La Corte di Giustizia dell’Unione Europea ha stabilito, con la sentenza del 3 luglio 2025 nella causa C-733/23, che quando un esercizio commerciale ha già subito la chiusura per violazioni relative al mancato rilascio dello scontrino fiscale, non può essere ulteriormente colpito da sanzioni pecuniarie sproporzionate rispetto all’imposta evasa. La decisione segna un punto fermo nella tutela dei contribuenti contro il cumulo indiscriminato di misure punitive.
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Il caso bulgaro che ha fatto giurisprudenza
La controversia nasce dall’esperienza di una società che gestiva un bar-ristorante in Bulgaria, dove durante un controllo fiscale del 4 agosto 2022 erano state rilevate 85 omissioni nell’emissione di documenti di cassa. L’autorità tributaria locale aveva reagito con fermezza: prima disponeva la chiusura dell’esercizio per 14 giorni (provvedimento poi confermato dal tribunale amministrativo), successivamente irrogava sanzioni pecuniarie di circa 250 euro per ciascuna infrazione.
Il risultato? Un ammontare complessivo di 21.250 euro di multe a fronte di un’evasione IVA totale di appena 134 euro. Un rapporto di sproporzione così marcato da sollevare interrogativi sulla legittimità del sistema sanzionatorio applicato.
La giurisprudenza del “ne bis in idem” si consolida
La Corte europea ha dovuto confrontarsi con il principio del “ne bis in idem”, disciplinato dall’articolo 50 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione. Nella prassi applicativa, come spesso accade nei sistemi fiscali nazionali, si tende a sovrapporre misure diverse – amministrative e pecuniarie – per le medesime violazioni, senza considerare l’effetto cumulativo del trattamento sanzionatorio.
I giudici di Lussemburgo hanno precisato che entrambe le sanzioni (chiusura del locale e multe) possiedono carattere penale in senso sostanziale, nonostante la loro qualificazione formalmente amministrativa. È opportuno notare come questo orientamento si inserisca in una linea giurisprudenziale già consolidata, seguendo i criteri stabiliti nella precedente sentenza C-97/21 del 4 maggio 2023.
Criteri di valutazione per la natura penale delle sanzioni
La determinazione del carattere penale di una misura amministrativa segue parametri ben definiti dalla giurisprudenza europea. Nella casistica comune, le autorità nazionali devono verificare se la sanzione persegue finalità repressive e presenta un elevato grado di severità. Nel caso bulgaro, sia la chiusura temporanea dell’attività che le multe pecuniarie soddisfacevano chiaramente questi requisiti.
La Corte ha sottolineato come l’applicazione congiunta di misure tanto severe contrastasse palesemente con il principio del “ne bis in idem”. Aspetti spesso trascurati dalle amministrazioni fiscali riguardano proprio il coordinamento tra diversi procedimenti sanzionatori, che dovrebbe garantire proporzionalità complessiva rispetto alla gravità delle violazioni accertate.
Proporzionalità e limiti all’autonomia nazionale
Un elemento particolarmente significativo della pronuncia riguarda la valutazione di proporzionalità delle sanzioni. I giudici europei hanno rilevato che la misura minima di 250 euro per infrazione risultava “apertamente sproporzionata” rispetto all’evasione commessa.
Nella pratica professionale si osserva frequentemente come i sistemi nazionali fissino importi minimi di sanzione senza considerare adeguatamente l’entità del danno effettivo. La Corte ha chiarito che, secondo quanto previsto dall’articolo 273 della direttiva IVA e dall’articolo 50 della Carta dei diritti fondamentali, il diritto dell’Unione osta a normative che non consentano al giudice di stabilire importi inferiori a quelli di legge o di irrogare sanzioni più lievi.
Riflessi nell’ordinamento italiano
La decisione europea assume particolare rilevanza per l’ordinamento nazionale, dove la mancata memorizzazione o trasmissione dei corrispettivi è punita con sanzione del 70% dell’IVA relativa all’importo non contabilizzato, con un minimo di 300 euro per ciascuna operazione (ai sensi dell’articolo 12 del decreto legislativo n. 471/1997).
Tuttavia, l’eventualità che il minimo di legge porti a sanzioni eccessive dovrebbe essere mitigata dal principio del cumulo giuridico di cui all’articolo 12 del decreto legislativo n. 472 del 18 dicembre 1997, soprattutto dopo le modifiche introdotte dal decreto legislativo n. 87/2024. È importante e fondamentale che i professionisti del settore tengano conto di queste novità nell’assistenza ai propri clienti.
Sanzioni non pecuniarie e recidiva
Per quanto riguarda le misure non pecuniarie, l’articolo 12, comma 2, del decreto legislativo n. 471/1997 prevede un meccanismo graduato. Nel caso in cui vengano contestate, nel corso di un quinquennio, quattro distinte violazioni dell’obbligo di trasmissione dei corrispettivi o di emissione dello scontrino fiscale, compiute in giorni diversi, è disposta la sospensione dell’attività da tre giorni a un mese.
La giurisprudenza ha talvolta interpretato questo sistema come eccessivamente rigido, specialmente quando le violazioni riguardino importi modesti. Nell’esperienza applicativa emerge con chiarezza come il coordinamento tra sanzioni pecuniarie e non pecuniarie rappresenti una criticità ricorrente per gli operatori del settore.