L’approvazione del bilancio rappresenta uno degli adempimenti più delicati e complessi per le società di capitali. Quando l’assemblea dei soci non riesce a dare il via libera al documento contabile entro i termini previsti dal codice civile, si innesca una catena di conseguenze che possono portare fino allo scioglimento dell’ente. La questione – spesso sottovalutata nella prassi professionale quotidiana – coinvolge aspetti sia civilistici che fiscali, con riflessi immediati e spesso drammatici sui termini di versamento delle imposte e sulla stessa sopravvivenza della società. Il problema, nell’esperienza applicativa degli ultimi anni, è diventato sempre più frequente. Soprattutto nelle piccole e medie imprese familiari, dove i contrasti tra soci possono facilmente paralizzare l’attività deliberativa. Ma anche nelle società più strutturate, questioni tecniche complesse o divergenze sulla valutazione di poste di bilancio possono far slittare l’approvazione oltre i termini di legge.
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Mancata approvazione: le conseguenze immediate e gli effetti a cascata
Il primo aspetto da considerare riguarda le tempistiche stabilite dal legislatore. L’assemblea ordinaria deve essere convocata entro quattro mesi dalla chiusura dell’esercizio sociale, termine che può essere esteso a sei mesi solo previo decreto autorizzativo del tribunale competente per territorio. Si tratta di termini perentori che – come spesso accade nella pratica – non ammettono deroghe.
Ma cosa succede concretamente quando i soci non riescono a deliberare? La casistica è variegata e spesso imprevedibile. In alcuni casi l’assemblea viene regolarmente convocata nei termini, ma i soci – per contrasti interni, questioni tecniche irrisolte o divergenze sulla gestione – non riescono fisicamente ad approvare il bilancio. È una circostanza che nell’esperienza applicativa può trascinare rapidamente la società verso conseguenze irreversibili.
L’articolo 2484 del codice civile, al comma 1, numero 3), prevede infatti lo scioglimento automatico della società per “l’impossibilità di funzionamento o per la continua inattività dell’assemblea”. La mancata approvazione del bilancio di esercizio da parte dei soci rappresenta certamente uno degli indicatori più evidenti di questa impossibilità funzionale.
La giurisprudenza di legittimità ha chiarito più volte che non si tratta di una mera formalità burocratica. La Cassazione, con la sentenza n. 16231/1977, ha stabilito che “la deliberazione assembleare di approvazione del bilancio costituisce atto essenziale per la vita della società, la cui mancanza compromette irrimediabilmente il funzionamento dell’ente”.
Le diverse tipologie di blocco assembleare
Nella prassi si verificano situazioni differenti che è importante distinguere. C’è il caso dell’assemblea che non riesce a raggiungere il quorum costitutivo – situazione frequente quando alcuni soci decidono di “boicottare” la convocazione. Oppure l’ipotesi in cui l’assemblea si costituisce regolarmente ma non raggiunge le maggioranze necessarie per l’approvazione.
Un’ulteriore fattispecie – particolarmente insidiosa – è quella dell’assemblea che approva il bilancio ma con riserve o condizioni che ne compromettono l’efficacia. In questi casi la dottrina ha talvolta interpretato la deliberazione come viziata o addirittura nulla, con conseguenze analoghe alla mancata approvazione.
I termini fiscali: un labirinto di scadenze differenziate
Dal punto di vista tributario, la questione diventa un vero e proprio percorso a ostacoli. Il versamento delle imposte sui redditi segue infatti regole specifiche che – come spesso accade nel nostro ordinamento – non sempre coincidono perfettamente con le scadenze civilistiche. L’Agenzia delle Entrate ha definito nel tempo un sistema articolato di termini che cercano di conciliare le esigenze del fisco con le necessità operative delle imprese.
Nel caso di approvazione del bilancio entro 120 giorni dalla chiusura dell’esercizio sociale, le imposte devono essere versate entro il giorno 30 del mese di giugno dell’anno successivo, al pari degli altri contribuenti (salvo eventuali proroghe disposte con decreto ministeriale). Questo è il termine “standard”, quello che la stragrande maggioranza delle società riesce normalmente a rispettare senza particolari difficoltà.
La ratio di questa previsione è evidente: consentire alle società di completare l’iter di approvazione del bilancio prima di determinare definitivamente l’imponibile fiscale. È una logica che risponde alle esigenze pratiche delle imprese, dove spesso la discussione assembleare può portare a modifiche o integrazioni del documento contabile.
La seconda finestra temporale: tra flessibilità e rischi
Diversa è la situazione quando l’approvazione avviene entro 180 giorni dalla chiusura dell’esercizio. In questo caso – siamo già in territorio di emergenza – le imposte vanno versate entro la fine del mese successivo a quello di approvazione del bilancio di esercizio. Una sorta di “seconda possibilità” che però comporta già alcuni rischi procedurali non trascurabili.
L’Agenzia delle Entrate, con la circolare 24/E del 2011, ha chiarito che questo differimento è automatico e non richiede specifiche comunicazioni. Tuttavia, la società deve essere in grado di dimostrare la data effettiva di approvazione del bilancio, conservando adeguata documentazione (verbale assembleare, deposito presso il registro delle imprese, etc.).
Un aspetto spesso trascurato riguarda il calcolo degli interessi. Anche se il versamento avviene nei termini differiti, la società potrebbe dover corrispondere gli interessi di mora per il periodo intercorso tra la scadenza ordinaria e quella effettiva. È una questione che nella pratica professionale genera spesso contenziosi con l’amministrazione finanziaria.
Esempi pratici di calcolo dei termini
Consideriamo una società con esercizio sociale coincidente con l’anno solare. Il bilancio chiude il 31 dicembre 2024. L’assemblea deve essere convocata entro il 30 aprile 2025. Se approva entro il 30 aprile (120 giorni), le imposte vanno versate entro il 30 giugno 2025. Se invece approva il 15 maggio 2025 (siamo ancora entro i 180 giorni), le imposte vanno versate entro il 31 maggio 2025.
Ma attenzione ai calcoli. I 180 giorni si contano dalla chiusura dell’esercizio, non dalla scadenza ordinaria di convocazione dell’assemblea. Nel nostro esempio, i 180 giorni scadono il 29 giugno 2025. Se l’assemblea approva il 20 giugno, le imposte vanno versate entro il 31 luglio.
Oltre i 180 giorni: territorio inesplorato e ad alto rischio
Il vero problema sorge quando si superano i 180 giorni senza approvazione. Qui entriamo in un territorio normativo complesso e spesso mal interpretato. Secondo quanto previsto dalla normativa tributaria, è teoricamente possibile versare le imposte entro i 30 giorni successivi al termine con una maggiorazione dello 0,4%.
Ma attenzione: si tratta di una facoltà soggetta a interpretazioni restrittive, non di un diritto acquisito. L’Agenzia delle Entrate ha più volte precisato che questo differimento presuppone comunque un’approvazione effettiva del bilancio, seppur tardiva. Non è quindi una “scappatoia” per società che non riescono proprio a deliberare.
La circolare 35/E del 2016 ha ulteriormente chiarito che la maggiorazione dello 0,4% si applica solo in caso di “ritardato versamento dovuto a causa di forza maggiore o altri eventi eccezionali”. Una formulazione vaga che lascia ampio margine di discrezionalità all’amministrazione finanziaria.
Le conseguenze del superamento dei termini massimi
Quando si superano anche questi termini estremi, la società si trova in una situazione di grave irregolarità. Il fisco considera dovute le imposte calcolate sulla base della “bozza” di bilancio predisposta dagli amministratori, indipendentemente dall’approvazione assembleare. È una presunzione che può essere superata solo dimostrando l’impossibilità oggettiva di procedere all’approvazione.
In questi casi scatta automaticamente l’applicazione delle sanzioni per omesso versamento, che possono arrivare fino al 30% dell’imposta dovuta. Inoltre, la società non può beneficiare di eventuali agevolazioni fiscali o regimi opzionali che richiedono l’adempimento regolare degli obblighi tributari.
Le valutazioni tecniche: un equilibrio sempre più delicato
La questione presenta profili tecnici di crescente complessità. È opportuno notare che le moderne prassi contabili richiedono valutazioni sempre più sofisticate, che spesso necessitano di competenze specialistiche non sempre presenti nell’organo amministrativo. La fair value evaluation, le stime sui crediti, le valutazioni di impairment: tutti aspetti che possono richiedere tempi tecnici incompatibili con i termini assembleari.
Nella prassi si osserva frequentemente come l’organo amministrativo si trovi in una posizione delicata. Da un lato deve predisporre il bilancio nei tempi previsti dalla legge, dall’altro deve confrontarsi con valutazioni tecniche complesse che richiedono approfondimenti e verifiche. È un equilibrio difficile che spesso porta a tensioni all’interno della compagine societaria.
Un aspetto spesso trascurato riguarda il ruolo del collegio sindacale o del revisore legale. Questi soggetti devono esprimere il loro parere sul bilancio prima dell’approvazione assembleare. Se emergono rilievi o necessità di approfondimenti, i tempi si dilatano inevitabilmente. È una dinamica che può innescare un effetto domino sui termini di approvazione.
La complessità delle società del gruppo
Particolare attenzione merita la situazione delle società appartenenti a gruppi. In questi casi, l’approvazione del bilancio separato deve spesso coordinarsi con quella del bilancio consolidato. È una dinamica che può creare ulteriori ritardi, soprattutto quando il gruppo comprende società con esercizi sociali non coincidenti.
La normativa prevede specifiche deroghe per le società tenute alla redazione del bilancio consolidato, ma l’applicazione pratica di queste previsioni è spesso problematica. Il termine di sei mesi può essere insufficiente quando si devono coordinare le attività di multiple entità societarie.
Il fisco non ammette ritardi: imposte, sanzioni e accertamenti
Una criticità ricorrente nella gestione di queste situazioni riguarda il rapporto con il fisco. L’amministrazione finanziaria non ammette ritardi quando si tratta di versare le imposte, indipendentemente dalle ragioni che hanno causato il ritardo nell’approvazione del bilancio. È un principio consolidato nella giurisprudenza tributaria che non ammette eccezioni.
Nel caso specifico dell’omessa approvazione entro i termini previsti dalla legge, il fisco procede comunque alla determinazione dell’imponibile sulla base della documentazione disponibile. Si guarda quindi alla “bozza” di bilancio predisposta dagli amministratori, ai dati contabili risultanti dalle scritture obbligatorie, agli elementi emersi da eventuali verifiche fiscali.
L’amministrazione finanziaria ha sempre utilizzato un approche molto rigido in queste situazioni. Non sono ammesse giustificazioni legate a contrasti societari, difficoltà tecniche nella redazione del bilancio, o altri impedimenti di natura interna. Il principio è chiaro: l’inadempimento degli obblighi tributari non può essere giustificato da problematiche societarie.
Le procedure di accertamento automatizzate
Un aspetto particolarmente insidioso riguarda l’attivazione delle procedure di accertamento automatico. Quando una società non versa le imposte nei termini, scattano automaticamente gli avvisi di accertamento emessi attraverso procedure informatizzate. Questi atti sono difficilmente impugnabili se non dimostrando l’avvenuto versamento o cause di forza maggiore.
La Cassazione, con la sentenza n. 15642/2019, ha chiarito che “la mancata approvazione del bilancio per contrasti societari non configura causa di forza maggiore ai fini tributari”. È una pronuncia che chiude definitivamente le possibilità di giustificazione fondate su problematiche assembleari.
Quando l’assemblea decide di non partecipare: astensione e boicottaggio
Un caso particolare – e sempre più frequente nella pratica – si verifica quando alcuni soci decidono strategicamente di astenersi dalla deliberazione o, peggio ancora, di non partecipare proprio alle convocazioni assembleari. È una forma di “boicottaggio” che può paralizzare completamente l’attività deliberativa della società.
Secondo il disposto dell’articolo 2477 del codice civile, nel caso di società a responsabilità limitata il quorum costitutivo è rappresentato da tanti soci che rappresentino almeno la metà del capitale sociale. Se alcuni soci decidono di non partecipare, l’assemblea potrebbe non riuscire nemmeno a costituirsi regolarmente.
La situazione diventa ancora più complessa nelle società per azioni, dove valgono le regole degli articoli 2368 e seguenti del codice civile. In prima convocazione occorre la presenza di tanti soci che rappresentino almeno la metà del capitale con diritto di voto. In seconda convocazione è sufficiente qualunque percentuale, ma per l’approvazione del bilancio occorre comunque la maggioranza del capitale rappresentato in assemblea.
Strategie di sabotaggio assembleare
Nella casistica giurisprudenziale si sono consolidate diverse tipologie di comportamenti ostruzionistici. C’è il socio che partecipa ma vota sistematicamente contro ogni proposta. Oppure quello che presenta richieste di rinvio per presunti approfondimenti tecnici. O ancora chi contesta la regolarità della convocazione per vizi formali.
Tutti questi comportamenti, se sistematici e privi di giustificazione oggettiva, possono configurare violazione dei doveri di collaborazione che gravano sui soci. La giurisprudenza ha elaborato il principio della “correttezza societaria”, secondo cui ogni socio deve comportarsi in modo leale nei rapporti con la società e gli altri soci.
Il Tribunale di Milano, con decreto del 23 marzo 2011, ha stabilito che “il comportamento del socio che impedisce sistematicamente l’approvazione del bilancio può giustificare l’esclusione dalla società ai sensi dell’art. 2473-bis c.c.”. È una soluzione estrema, ma talvolta necessaria per sbloccare situazioni di stallo.
Gli effetti collaterali dello stallo: dal blocco operativo al commissariamento
La giurisprudenza ha elaborato nel tempo una casistica dettagliata sugli effetti della mancata approvazione del bilancio. Non si tratta solo di aspetti formali o burocratici: quando l’assemblea non riesce a deliberare per periodi prolungati, emergono spesso contrasti più profondi che possono minare irreversibilmente la funzionalità dell’ente.
Il primo effetto collaterale riguarda l’impossibilità di distribuire utili ai soci. Senza approvazione del bilancio, infatti, non è possibile procedere alla distribuzione di dividendi o alla costituzione di riserve. È una conseguenza che spesso aggrava ulteriormente i contrasti all’interno della compagine societaria.
Un secondo aspetto critico riguarda i rapporti con il sistema bancario. La maggior parte degli istituti di credito richiede la presentazione del bilancio approvato per la concessione o il rinnovo di finanziamenti. La mancanza di questo documento può compromettere l’accesso al credito, con evidenti ripercussioni sull’attività d’impresa.
Il commissariamento giudiziale: ultima ratio
Nei casi più gravi, quando lo stallo assembleare si protrae oltre limiti ragionevoli, può essere necessario ricorrere al commissariamento giudiziale previsto dall’articolo 2409 del codice civile. È una procedura complessa che richiede la dimostrazione di “gravi irregolarità nella gestione” che possano arrecare danno alla società o ai soci.
Il commissario giudiziale ha poteri molto ampi, inclusa la possibilità di convocare l’assemblea e proporre l’approvazione del bilancio. È una soluzione che comporta costi elevati e tempi lunghi, ma talvolta rappresenta l’unica via per sbloccare situazioni di paralisi totale.
La Cassazione, con la sentenza n. 8745/2018, ha precisato che “il commissariamento può essere disposto anche in presenza di mancata approvazione del bilancio protrattasi per più esercizi consecutivi”. È una pronuncia che amplia le possibilità di intervento giudiziale in queste situazioni di crisi.
Responsabilità degli amministratori: profili penali e civili
È opportuno considerare che la mancata approvazione del bilancio può comportare conseguenze pesanti anche sul piano della responsabilità degli amministratori. Ai sensi dell’art. 2631 del codice civile, infatti, la mancata convocazione dell’assemblea nei termini previsti dalla legge configura una fattispecie penale punita con l’arresto fino a un anno.
La norma è chiara: “Gli amministratori che omettono di convocare nei termini l’assemblea per l’approvazione del bilancio sono puniti con l’arresto fino a un anno”. Si tratta di un reato contravvenzionale che non richiede la prova del dolo specifico, essendo sufficiente la semplice violazione dell’obbligo legale.
Oltre ai profili penali, gli amministratori rischiano anche conseguenze sul piano civile. La mancata convocazione tempestiva dell’assemblea può essere qualificata come violazione dei doveri di diligenza professionale, con conseguente responsabilità per i danni eventualmente causati alla società o ai soci.
La responsabilità solidale del collegio sindacale
Non bisogna dimenticare che anche il collegio sindacale ha responsabilità specifiche in materia di bilancio. I sindaci devono vigilare sull’osservanza della legge e dello statuto, nonché sui principi di corretta amministrazione. La mancata segnalazione di irregolarità nell’iter di approvazione del bilancio può comportare responsabilità solidale con gli amministratori.
L’articolo 2407 del codice civile prevede che i sindaci debbano “riferire immediatamente all’assemblea su omissioni o fatti censurabili rilevati nell’espletamento dell’incarico”. La mancata approvazione del bilancio nei termini rientra certamente tra i fatti che devono essere segnalati.
Soluzioni operative: come gestire l’emergenza
Di fronte a situazioni di stallo assembleare, la prassi professionale ha elaborato diverse strategie operative. La prima opzione è sempre quella del dialogo e della mediazione tra i soci, cercando di individuare compromessi accettabili per tutte le parti.
Quando questa strada non è percorribile, si può valutare la convocazione di assemblee straordinarie per modifiche statutarie che facilitino il processo decisionale. Ad esempio, riducendo i quorum assembleari o introducendo meccanismi di voto per corrispondenza.
Un’ulteriore possibilità è rappresentata dal ricorso a mediatori professionali o arbitri che aiutino a risolvere i contrasti. Molte Camere di Commercio offrono servizi di mediazione specificamente dedicati ai conflitti societari.
La via dell’accordo parasociale
In casi estremi, può essere necessario ricorrere a accordi parasociali che disciplinino modalità e tempi per l’approvazione del bilancio. Questi accordi, se ben strutturati, possono prevenire futuri blocchi assembleari e garantire la continuità operativa della società.
La dottrina ha elaborato clausole specifiche per queste situazioni, come la previsione di termini più ristretti per la convocazione assembleare o l’introduzione di meccanismi automatici di approvazione in caso di stallo prolungato.