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PEX illecita: quando l’esenzione diventa reato penale

13 Settembre, 2025

La Corte di Cassazione, Sezione Penale – con la pronuncia n. 20001/2021 – ha fornito orientamenti decisivi riguardo alle responsabilità penali derivanti da un impiego scorretto del regime della participation exemption. Una sentenza che, pur datata, mantiene piena attualità nella prassi applicativa.

📋  Cosa sapere in un minuto

🏛️ Il caso: La Cassazione (sent. n. 20001/2021) ha chiarito quando l’uso scorretto della participation exemption (PEX) diventa reato penale.

⚖️ Requisiti PEX mancanti: Nel caso esaminato mancava la “commercialità” della società partecipata (art. 87 TUIR), configurando un’attività di mero godimento immobiliare.

💰 Reato contestato: Dichiarazione infedele (art. 4 D.lgs 74/2000) per omessa annotazione di elementi attivi di reddito tramite indebite variazioni in diminuzione.

📊 Abuso del diritto: Non esclude la rilevanza penale quando i fatti integrano fattispecie connotate da fraudolenza o creazione di documentazione falsa.

Attenzione: L’esperienza qualificata del soggetto e l’entità delle operazioni (milioni di euro) escludono la tesi dell’errore di valutazione.

Il caso esaminato dal Tribunale di Modena

Il procedimento ha origine da un decreto di sequestro preventivo emesso dal GIP del Tribunale di Modena nei confronti del rappresentante legale di una società. L’accusa riguardava violazioni agli articoli 2 e 4 del Decreto Legislativo 74/2000, con particolare riferimento all’utilizzo improprio del regime PEX.

Il Tribunale di Modena, in sede di riesame, aveva annullato parzialmente il sequestro limitatamente a 287.100 euro, confermandolo invece per il resto. La misura cautelare era finalizzata alla confisca diretta sui beni della persona giuridica e per equivalente su quelli della persona fisica indagata.

I motivi del ricorso in Cassazione

L’imputato ha proposto ricorso per cassazione contestando la valutazione del Tribunale del riesame. Secondo la difesa, il Tribunale aveva erroneamente ritenuto integrata la fattispecie di dichiarazione infedele ex art. 4 D.lgs 74/2000 per l’indebita fruizione del regime della participation exemption.

La tesi difensiva sosteneva che il Tribunale aveva impropriamente individuato elementi di fraudolenza nella condotta, mentre la dichiarazione infedele prescinde da tale carattere – tipico invece delle fattispecie di cui agli articoli 2 e 3 del decreto legislativo sui reati tributari.

Un secondo motivo riguardava l’art. 4, comma 1-bis del D.lgs 74/2000. L’imputato contestava la deduzione di una minusvalenza di 619.310,69 euro, sostenendo che l’esistenza materiale della minusvalenza era indubbia e doveva quindi trovare applicazione la causa di esclusione della punibilità prevista dal citato comma.

La valutazione della Suprema Corte

La Cassazione ha dichiarato infondati entrambi i motivi di ricorso. I giudici hanno sottolineato come il Tribunale avesse escluso, con ampia motivazione, che la condotta contestata potesse configurare un mero errore di valutazione giuridico-tributaria.

Nel caso specifico, l’indagato nella sua qualità di legale rappresentante aveva omesso di annotare nelle dichiarazioni 2014 e 2015 elementi attivi di reddito, attraverso indebite variazioni in diminuzione relative a plusvalenze in regime PEX. L’obiettivo era evadere l’imposta sui redditi e sul valore aggiunto.

L’accertamento dell’Agenzia delle Entrate

L’Amministrazione finanziaria, esaminando la documentazione contabile e fiscale della società, aveva riscontrato l’indebita fruizione del regime fiscale PEX. Il recupero a tassazione ai fini IRES aveva interessato una base imponibile di 8.062.170 euro per il 2014 e 6.453.925 euro per il 2015.

L’imputato invocava il regime PEX per negare l’esistenza in dichiarazione di elementi attivi di ammontare inferiore a quello effettivo. Tuttavia, il beneficio della participation exemption prevede che la plusvalenza compaia integralmente tra gli elementi positivi del reddito, per poi ricomparire come variazione in diminuzione del 95%.

I requisiti mancanti per la PEX

Secondo l’art. 87 del TUIR, il beneficio è subordinato alla sussistenza di specifici requisiti oggettivi e soggettivi. Nel caso esaminato, il beneficio non poteva spettare per la mancanza della “commercialità” della società partecipata – requisito previsto dall’art. 87, comma 1, lettera d) del TUIR.

Le società direttamente e indirettamente partecipate presentavano infatti caratteristiche di piccole aziende in forte crisi economica. Si trattava di entità senza dipendenti o con un unico dipendente, bilanci negativi e patrimoni immobiliari di valore nettamente superiore rispetto ai limitati ricavi dichiarati. Chiari indizi, secondo l’Agenzia, dell’esercizio di un’attività di mero godimento immobiliare.

La posizione della Cassazione sui reati tributari

L’esperienza qualificata dell’indagato nel settore dell’alta finanza rendeva non ipotizzabile che avesse posto in essere operazioni da milioni di euro senza un’accurata indagine sulle caratteristiche economiche delle società partecipate.

I giudici del Tribunale avevano quindi ritenuto provato il fumus del reato di cui all’art. 4 D.lgs 74/2000, escludendo che la condotta potesse rientrare nell’abuso del diritto, penalmente irrilevante ex art. 10-bis dello Statuto del contribuente.

L’abuso del diritto e i reati tributari

La Corte ha ricordato che l’istituto dell’abuso del diritto – di cui all’art. 10-bis della Legge 212/2000, modificato dal D.lgs 128/2015 – esclude la rilevanza penale delle condotte riconducibili. Tuttavia, ha applicazione solo residuale rispetto alle disposizioni concernenti comportamenti fraudolenti, simulatori o finalizzati alla creazione di documentazione falsa.

L’abuso del diritto non viene mai in rilievo quando i fatti contestati integrino fattispecie penali connotate da elementi costitutivi di fraudolenza – come confermato dalla giurisprudenza di legittimità (Cass. Sez. 3, n. 40272/2015; Cass. Sez. 3, n. 38016/2017).

Le misure cautelari nei reati fiscali

Occorre ricordare che la verifica delle condizioni di legittimità del sequestro preventivo non può tradursi in anticipata decisione sulla responsabilità dell’indagato. Il controllo deve limitarsi alla compatibilità tra fattispecie concreta e legale, rimanendo preclusa ogni valutazione sulla sussistenza degli indizi di colpevolezza.

È sufficiente che sussista il fumus commissi delicti, ossia l’astratta sussumibilità del fatto contestato in una determinata ipotesi di reato. La “serietà degli indizi” costituisce comunque presupposto per l’applicazione delle misure cautelari reali.

Le diverse fattispecie di evasione fiscale

Mentre è ormai consolidato che i comportamenti rientranti nell’abuso del diritto non determinano conseguenze penali, questo non vale necessariamente per altre ipotesi. Si possono individuare atteggiamenti che configurano vera e propria evasione di imposta: presenza di stabile organizzazione occulta, casi di esterovestizione, transfer pricing.

Per la contestazione di una stabile organizzazione rilevata in sede di verifica, i verificatori hanno l’obbligo ex art. 331 c.p.p. di denuncia di reato, prospettandosi almeno in astratto la fattispecie di omessa dichiarazione ex art. 5 D.lgs 74/2000. Anche per l’esterovestizione la notizia di reato sarà per omessa dichiarazione.

Nel transfer pricing potrebbero configurarsi gli estremi dell’infedele dichiarazione ex art. 4 del D.lgs 74/2000 – come nel caso della PEX – salvo che non vengano rilevati elementi frodatori che individuino una dichiarazione fraudolenta mediante artifizi in contabilità (art. 3 D.lgs 74/2000).

Le cause di non punibilità

L’art. 13 del D.lgs 74/2000 prevede una specifica causa di non punibilità collegata al pagamento integrale dei debiti tributari, comprese sanzioni amministrative e interessi, prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado.

La causa riguarda anche i reati di dichiarazione infedele e omessa. Il pagamento deve avvenire a seguito di ravvedimento operoso o presentazione della dichiarazione omessa entro il termine per la dichiarazione del periodo successivo. È necessario che il ravvedimento intervvenga prima che l’autore abbia avuto formale conoscenza di accessi, ispezioni, verifiche o procedimenti penali.

Il decreto fiscale 2020 ha esteso la causa di non punibilità anche ai reati di dichiarazione fraudolenta mediante fatture inesistenti (art. 2) e mediante altri artifici (art. 3).

Il comma 1-bis dell’art. 4 e la valutazione degli elementi

Il comma 1-bis dell’art. 4 del D.lgs 74/2000 – richiamato nella specie per invocare la non punibilità – stabilisce che non si tiene conto della non corretta classificazione o valutazione di elementi attivi o passivi oggettivamente esistenti. Si considera anche la violazione dei criteri di determinazione dell’esercizio di competenza, la non inerenza, la non deducibilità di elementi passivi reali.

Per l’applicazione della causa di non punibilità è necessario che la rappresentazione dei fatti nella nota integrativa del bilancio sia veritiera e che i criteri di valutazione corrispondano a quelli concretamente applicati. I contenuti devono essere resi conoscibili all’Amministrazione finanziaria.

Le modifiche del 2015 e le soglie di tolleranza

A seguito della riforma del D.lgs 158/2015, tra gli elementi passivi che possono dar luogo al delitto di infedele dichiarazione non rilevano più quelli “fittizi”, bensì quelli “inesistenti” – che non trovano alcun riscontro nella realtà fattuale.

La riforma aveva stabilito la non punibilità delle valutazioni che differivano in misura inferiore al 10% da quelle corrette, singolarmente considerate. Degli importi compresi in tale percentuale non si teneva conto nella verifica del superamento delle soglie di punibilità.

Il comma 1-ter è stato modificato con il decreto fiscale 2020, prevedendo che le infedeltà valutative inferiori al 10% non devono essere considerate singolarmente, ma complessivamente.

Questioni interpretative aperte

Non sempre è agevole individuare la rilevanza penale delle fattispecie. L’elemento del dolo specifico sarà presente nei casi di frode, che non può essere confusa con ipotesi di interpretazione non corretta della norma.

Per escludere fattispecie frodatorie, sarebbe opportuna una più specifica indicazione normativa su cosa si possa intendere come frode. Seppure la definizione di fraudolenza si desuma dal codice penale dagli elementi costitutivi del reato di truffa – facendo riferimento agli “artifizi o raggiri” dell’art. 640 c.p. – nel D.lgs 74/2000 non si rinviene una definizione specifica del concetto di frode.

Il Legislatore ha lasciato il compito di qualificarla al giudice nell’ambito del singolo caso.

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