L’approvazione definitiva del Decreto Irpef-Ires ha sancito l’esclusione dei contributi previdenziali versati dai professionisti dal calcolo del reddito professionale. La disposizione, contenuta nelle prime bozze del provvedimento, avrebbe potuto introdurre una modifica significativa per i lavoratori autonomi, ma è stata eliminata dal testo finale. Di conseguenza, tali contributi continuano a essere deducibili esclusivamente dal reddito complessivo, mantenendo un regime fiscale che molti considerano penalizzante e non in linea con le esigenze attuali dei professionisti.
Il regime attuale della deducibilità dei contributi previdenziali
In base alla normativa vigente, i contributi previdenziali versati dai lavoratori autonomi sono deducibili soltanto dal reddito complessivo, come previsto dall’articolo 10, comma 1, del Tuir. Questa regola obbliga i professionisti a inserire tali contributi nel quadro RP della dichiarazione dei redditi, senza che abbiano un impatto diretto sul reddito derivante dall’attività professionale. Le uniche eccezioni a questa disposizione sono rappresentate dai contribuenti in regime forfettario, che riportano la deduzione nel quadro LM, e dai notai, per i quali l’Agenzia delle Entrate ha confermato, con la risoluzione n. 66/E/2020, la possibilità di dedurre i contributi direttamente dal reddito professionale.
Questo sistema, per quanto consolidato, viene percepito come un limite significativo, poiché non consente ai professionisti di ridurre il reddito imponibile Irpef derivante dall’attività professionale con una delle principali voci di spesa obbligatorie, ossia i contributi previdenziali.
Le implicazioni per i professionisti e i lavoratori autonomi
La mancata deducibilità dei contributi previdenziali dal reddito professionale rappresenta un limite significativo per i lavoratori autonomi, che vedono ridotte le possibilità di ridurre il proprio carico fiscale in modo proporzionale alle spese sostenute obbligatoriamente per la previdenza. Questa situazione penalizza soprattutto i professionisti individuali, i quali non possono beneficiare di meccanismi di ottimizzazione presenti in realtà più strutturate, come studi associati o società professionali, dove i costi sono meglio distribuiti.
Un esempio pratico può aiutare a comprendere l’impatto concreto: un professionista con un reddito annuo di 50.000 euro e contributi previdenziali versati per 10.000 euro deve calcolare la sua Irpef su un reddito professionale lordo, senza che i contributi possano ridurre direttamente questa base imponibile. Ciò comporta un onere fiscale più elevato rispetto a un sistema che riconoscesse tale deducibilità, incrementando indirettamente il costo effettivo della contribuzione obbligatoria.
Un sistema fiscale da rivedere
In conclusione, la decisione di non includere la deducibilità dei contributi previdenziali dal reddito professionale nel Decreto Irpef-Ires rappresenta un’occasione persa per semplificare e rendere più equo il sistema fiscale italiano. Sebbene il legislatore abbia giustificato questa scelta con la necessità di evitare sovrapposizioni normative, il risultato finale lascia irrisolti molti dei problemi che da anni penalizzano i lavoratori autonomi.
Rimane auspicabile che, in futuro, si possa intervenire su questo tema con una riforma complessiva che tenga conto delle esigenze specifiche dei professionisti e che riconosca la centralità dei contributi previdenziali nella determinazione del reddito imponibile. Un sistema fiscale più equo e razionale non solo favorirebbe i lavoratori autonomi, ma contribuirebbe a ridurre le disparità tra le diverse categorie di contribuenti.