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Mutuo dissenso imposta registro: quando l’accordo risolutivo diventa imponibile

9 Dicembre, 2025

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La risoluzione consensuale di una compravendita immobiliare genera autonoma capacità contributiva e viene tassata separatamente rispetto all’atto originario. Le Commissioni tributarie di merito hanno recentemente confermato che l’accordo con cui le parti annullano un precedente trasferimento immobiliare sconta l’imposta di registro con aliquota proporzionale, applicando il meccanismo di alternatività tra IVA e imposte di registro.

🕒 Cosa sapere in un minuto

  • La Cassazione qualifica il mutuo dissenso come negozio autonomo, non come atto dichiarativo;
  • L’imposta di registro dipende dalla natura sostanziale dell’atto, ai sensi dell’art. 28 TUR;
  • Se il contratto originario era soggetto a Iva si applica l’imposta di registro fissa;
  • Se il trasferimento non era imponibile a Iva il mutuo dissenso può subire l’imposta proporzionale;
  • Conta il contenuto dell’atto, non la sua denominazione formale.

La natura giuridica dell’accordo risolutivo

Quando due parti decidono di sciogliere un contratto già perfezionato, il legislatore consente loro di ricorrere all’istituto previsto dall’articolo 1372 del codice civile. La norma attribuisce al contratto forza vincolante tra i contraenti ma ne ammette lo scioglimento attraverso una manifestazione bilaterale di volontà contraria.

La questione tributaria sorge proprio dalla qualificazione di questo meccanismo risolutorio. Secondo quanto emerge dalla giurisprudenza consolidata, occorre distinguere tra due differenti configurazioni. Da una parte troviamo la risoluzione che trae origine da clausole contenute nell’atto iniziale oppure stipulate entro il secondo giorno lavorativo successivo alla sua sottoscrizione. Dall’altra parte, invece, si colloca l’ipotesi in cui le parti manifestino la volontà risolutiva mediante un nuovo e distinto accordo negoziale.

La differenza non è meramente teorica ma produce conseguenze fiscali radicalmente diverse. Nel primo caso, secondo quanto previsto dal comma 1 dell’articolo 28 del DPR 131/1986, trova applicazione l’imposta in misura fissa. Nel secondo caso, invece, si rende applicabile il comma 2 della medesima disposizione, che prevede la tassazione proporzionale delle prestazioni patrimoniali derivanti dalla risoluzione.

Il contrasto giurisprudenziale sulla qualificazione fiscale

La Commissione tributaria regionale del Lazio ha affrontato una fattispecie emblematica. Un contribuente aveva concluso un accordo per vendere un immobile, salvo poi decidere insieme all’acquirente di risolvere il contratto senza che fosse mai avvenuto il trasferimento del prezzo pattuito. L’Ufficio dell’Agenzia delle Entrate aveva liquidato l’imposta di registro in misura proporzionale, trattando la risoluzione come un nuovo trasferimento immobiliare autonomo.

Il contribuente ha sostenuto una tesi diametralmente opposta. Secondo la sua ricostruzione, la retrocessione dell’immobile al venditore originario non integrava alcun presupposto per l’applicazione dell’aliquota prevista per i trasferimenti immobiliari dall’articolo 1 della Tariffa allegata al testo unico del registro. La semplice consegna del bene al proprietario iniziale non manifesterebbe infatti capacità contributiva rilevante sul piano fiscale.

A sostegno della propria posizione il contribuente ha richiamato la pronuncia della Corte di Cassazione numero 18844 depositata il 31 ottobre 2012. In quella sede i giudici di legittimità avevano affermato che il contratto risolutivo per mutuo consenso costituisce un negozio giuridico autonomo, caratterizzato da una propria causa specifica, finalizzato a eliminare gli effetti prodotti dall’atto precedente. Qualunque fosse stata la natura dell’operazione originaria, l’accordo risolutivo avrebbe mantenuto natura autonoma rispetto ad essa.

La posizione dell’amministrazione finanziaria

L’Agenzia delle Entrate ha sviluppato nel tempo un orientamento interpretativo piuttosto netto. Secondo la prassi consolidata, lo scioglimento consensuale del vincolo contrattuale costituisce sì espressione dell’autonomia privata, collocandosi nella categoria generale degli eventi risolutivi, ma non per questo sfugge alla tassazione indiretta proporzionale.

Quando i privati concordano di sciogliere un contratto con effetti traslativi già prodotti, nella sostanza realizzano un nuovo passaggio di ricchezza. Sul piano civilistico l’accordo può avere natura risolutoria, ma sul piano tributario ciò che rileva è l’effetto economico concreto. La retrocessione della proprietà dal compratore originario al venditore originario rappresenta infatti un movimento patrimoniale dotato di rilevanza fiscale autonoma.

L’amministrazione ha precisato che occorre distinguere accuratamente tra le diverse ipotesi contemplate dall’articolo 28. Il primo comma disciplina i casi in cui la risoluzione dipende da clausole o condizioni espresse contenute nel contratto stesso, oppure pattuite mediante atto pubblico o scrittura autenticata entro il secondo giorno non festivo successivo alla conclusione. Queste fattispecie scontano l’imposta fissa perché il legislatore ha ritenuto eccessivo colpire con prelievo proporzionale una manifestazione di capacità contributiva collegata a un difetto funzionale originario del rapporto.

Il secondo comma, invece, trova applicazione residuale rispetto al primo. Ogni qualvolta la risoluzione non rientri nelle ipotesi privilegiate elencate, l’imposta si applica sulle prestazioni derivanti dalla risoluzione con le aliquote proprie di ciascuna tipologia di atto. Per i trasferimenti immobiliari, quindi, si applica l’aliquota proporzionale prevista dalla Tariffa.

Il principio di alternatività IVA-registro nei trasferimenti risolti

Una questione ulteriore riguarda l’applicazione del meccanismo di alternatività tra imposta sul valore aggiunto e imposta di registro. Secondo quanto stabilito dall’articolo 40 del DPR 131/1986, gli atti soggetti all’imposta sul valore aggiunto scontano l’imposta di registro soltanto in misura fissa.

La Corte di Cassazione ha recentemente chiarito che questo principio opera anche rispetto agli accordi risolutivi che comportano retrocessioni immobiliari. Se l’operazione di ritrasferimento dell’immobile rientra nel campo di applicazione dell’IVA, secondo la disciplina sostanziale prevista per i trasferimenti immobiliari, allora l’imposta di registro si applica in misura fissa e non proporzionale.

Nella pratica professionale questo significa che occorre verificare caso per caso la natura soggettiva delle parti. Un’impresa che esercita attività immobiliare e risolve un contratto di vendita mediante mutuo dissenso potrebbe dover applicare l’IVA sull’operazione di retrocessione, con conseguente applicazione dell’imposta di registro in misura fissa. Un privato che risolve un contratto di compravendita, invece, sconterà l’imposta di registro proporzionale senza applicazione dell’IVA.

Casistica operativa e profili applicativi

Consideriamo il caso di due privati che hanno stipulato una compravendita immobiliare per un valore di 180.000 euro. L’acquirente si era impegnato a versare il prezzo in forma dilazionata entro cinque anni, ma dopo due anni le parti decidono di comune accordo di non dare seguito al pagamento residuo e di risolvere il contratto.

L’accordo risolutivo comporta la retrocessione dell’immobile dal compratore al venditore originario. Sul piano civilistico si tratta di un negozio risolutorio che elimina gli effetti del contratto precedente. Sul piano tributario, però, l’Agenzia delle Entrate richiederà l’applicazione dell’imposta di registro con l’aliquota del 9% (prima casa) oppure del 2% (seconda casa), a seconda delle caratteristiche soggettive e oggettive dell’operazione.

La base imponibile sulla quale calcolare l’imposta sarà costituita dal valore dell’immobile al momento della retrocessione. Non rileva il prezzo pattuito nel contratto originario, bensì il valore attuale del bene che torna nella titolarità del venditore iniziale. Se nel frattempo sono stati eseguiti lavori di ristrutturazione che hanno incrementato il valore dell’immobile, questo maggior valore dovrà essere considerato ai fini della tassazione.

Un secondo esempio può chiarire l’applicazione del principio di alternatività. Una società che esercita attività di compravendita immobiliare stipula con un privato un contratto di vendita di un appartamento. Dopo alcuni mesi le parti concordano di risolvere il contratto con retrocessione dell’immobile alla società venditrice originaria.

In questa ipotesi la società venditrice, che agisce nell’esercizio della propria attività d’impresa, dovrà verificare se la retrocessione rientra nel campo di applicazione dell’IVA secondo la disciplina del DPR 633/1972. Se l’operazione è soggetta ad IVA, l’imposta di registro si applicherà in misura fissa. Se invece sussistono cause di esenzione oppure la cessione non è rilevante ai fini IVA, allora troverà applicazione l’imposta di registro proporzionale.

Gli orientamenti delle commissioni tributarie di primo grado

La giurisprudenza di merito ha mostrato inizialmente qualche oscillazione nell’interpretazione della normativa. Alcune commissioni tributarie provinciali avevano accolto la tesi secondo cui l’accordo risolutivo avrebbe natura meramente estintiva e non traslativa, con conseguente applicazione dell’imposta in misura fissa.

Secondo questa ricostruzione, quando le parti concordano di eliminare gli effetti di un contratto già perfezionato, non si verifica alcun nuovo trasferimento di ricchezza. La retrocessione dell’immobile al venditore originario rappresenterebbe semplicemente il ripristino della situazione precedente, senza alcuna manifestazione di capacità contributiva ulteriore rispetto a quella già tassata in occasione del contratto iniziale.

Questa interpretazione, però, non ha trovato conferma nei gradi successivi del giudizio tributario. Le commissioni regionali hanno ribaltato le decisioni favorevoli ai contribuenti, allineandosi all’orientamento consolidato della Corte di Cassazione. Secondo i giudici d’appello, infatti, ciò che rileva sul piano fiscale non è la qualificazione civilistica dell’istituto bensì l’effetto economico concreto che ne deriva.

La pronuncia definitiva della Cassazione civile

La Corte di Cassazione ha definitivamente chiarito la questione con diverse pronunce successive al 2012. Gli Ermellini hanno ribadito che il mutuo dissenso costituisce un nuovo contratto con contenuto uguale e contrario rispetto a quello originario. Sul piano tributario questo nuovo contratto manifesta una capacità contributiva autonoma che giustifica l’applicazione dell’imposta proporzionale.

I giudici hanno spiegato che gli effetti del mutuo dissenso, pur essendo sul piano civilistico restitutori e ripristinatori piuttosto che traslativi in senso tecnico, si sostanziano nella concreta realtà economica in un nuovo passaggio di ricchezza. Questo passaggio attesta la capacità contributiva delle parti contraenti e legittima il prelievo proporzionale previsto dall’articolo 28 comma 2.

La sentenza depositata il 31 ottobre ha quindi definitivamente escluso che l’accordo risolutivo possa beneficiare del trattamento in misura fissa previsto per altre fattispecie. La retrocessione dell’immobile dal compratore al venditore, anche quando avviene senza previsione di un corrispettivo ulteriore rispetto agli obblighi restitutori connessi alla risoluzione, costituisce un’operazione imponibile autonomamente.

Profili di compatibilità costituzionale della disciplina

Alcuni contribuenti hanno sollevato dubbi di legittimità costituzionale della normativa rispetto all’articolo 53 della Costituzione. Secondo questa prospettiva critica, tassare proporzionalmente un accordo che ha natura meramente risolutoria significherebbe colpire una manifestazione di capacità contributiva inesistente oppure già tassata in precedenza.

La Corte di Cassazione ha respinto queste obiezioni. I giudici hanno evidenziato che l’accordo risolutivo produce effetti economici concreti che vanno oltre la mera eliminazione formale del vincolo contrattuale precedente. La retrocessione dell’immobile comporta un nuovo passaggio di ricchezza patrimonialmente rilevante, che manifesta capacità contributiva in capo alle parti.

Non sussiste quindi alcuna duplicazione impositiva vietata. Il contratto originario è stato tassato al momento della sua stipulazione. L’accordo risolutivo costituisce un fatto generatore autonomo del tributo, che viene tassato separatamente secondo le regole proprie dei trasferimenti immobiliari. Le due imposizioni colpiscono due distinti momenti di manifestazione della capacità contributiva.

Conseguenze operative per i professionisti del settore

I notai che rogitano accordi risolutivi di compravendite immobiliari devono prestare particolare attenzione alla corretta liquidazione delle imposte indirette. L’applicazione dell’imposta di registro in misura fissa costituisce un errore che espone il contribuente a successivi accertamenti da parte dell’Agenzia delle Entrate, con applicazione di sanzioni e interessi.

Nella redazione dell’atto occorre verificare accuratamente la presenza di eventuali clausole risolutive espresse contenute nel contratto originario. Se il contratto di compravendita iniziale prevedeva già la possibilità di risoluzione al verificarsi di determinate condizioni, e queste condizioni si sono effettivamente verificate, allora potrebbe trovare applicazione il comma 1 dell’articolo 28 con tassazione in misura fissa.

Se invece le parti decidono di risolvere il contratto mediante un nuovo accordo indipendente, senza che fossero previste clausole risolutive nell’atto originario, allora si rende inevitabile l’applicazione dell’imposta proporzionale. Il professionista deve informare adeguatamente le parti circa le conseguenze fiscali dell’operazione, evitando che si creino aspettative non realistiche circa la tassazione applicabile.

Le prestazioni accessorie derivanti dalla risoluzione

Un aspetto ulteriore riguarda il trattamento fiscale delle eventuali prestazioni accessorie pattuite nell’accordo risolutivo. Può accadere che le parti, nel risolvere il contratto, stabiliscano il pagamento di somme a titolo di risarcimento danni, oppure per compensare migliorie apportate all’immobile, oppure ancora per indennizzare spese sostenute.

L’articolo 28 comma 2 prevede espressamente che l’imposta proporzionale si applica sia alle prestazioni derivanti dalla risoluzione sia all’eventuale corrispettivo della risoluzione. Questo significa che ogni componente economica dell’accordo risolutivo concorre a formare la base imponibile complessiva sulla quale calcolare l’imposta di registro.

Nella pratica professionale occorre quindi distinguere accuratamente tra la prestazione principale (retrocessione dell’immobile) e le eventuali prestazioni accessorie (indennizzi, risarcimenti, compensi per migliorie). Tutte queste componenti vanno sommate per determinare la base imponibile complessiva dell’accordo risolutivo, salvo che non ricorrano specifiche ipotesi di esenzione previste dalla normativa.

Decadenza dalle agevolazioni e nuovi adempimenti

Un ultimo profilo problematico riguarda le conseguenze dell’accordo risolutivo rispetto alle agevolazioni eventualmente fruite in occasione del contratto originario. Se l’acquirente aveva beneficiato delle agevolazioni prima casa previste dalla nota II-bis all’articolo 1 della Tariffa, la successiva risoluzione del contratto fa venire meno i presupposti per il mantenimento del beneficio.

Secondo la disciplina vigente, l’acquirente che risolve il contratto di compravendita agevolato deve corrispondere la differenza tra l’imposta ordinaria e quella agevolata applicata inizialmente, oltre agli interessi di mora calcolati dalla data dell’atto originario. Questa conseguenza opera automaticamente, senza necessità di un provvedimento dell’Amministrazione finanziaria.

Nella redazione dell’accordo risolutivo il notaio deve quindi richiamare l’attenzione delle parti su questo effetto. L’acquirente che aveva fruito delle agevolazioni prima casa si troverà a dover versare un importo ulteriore a titolo di recupero delle imposte non corrisposte inizialmente. Questo importo va ad aggiungersi all’imposta proporzionale dovuta sull’accordo risolutivo stesso, rendendo complessivamente onerosa l’operazione dal punto di vista fiscale.

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