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Pro rata IVA finanziamenti

Pro rata IVA finanziamenti: quando conta l’attività reale

25 Ottobre, 2025

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Cosa accade quando una società costituita formalmente come costruttrice immobiliare si dedica, nei fatti, solo a prestare soldi alle sue controllate? Una recente sentenza della Cassazione fa chiarezza sulla questione del pro rata IVA. Il verdetto arriva dalla sentenza n. 19576 del 15 luglio 2025 e comporta conseguenze rilevanti per chi gestisce finanziamenti tra società del medesimo gruppo.

La questione centrale riguarda il calcolo della detraibilità dell’imposta. Nel caso specifico, la società aveva ricevuto una contestazione dall’amministrazione tributaria che le negava completamente il diritto di dedurre l’IVA sui costi sostenuti.

🕒 Cosa sapere in un minuto

  • Il pro rata IVA sui finanziamenti è determinato dall’attività realmente svolta, non solo da quella prevista nello statuto.
  • Le operazioni esenti (prestiti alle controllate) entrano nel pro rata se sono state la principale attività effettiva della società.
  • La detraibilità IVA si azzera se la società opera solo come finanziaria, anche se costituita formalmente come immobiliare.
  • La Cassazione conferma che occorre esaminare la pratica quotidiana, non solo i documenti formali.
  • La documentazione contabile e i flussi finanziari sono determinanti per calcolare correttamente il pro rata IVA.
  • Precedente rilevante per tutte le holding o immobiliari “passive” che finanziano le controllate invece di costruire/vendere.

Il caso concreto e la contestazione dell’Ufficio

Una società immobiliare aveva acquistato un terreno edificabile. L’intenzione era costruire un edificio e rivenderlo. Ma come spesso accade nella realtà operativa, le cose non sono andate secondo i piani. Per oltre dieci anni, l’azienda ha continuato a finanziare sistematicamente le proprie controllate, maturando interessi passivi sui prestiti concessi.

Durante un controllo, l’Ufficio dell’Agenzia delle Entrate non ha riconosciuto alcuna detraibilità dell’IVA. La ragione? Nel periodo esaminato non c’erano state operazioni imponibili, ma solo finanziamenti in regime di esenzione secondo l’articolo 10, primo comma, numero 1 del DPR 633/72.

La società aveva tentato di difendersi. Il suo argomento era semplice: quei finanziamenti erano solo occasionali, non rappresentavano l’attività principale per cui era stata costituita.

Quando le operazioni esenti condizionano il pro rata

Qui emerge un punto cruciale della normativa tributaria. Secondo l’articolo 19-bis, secondo comma, del DPR 633/72, alcune operazioni esenti non vanno considerate nel calcolo del pro rata. Rientrano in questa categoria le operazioni finanziarie (articoli da 10 a 9 del citato decreto), ma solo a una condizione precisa: “quando non formano oggetto dell’attività propria del soggetto passivo”.

In pratica, se una prestazione di servizio o un’operazione rientra effettivamente nell’oggetto sociale e nella pratica quotidiana della ditta, va inclusa nel pro rata. Se invece è davvero marginale, accessoria, eventualmente occasionale, allora si esclude.

La normativa sembra semplice sulla carta. Nella pratica professionale si osserva però una difficoltà ricorrente: come fare a distinguere tra attività accessoria e attività abituale?

Il criterio della Cassazione: l’attività concretamente svolta

La Suprema Corte entra qui nella questione con fermezza e chiarisce un principio che aveva già affermato in precedenti pronunce. Per verificare se un’operazione esente ricade nell’attività propria di un’impresa, non si deve guardare a quello che lo statuto o l’atto costitutivo dicono formalmente.

Occorre, piuttosto, verificare quale attività è stata effettivamente esercitata. È l’attività reale, quella “concretamente svolta”, che manifesta l’oggetto economico della società.

La giurisprudenza è costante su questo: Cassazione n. 6574/2008, poi le successive n. 4613/2016, n. 6486/2018, n. 20558/2022, n. 25485/2022. Tutte concordano. Non è il documento formale che decide, ma quello che l’azienda ha realmente fatto.

Questo criterio risulta particolarmente utile quando ci si trova di fronte a controversie sulle attività finanziarie e immobiliari. In questi settori, infatti, si concentrano le maggiori tensioni interpretative tra contribuenti e amministrazione.

Lo scontro con la prassi amministrativa

Qui conviene fare una nota. L’Agenzia delle Entrate, con le risoluzioni n. 305/2008 e n. 41/2011, aveva proposto un criterio diverso. Per distinguere tra occasionalità e abitualità, l’amministrazione guardava all’esistenza di “un’organizzazione specifica e complessa finalizzata a gestire un impegno finanziario rilevante”.

In altre parole: se c’è un’infrastruttura organizzativa seria dietro l’operazione, allora è abituale. Se manca, allora è occasionale.

La Cassazione respinge questo approccio. Il motivo è che l’attività effettivamente svolta manifesta già, di per sé, l’organizzazione dell’impresa e i ricavi significativi (sentenza Cassazione n. 8813/2019). Non occorre cercare prove indirette.

Questa interpretazione trova conforto anche nella giurisprudenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea, sentenza del 14 dicembre 2016, causa C-378/15. La coerenza aumenta quando il criterio si concentra su ciò che realmente è stato fatto, non su astratti elementi organizzativi.

Il nodo decisivo: i fatti della causa

Ed eccoci al punto nodale della sentenza. La Cassazione non poteva riconoscere l’esclusione dei finanziamenti dal pro rata basandosi sulle circostanze riscontrate nel caso concreto.

Cosa era emerso dall’istruttoria? Per un decennio intero l’attività di finanziamento verso le controllate (con maturazione di interessi attivi), in regime di esenzione IVA, era stata l’unica attività realmente condotta dalla società. Non un’attività marginale, non occasionale nel senso proprio del termine. L’unica.

Come poteva sostenersi quindi l’occasionalità? Il fatto che lo statuto prevedesse un’attività edilizia (costruzione e vendita di unità immobiliari) non contava nulla. Quella attività non era mai stata esercitata. Non una volta.

Il discorso della società, per quanto intuibile, non reggeva di fronte ai documenti.

Cosa cambia nella pratica quotidiana

Questa decisione incide su vari profili. Innanzitutto, chiarisce che il pro rata IVA finanziamenti non può essere scavalcato dalla semplice affermazione che il prestito era “occasionale”. Se per anni una società si dedica prevalentemente a prestare denaro, quella è la sua attività principale agli effetti IVA.

Secondo, sottolinea l’importanza dell’analisi sostanziale. Documentazione, registri contabili, flussi finanziari: questi elementi contano più di quanto detto formalmente negli atti costitutivi. L’amministrazione farà bene a scandagliare la realtà operativa dei contribuenti.

Terzo, crea un precedente importante per i gruppi societari. Se una holding finanzia costantemente le proprie partecipate, non potrà difendersi facendo leva sulla natura “finanziaria” delle operazioni per escluderle dal pro rata.

Implicazioni per le società immobiliari inattive

Qui emerge una criticità ricorrente: la “società immobiliare inattiva”, o come si dice talvolta, la “holding immobiliare passiva”. Spesso costituite formalmente per costruire e vendere, in realtà gestiscono solo portafogli immobiliari o fungono da veicoli di finanziamento.

Se tale società sostiene operazioni di finanziamento per anni, senza svolgere mai effettivamente l’attività edilizia indicata in statuto, allora accade questo: quelle operazioni entrano nel pro rata. L’IVA detraibile si calcola considerandole. Nel caso della nostra sentenza, il risultato è stato una detraibilità pari a zero, perché tutte le operazioni svolte erano esenti.

Ma il principio vale anche al contrario. Se la società avesse svolto anche operazioni imponibili, sarebbero stato calcolato un pro rata positivo che avrebbe permesso di dedurre parte dei costi.

Il ruolo dei riferimenti normativi

Tornando alla normativa di base: i finanziamenti rientrano, come categoria, tra le operazioni esenti di cui all’articolo 10 del DPR 633/72. L’esenzione è però subordinata, secondo il secondo comma dell’articolo 19-bis dello stesso decreto, al fatto che non formino oggetto dell’attività propria.

Se invece formano oggetto dell’attività propria, ecco che cambiano le cose. Non solo non si escludono dal pro rata. Ma possono addirittura ricevere un trattamento tributario diverso a seconda delle circostanze specifiche.

La sentenza, ripercorrendo questo articolato sistema normativo, ha il merito di portare ordine in una materia dove spesso prevale la confusione.

Aspetti spesso trascurati nella pratica

Chi opera nel settore immobiliare sa bene: non è raro imbattersi in società che, sebbene costituite per costruire o commerciare immobili, di fatto si limitano a fornire prestiti alle proprie controllate. Il reddito deriva dagli interessi, non dalla compravendita.

Ebbene, la giurisprudenza costante prima e questa sentenza adesso dicono: questa è l’attività vostra, agli effetti IVA. Non gioca alcun ruolo quello che c’è scritto nel vostro atto costitutivo.

Una conseguenza importante: l’IVA versata su costi relativi a questi finanziamenti (gestione amministrativa, consulenze, costi di istruttoria) non potrà spesso essere dedotta. O, meglio, la detraibilità dipenderà dal pro rata calcolato sulla base dell’effettiva attività economica.

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