrativa delle persone giuridiche. I nuovi delitti ambientali entrano nel catalogo dei reati presupposto che possono determinare la responsabilità dell’ente.

Operazioni sotto copertura e contrasto alle organizzazioni

L’articolo 4 del decreto amplia il ricorso alle operazioni sotto copertura per reati ambientali gravi. Si tratta di tecniche investigative già previste per criminalità organizzata e traffico di stupefacenti, ora estese anche al settore ambientale. Gli agenti infiltrati possono partecipare alle attività criminose senza incorrere in responsabilità penale, purché operino sotto il controllo dell’autorità giudiziaria.

Nella casistica comune, le operazioni sotto copertura hanno consentito di smantellare organizzazioni dedite al traffico illecito di rifiuti che coinvolgono più soggetti operanti su territori diversi. L’agente infiltrato acquisisce la fiducia dei membri dell’organizzazione e raccoglie elementi probatori che difficilmente potrebbero emergere con strumenti investigativi tradizionali.

L’estensione di queste tecniche ai reati ambientali risponde alla crescente strutturazione delle organizzazioni criminali attive nel settore. La gestione illecita dei rifiuti, soprattutto quella relativa ai rifiuti pericolosi o speciali, comporta nella prassi la partecipazione di più soggetti con ruoli specializzati: chi raccoglie, chi trasporta, chi fornisce false certificazioni, chi mette a disposizione terreni per lo smaltimento abusivo.

Responsabilità 231 e modelli organizzativi

L’adeguamento del decreto legislativo 231/2001 impone alle imprese una revisione immediata dei modelli di organizzazione e gestione. I nuovi delitti ambientali entrano nell’articolo 25-undecies, che già contemplava alcuni reati contro l’ambiente. Ora il catalogo si amplia in modo significativo.

Le società devono valutare i rischi specifici connessi alla gestione dei rifiuti, alle autorizzazioni ambientali, ai trasporti di materiali potenzialmente inquinanti. Il modello organizzativo deve prevedere protocolli specifici per impedire la commissione dei reati, con verifiche periodiche sull’effettiva applicazione delle procedure.

Particolare attenzione va posta sulla formazione del personale. Le condotte che prima costituivano contravvenzioni, magari percepite come violazioni minori di carattere formale o amministrativo, diventano ora delitti con conseguenze pesanti per l’ente. È necessario quindi che chi opera concretamente conosca i nuovi confini del lecito.

Il rischio per le società non si limita alle sanzioni pecuniarie, che possono raggiungere importi elevati. Tra le sanzioni interdittive previste dall’articolo 9 del d.lgs. 231/2001 figura l’interdizione dall’esercizio dell’attività, che può essere disposta dal giudice penale quando l’ente ha tratto un profitto rilevante dal reato e la violazione è stata commessa da soggetti in posizione apicale o comunque facilitata da gravi carenze organizzative.

Stanziamenti e poteri del Commissario unico

L’articolo 9 del decreto autorizza 15 milioni di euro per il 2025 da destinare alla bonifica della Terra dei fuochi e al supporto del Commissario unico. Giuseppe Vadalà, nominato dal Governo nel febbraio 2025, ha stimato che per attuare la sentenza della Corte europea serviranno complessivamente 2 miliardi di euro.

Al Commissario vengono attribuiti poteri straordinari inerenti alla rimozione, all’avvio a recupero o allo smaltimento dei rifiuti e al ripristino dello stato dei luoghi. Si tratta di poteri sostitutivi rispetto alle normali competenze degli enti locali e delle amministrazioni ordinarie, giustificati dall’emergenza ambientale e sanitaria che caratterizza l’area.

Nei 90 comuni tra Napoli e Caserta sono presenti in superficie circa 33mila tonnellate di rifiuti urbani e speciali. L’intervento di bonifica richiede operazioni complesse che vanno dall’individuazione dei siti contaminati, alla caratterizzazione dei rifiuti, alla scelta delle modalità di smaltimento o recupero, fino al ripristino ambientale delle aree.

I fondi stanziati per il 2025 rappresentano soltanto una prima tranche. La Regione Campania ha messo a disposizione ulteriori risorse, ma secondo le stime del Commissario occorreranno stanziamenti progressivi negli anni successivi per completare l’opera di bonifica. Il sito di Calabricito ad Acerra, luogo simbolo della Terra dei fuochi, dovrebbe essere bonificato entro l’inizio del 2026.

Prospettive applicative e criticità operative

L’entrata in vigore del decreto comporta un cambio di passo significativo nel contrasto ai reati ambientali. Tuttavia, alcune criticità operative meritano attenzione. La trasformazione di numerose fattispecie da contravvenzioni a delitti rischia di sovraccaricare gli uffici giudiziari, già alle prese con un arretrato considerevole.

L’applicazione delle interdizioni e delle pene accessorie richiede un coordinamento tra autorità giudiziaria e amministrazioni competenti per il rilascio delle autorizzazioni. Nella pratica potranno emergere problemi di comunicazione tra uffici e ritardi nell’operatività delle sanzioni accessorie.

L’utilizzo degli impianti di videosorveglianza per l’accertamento differito delle violazioni solleva questioni relative alla certezza dell’identificazione del trasgressore. Quando le immagini riprendono il veicolo ma non mostrano chiaramente il conducente, si pone il problema dell’attribuzione della responsabilità. Il codice della strada prevede una presunzione di responsabilità in capo al proprietario del veicolo, ma questa presunzione ammette prova contraria.

Per le imprese che operano legalmente nel settore ambientale, il nuovo quadro normativo impone investimenti in compliance e formazione. Occorre adeguare le procedure interne, rafforzare i controlli, implementare sistemi di tracciabilità dei rifiuti sempre più accurati. Chi già disponeva di modelli organizzativi 231 dovrà integrarli con i nuovi reati presupposto.

L’amministrazione giudiziaria delle imprese, estesa ora anche ai reati ambientali, comporta costi gestionali significativi. L’amministratore giudiziario percepisce un compenso che grava sull’azienda sottoposta alla misura. Inoltre, le limitazioni operative derivanti dal controllo giudiziario possono ridurre la competitività dell’impresa sul mercato.

Un aspetto controverso riguarda l’applicabilità delle interdizioni anche a imprese che abbiano rapporti contrattuali con soggetti condannati per reati ambientali. Il testo normativo parla di agevolazione dell’attività criminosa, ma la nozione di “agevolazione” può prestarsi a interpretazioni estensive che coinvolgerebbero anche operatori economici del tutto estranei ai fatti di reato.

Coordinamento con la disciplina antimafia

L’inserimento dei reati ambientali nel perimetro delle misure di prevenzione previste dal codice antimafia segna un’ulteriore estensione degli strumenti di contrasto patrimoniale. Il sistema delle misure di prevenzione, tradizionalmente applicato a soggetti indiziati di appartenere a organizzazioni mafiose, trova ora applicazione anche in ambito ambientale.

Questo coordinamento normativo risponde alla constatazione che spesso le organizzazioni criminali dedite al traffico illecito di rifiuti presentano strutture e modalità operative analoghe a quelle mafiose. L’infiltrazione nelle attività economiche, l’uso sistematico della violenza o della minaccia, la capacità di condizionare settori produttivi interi caratterizzano tanto le mafie tradizionali quanto le cosiddette ecomafie.

L’applicazione delle misure di prevenzione non richiede una condanna definitiva. È sufficiente che emergano indizi circa la pericolosità sociale del soggetto o l’uso di beni o aziende per attività illecite. Questo anticipo della tutela rispetto alla pronuncia di condanna consente di intervenire tempestivamente per bloccare attività economiche che alimentano il circuito criminale.

Tuttavia, il ricorso alle misure di prevenzione solleva questioni delicate sul piano delle garanzie. Si tratta di strumenti che incidono pesantemente su diritti fondamentali – il diritto di proprietà, la libertà di iniziativa economica – sulla base di elementi indiziari e non di una sentenza di condanna. La giurisprudenza costituzionale ha più volte ribadito che le misure di prevenzione devono rispettare il principio di proporzionalità e trovare giustificazione in esigenze di tutela dell’ordine pubblico e della sicurezza.

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