L’attenzione dei giudici di legittimità si concentra di nuovo sul reato di omesso versamento IVA. La Cassazione penale, con una lettura in parte inattesa, estende gli effetti della riforma del 2023 sulla soglia del residuo non pagato e chiarisce che il beneficio del favor rei deve valere anche per i procedimenti ancora pendenti. È un passaggio che sembra spostare l’asse interpretativo e riapre la discussione sul confine reale della punibilità quando il contribuente ha aderito a un piano di rateazione poi non andato a buon fine.
🕒 Cosa sapere in un minuto
- Il reato di omesso versamento IVA si configura solo se il residuo supera 75 mila euro.
- I pagamenti effettuati in una rateazione, anche decaduta, riducono il residuo rilevante ai fini penali.
- La Cassazione afferma che la riforma è una norma più favorevole e opera anche nei processi in corso.
- Il giudice deve valutare il debito effettivo, non quello nominale o quello formalmente ancora a ruolo.
- Molti procedimenti pendenti potrebbero portare a esiti di non punibilità.
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Come si arriva alla nuova soglia dei 75 mila
Nel sistema previgente la regola era rigida. Il debito IVA non versato oltre i 250 mila euro determinava automaticamente il superamento della soglia di punibilità dell’articolo 10 ter del d.lgs. 74 del 2000. La valutazione del residuo si faceva al momento fissato dalla legge come spartiacque, cioè il termine del 27 dicembre dell’anno successivo.
La riforma contenuta nella legge 203 del 2023 muove invece in un’altra direzione. Per la prima volta si prende in considerazione il residuo effettivo, cioè ciò che resta da pagare al termine di eventuali piani di rateazione richiesti dal contribuente. L’estinzione del debito non dipende più solo dal versamento integrale ma anche dalla percentuale già coperta in sede di rateazione. Nella nuova disciplina, infatti, il caso diventa penalmente rilevante soltanto se il residuo che sopravvive dopo la rateazione scende oltre la soglia dei 75 mila euro.
Una soglia molto più bassa, certo, ma anche più selettiva. Il punto non è limitarsi a misurare l’importo originario dell’IVA omessa. Si tratta invece di ricostruire l’impatto che hanno avuto i pagamenti eseguiti e, soprattutto, di verificare se la rateazione sia stata chiusa prima della dichiarazione annuale oppure se si tratti di una rateazione successiva, decaduta o in corso di definizione.
Il caso esaminato dalla Cassazione
La vicenda processuale esaminata dalla Terza sezione penale riguarda un contribuente che aveva presentato una domanda di adesione alla rateazione del debito IVA. La richiesta era stata accolta e parte dell’importo era già stata corrisposta. Il problema nasce dal fatto che il piano, a un certo punto, decade. Una serie di rate non pagate lascia emergere un residuo significativo e la Procura contesta il reato di cui all’articolo 10 ter.
Il difensore dell’imputato sostiene che la riforma, entrata in vigore dopo i fatti, dovrebbe applicarsi anche al procedimento in corso. Se il residuo è inferiore alla nuova soglia dei 75 mila, viene meno la punibilità. Il giudice di merito rifiuta questa impostazione e conferma la responsabilità. La questione arriva quindi in Cassazione, che accoglie la tesi difensiva.
Perché la Corte parla espressamente di favor rei
Secondo quanto previsto dal diritto penale, le modifiche più favorevoli introdotte dal legislatore devono applicarsi retroattivamente, purché incidano su un profilo rilevante della punibilità. Qui si tratta esattamente di questo. La Cassazione riconosce che la nuova soglia non è un dato procedurale ma condiziona la stessa configurabilità del reato.
Ciò significa che la soglia dei 75 mila euro rappresenta un limite oggettivo, non un parametro accessorio. Se l’importo residuo del debito IVA scende al di sotto di tale cifra, viene meno uno degli elementi costitutivi della fattispecie di omesso versamento. E quando una parte della fattispecie scompare, il fatto non è più penalmente rilevante. Non c’è spazio per interpretazioni alternative.
La Suprema Corte, richiamando un orientamento ormai consolidato, sviluppa un ragionamento lineare. La riforma non incide su regole meramente organizzative. Interviene invece sul cuore del reato. È quindi un intervento sostanziale e, come tale, deve valere per chiunque si trovi in una posizione processuale ancora aperta.
Il ruolo della rateazione decaduta nella verifica del residuo
Il punto più delicato riguarda però l’effetto della rateazione non andata a buon fine. Prima della riforma il contribuente aveva un margine d’azione molto limitato. Una volta decaduto dal piano, il debito tornava ad assumere l’importo originario e i pagamenti effettuati non sempre venivano considerati ai fini penali. Era una lettura spesso penalizzante per chi, pur non riuscendo a rispettare tutte le rate, aveva comunque ridotto l’importo dovuto.
Oggi la prospettiva muta. La Cassazione ribadisce che la verifica del residuo va fatta considerando anche i versamenti parziali eseguiti prima della decadenza. L’autorità giudiziaria non deve ragionare sulla base del debito nominale, ma su quello effettivo. Non ha importanza che la rateazione sia giunta a conclusione oppure no. Quello che conta è la fotografia concreta del debito all’epoca del controllo.
In altre parole si evita che la semplice decadenza faccia rivivere un debito ormai ridotto. Nella prassi amministrativa questa ricostruzione sta diventando sempre più comune e la Cassazione ne prende atto integrandola nella dimensione penalistica.
Risultato: molti procedimenti potrebbero cambiare direzione
La sentenza produce un effetto immediato. Se in un processo in corso emerge che il contribuente ha aderito a un piano di rateazione, anche decaduto, e se i pagamenti effettuati abbassano il residuo sotto i 75 mila euro, la punibilità va esclusa. Il giudice deve valutare il dato in modo autonomo, senza attenersi a ricostruzioni meramente formali.
La conclusione non riguarda soltanto i debitori che hanno concluso un piano di rientro. Coinvolge anche chi ha pagato una parte del dovuto e poi ha interrotto i versamenti. La valutazione penale deve sempre partire dal residuo effettivo, non dall’importo iscritto a ruolo o dall’esito formale della rateazione.
È un cambio di prospettiva che potrebbe incidere su un numero elevato di procedimenti. Non tutti i contribuenti, negli anni, sono riusciti a completare i piani di dilazione. E molti si sono trovati imputati pur avendo ridotto in modo significativo l’esposizione debitoria. La Cassazione ora riconosce esplicitamente che questa riduzione incide sulla stessa sussistenza del reato.



