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Lettere di compliance professionisti

Lettere di compliance professionisti e principio di cassa: gli errori del Fisco

27 Ottobre, 2025

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Nelle ultime settimane l’Agenzia delle Entrate ha diffuso una massiccia ondata di comunicazioni indirizzate ai professionisti e ai lavoratori indipendenti. Obiettivo dichiarato: segnalare anomalie nelle dichiarazioni 2022. Ma c’è un problema di fondo che crea confusione tra i contribuenti. L’amministrazione finanziaria, nei calcoli sottostanti agli inviti alla compliance, sembra aver trascurato un principio cardine della tassazione per questa categoria: il regime di cassa.

🕒 Cosa sapere in un minuto

  • Il problema: L’Agenzia delle Entrate sta inviando comunicazioni di compliance ai professionisti somando le CU ricevute alle fatture elettroniche emesse, presumendo che tutto sia stato incassato.
  • L’errore del Fisco: Ignora il principio di cassa (art. 54 DPR 917/86) per cui i professionisti dichiarano solo ciò che effettivamente incassano, non ciò che fatturano.
  • La differenza: Le CU attestano incassi reali, mentre le fatture private possono essere non pagate, parzialmente incassate o ancora in sospeso.
  • Non è un accertamento: Le lettere sono semplici segnalazioni, non atti impositivi impugnabili.
  • Cosa fare: Se corretto, fornire chiarimenti via CIVIS con documentazione degli incassi effettivi. Se c’è un errore, utilizzare il ravvedimento operoso riferito all’anno di effettivo incasso.

Il meccanismo delle comunicazioni: come funziona

Le comunicazioni si basano su un’addizione piuttosto semplice, almeno in apparenza. Si prende il totale dei redditi certificati via Certificazione Unica dai sostituti d’imposta. Si aggiungono poi gli importi risultanti dalle fatture elettroniche emesse durante l’anno. Sommando i due numeri, l’Agenzia dice: ecco quanto avreste dovuto dichiarare.

Peccato che questo ragionamento tradisce una lacuna importante. Secondo quanto stabilito dall’articolo 54, comma 1, del decreto presidenziale numero 917 del 1986, i titolari di redditi derivanti dall’esercizio di un’arte o di una professione non contabilizzano il reddito sulla base della competenza, ma della cassa. In parole semplici: conta quello che incassi effettivamente, non quello che fatturi.

Certificazioni unitarie e fatturazione: due mondi diversi

Quando qualcuno emette una CU a favore di un professionista, quella comunicazione rappresenta somme effettivamente trasferite al lavoratore. Salvo errori evidenti nell’importo o nel nominativo, il dato contenuto in una CU rispecchia un incasso reale.

Ben diversa è la situazione con le fatture elettroniche emesse verso clienti privati. Qui il meccanismo cambia radicalmente. Una fattura privata non genera alcuna Certificazione Unica. Il cliente, non rivestendo la qualità di sostituto d’imposta, non ha obblighi di segnalazione all’Agenzia. E soprattutto: una fattura emessa non garantisce che il professionista abbia ricevuto il relativo importo. Magari la cifra è stata parzialmente incassata. Oppure rimane ancora in sospeso. O nei casi più complicati, il credito non verrà mai riscosso.

Eppure l’amministrazione finanziaria, nelle motivazioni delle sue comunicazioni di compliance, assume tranquillamente che tutti gli importi fatturati siano stati percepiti. Senza avere alcun modo di verificarlo realmente.

Il cuore del problema: l’incasso non verificato

È qui che risiede il vizio logico principale. L’agenzia delle Entrate non dispone di informazioni affidabili sugli effettivi incassi dei professionisti rispetto alle fatture emesse a privati. I flussi di denaro passano per conti correnti bancari, bonifici, contanti. Non sempre tracciabili attraverso i dati ufficiali dell’amministrazione.

Eppure il provvedimento di compliance contiene affermazioni perentorie: il contribuente avrebbe percepito determinate somme, quindi le avrebbe dovute dichiarare. Tutto questo senza avere riscontri concreti dell’effettivo incasso. È un ragionamento che inverte il principio di cassa stesso.

La norma è cristallina sul punto. L’articolo 54 del decreto presidenziale individua il reddito professionale come la differenza tra tutte le somme percepite in relazione all’attività, nel corso del periodo impositivo, e l’ammontare delle spese sostenute nello stesso periodo. Due elementi fondamentali: le somme devono essere effettivamente percepite e il tutto deve riferirsi al medesimo periodo d’imposta.

Una comunicazione che non è una contestazione

Qui occorre sgombrare il campo da un equivoco rilevante. Le lettere di compliance non sono atti impositivi veri e propri. Non hanno natura di avvisi di accertamento o di cartelle di pagamento. Non possono essere direttamente impugnate come tali. Rappresentano piuttosto segnalazioni di possibili anomalie.

Proprio per questo motivo, la loro emissione su basi teoriche fragili crea una situazione ostica per gli studi professionali. Il cliente riceve la comunicazione e si preoccupa. Il commercialista legge i motivi addotti e constata che mancano i fondamenti giuridici. Ma cosa fare? Non impugnare formalmente? Fornire chiarimenti?

A complicare ulteriormente lo scenario, c’è la confusione generata tra chi effettivamente ha commesso errori nella propria dichiarazione e chi, al contrario, ha compilato tutto correttamente sulla base del principio di cassa e ora riceve contestazioni infondate.

Le opzioni concrete per il professionista

Se la comunicazione di compliance è viziata, perché basata su un ragionamento che ignora il regime di cassa, uno studio professionale dispone di alcuni percorsi alternativi. Una possibilità consiste nell’attivare il canale CIVIS, uno strumento che l’Agenzia mette a disposizione per fornire chiarimenti e documentazione in risposta a segnalazioni.

Attraverso CIVIS il professionista e il suo intermediario possono inviare la documentazione idonea a dimostrare quale sia stato l’effettivo incasso rispetto alle fatture emesse. Possono inoltre spiegare le motivazioni della propria dichiarazione, mettendo l’amministrazione in condizione di comprendere che non vi è stata alcuna anomalia.

Naturalmente, se nel frattempo il professionista ha effettivamente riscontrato un errore nei propri dati dichiarativi, il sistema tributario prevede lo strumento del ravvedimento operoso. Si presenta una dichiarazione integrativa limitatamente alle quote non dichiarate, si versano le maggiori imposte dovute, gli interessi legali e una sanzione ridotta. Il tutto utilizzando il modello F24 e il codice tributo indicato nella comunicazione stessa.

Quando l’errore è reale: il percorso correttivo

Nel caso in cui, dopo aver ricevuto la missiva, si accertasse che il reddito sia stato effettivamente sottodichiarato, occorre distinguere il momento dell’effettivo incasso dal momento della fatturazione.

Il ravvedimento operoso rappresenta lo strumento principale per regolarizzare spontaneamente la propria posizione. È quello che il legislatore ha introdotto nell’articolo 1, commi 634-636, della legge numero 190 del 2014 (la finanziaria 2015). La norma mira a incentivare l’autotassazione e l’emersione volontaria delle basi imponibili non dichiarate.

Ma per fare ciò correttamente, bisogna prima capire quando effettivamente il reddito sia sorto (cioè quando è stato incassato). Poi determinare in quale esercizio la somma doveva essere dichiarata. Infine compilare la dichiarazione integrativa riferita all’anno corretto.

Il malcontento dei professionisti e le criticità ricorrenti

Nella pratica quotidiana degli studi professionali, questi inviti hanno generato non poche perplessità. Molti colleghi segnalano comunicazioni cariche di inesattezze, basate su premesse normative discutibili.

Il fatto che l’Agenzia sommi indiscriminatamente CU (che riflettono incassi reali) e fatture private (che potrebbero non essere state interamente incassate) rappresenta un errore metodologico ricorrente. È una casistica che si ripete frequentemente.

La conseguenza è una perdita di fiducia nel dialogo collaborativo tra fisco e contribuente. Quest’ultimo si sente accusato ingiustamente. Lo studio perde tempo nel fornire chiarimenti. L’amministrazione, dal canto suo, procede sulla base di dati parziali e di un ragionamento viziato ab origine.

La collaborazione tra Fisco e cittadino: un’opportunità fraintesa

La legge 190 del 2014 aveva effettivamente l’intento di rendere il rapporto tributario più trasparente e collaborativo. L’idea era corretta: l’Agenzia condivide i dati di cui dispone, il contribuente ha l’occasione di verificare e correggersi da solo.

Il problema è quando questa logica viene applicata in modo meccanico e senza una valutazione adeguata delle premesse normative. Non basta segnalare un’anomalia rilevando dati dalle proprie banche dati. Occorre verificare che quella segnalazione sia giuridicamente fondata, cioè che rispetti il regime normativo cui il contribuente è sottoposto.

Nel caso della lettere di compliance per i redditi autonomi 2022, la premessa normativa fallace ha inficiato l’intero edificio logico della comunicazione. Si è applicato un ragionamento da redditi lordi, quando invece la categoria è assoggettata al principio di cassa. È un vizio che non è facilmente sanabile attraverso chiarimenti marginali, ma che richiede una revisione strutturale della metodologia.

Cosa fare da qui in avanti

Il contribuente che riceve una comunicazione di compliance relativa a redditi professionali 2022 ha diverse opzioni. Anzitutto, verificare con attenzione se effettivamente gli importi segnalati siano stati incassati e quando. Consulto il proprio professionista abilitato: commercialista, consulente del lavoro, dottore in ragioneria.

Se gli importi sono stati effettivamente incassati ma non dichiarati, il ravvedimento operoso è il percorso naturale. Se invece tutto è stato regolarmente dichiarato secondo il principio di cassa, occorre fornire documentazione che lo attesti: estratti conto, ricevute di bonifico, registri di incasso.

È opportuno ricordare che le comunicazioni ricevute rimangono consultabili nel Cassetto Fiscale e nel portale “Fatture e Corrispettivi”. Lì si trovano i dettagli dei calcoli effettuati dall’amministrazione e, in taluni casi, i prospetti di dettaglio che illustrano come sia stato calcolato l’importo segnalato.

Dalla prospettiva dello studio professionale, diventa consigliabile verificare sistematicamente la coerenza tra dichiarazioni redatte e comunicazioni ricevute. Non perché tutte le comunicazioni siano corrette—evidentemente non lo sono—ma per anticipare il ricevimento e prepararsi a una risposta idonea.

Tabella riassuntiva: principio di competenza vs principio di cassa

Aspetto Principio di competenza Principio di cassa
Quando sorge il reddito Quando è maturato il diritto, indipendentemente dall’incasso Quando la somma è effettivamente percepita
Redditi autonomi Non si applica Regime ordinario (art. 54 DPR 917/86)
Fatture emesse Generano immediatamente reddito Generano reddito solo quando incassate
Fatture verso privati Contabilizzate al momento dell’emissione Contabilizzate al momento dell’incasso
CU ricevute Riflettono importi maturati Riflettono importi effettivamente erogati
Problematica nelle lettere compliance Non applicabile qui L’Agenzia non verifica l’effettivo incasso

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