Le recenti modifiche normative introdotte dal D.Lgs. 192/2024 hanno aperto nuove prospettive – e qualche interrogativo – sul tema dei conferimenti di partecipazioni, con particolare riferimento alle quote detenute in comproprietà. Un’analisi approfondita del Documento di ricerca elaborato dal CNDCEC offre spunti interessanti per gli operatori del settore.
Quote societarie in comunione e regime delle holding
Nel contesto dei conferimenti ex art. 177, comma 2-bis del TUIR, una questione particolarmente delicata riguarda il trattamento delle partecipazioni detenute in comunione tra familiari. Si pensi al caso – tutt’altro che infrequente nella prassi – di due fratelli che detengano congiuntamente il 40% di una società.
L’interrogativo fondamentale è se tale partecipazione possa considerarsi qualificata ai fini del conferimento. Un’interpretazione restrittiva potrebbe suggerire di valutare le singole quote ideali (20% ciascuno), che non raggiungerebbero la soglia di qualificazione. Tuttavia, la Massima I.M.1 del Comitato Triveneto dei Notai sembra propendere per un approccio unitario, specialmente nei casi di comproprietà indivisa.
La riforma ha sostanzialmente risolto – almeno per i rapporti familiari – il nodo gordiano della compatibilità tra quote in comunione e disciplina delle holding. Prima delle modifiche al comma 2-bis, infatti, il requisito di unipersonalità rappresentava un ostacolo apparentemente insormontabile. Si osservi, peraltro, come la comunione possa anche essere istituita su base volontaria: circostanza che apre scenari di pianificazione fiscale da valutare con particolare attenzione sotto il profilo dell’abuso del diritto.
Conferimenti intracomunitari: evoluzione interpretativa
Un aspetto forse sottovalutato della riforma riguarda i conferimenti intracomunitari. Nel regime previgente, il beneficio della neutralità fiscale ex art. 178 del TUIR presupponeva necessariamente che la società scambiata risiedesse in uno Stato membro diverso da quello della conferitaria.
La relazione illustrativa al decreto correttivo introduce un elemento di novità non trascurabile: diventa “irrilevante il Paese dell’Unione Europea di residenza fiscale della società scambiata”. In altri termini – e qui la portata innovativa si fa più evidente – sarebbe ammesso il conferimento in regime di neutralità anche quando conferente e conferitaria risiedano nel medesimo Stato membro.
La dottrina più attenta ha già rilevato come questa interpretazione potrebbe, almeno in teoria, legittimare anche operazioni puramente domestiche. Sul punto, tuttavia, permangono zone d’ombra che richiederebbero un intervento chiarificatore dell’Amministrazione finanziaria.
Società di persone come conferitarie
La riforma ha introdotto una specifica previsione per quanto riguarda la società conferita: deve trattarsi necessariamente di una società di capitali residente (lett. a, comma 1, art. 73 TUIR) o di una società non residente di qualsiasi natura (lett. d). La relazione illustrativa precisa – opportunamente – che anche le società estere devono essere dotate di organo assembleare, pena l’impossibilità di acquisire o integrare il controllo di diritto.
Diverso discorso vale per la società conferitaria. Il legislatore, infatti, si limita a utilizzare il termine generico “società”, senza ulteriori specificazioni. Questa scelta lessicale – tutt’altro che casuale – sembra superare definitivamente le interpretazioni restrittive dell’Agenzia (si pensi alla risoluzione n. 43/E/2017), aprendo la strada al conferimento in società di persone.
Resta, naturalmente, il vincolo della contabilità ordinaria. La conferitaria, infatti, deve essere in grado di evidenziare l’incremento del patrimonio netto corrispondente al valore di iscrizione della partecipazione. Circostanza che esclude, di fatto, le società semplici e quelle in contabilità semplificata dall’ambito applicativo della norma.
Profili applicativi e criticità operative
L’evoluzione normativa delineata presenta indubbi elementi di interesse, ma anche aspetti che richiedono particolare attenzione nella prassi professionale. Si consideri, ad esempio, come la Relazione illustrativa specifichi che, per i conferimenti intracomunitari, debba comunque trattarsi di un Paese diverso dall’Italia – indicazione che stride con l’interpretazione più ampia suggerita dalla lettera della norma.
Analogamente, la questione delle quote in comunione, pur formalmente risolta, solleva interrogativi sulla legittimità di pianificazioni aggressive. La costituzione volontaria di comunioni potrebbe, infatti, essere utilizzata strumentalmente per aggirare i vincoli normativi.
Sul piano procedurale, resta fondamentale che gli operatori verifichino con attenzione i requisiti formali e sostanziali delle operazioni. La società conferitaria, sia essa di capitali o di persone, deve essere in grado di rappresentare correttamente l’incremento patrimoniale derivante dal conferimento. Elemento, questo, che assume particolare rilevanza ai fini della corretta applicazione del regime di neutralità fiscale.
Le modifiche introdotte dal D.Lgs. 192/2024 rappresentano, in definitiva, un tentativo di modernizzazione e razionalizzazione della disciplina dei conferimenti. Permangono, tuttavia, aree grigie che richiederebbero interventi interpretativi dell’Amministrazione finanziaria, soprattutto con riferimento ai profili più innovativi della riforma.