L’Amministrazione finanziaria dispone di un potere di accesso molto ampio ai rapporti intrattenuti dai contribuenti con banche, intermediari finanziari e compagnie assicurative. I riferimenti normativi sono noti, ma spesso sottovalutati nella loro portata concreta: l’articolo 32, comma 1, n. 7), del D.P.R. 600/1973 per le imposte dirette e l’articolo 51, comma 2, n. 7), del D.P.R. 633/1972 per l’IVA permettono agli uffici di acquisire dati, notizie, operazioni e documenti relativi a qualsiasi rapporto finanziario. Questi poteri non si limitano ai conti “professionali” in senso stretto. Riguardano qualsiasi conto su cui il contribuente abbia un rapporto, anche se cointestato o formalmente utilizzato per esigenze familiari. Il punto centrale, ribadito dalla Cassazione in più occasioni nel 2025, è che la legge riconosce una presunzione legale a favore dell’Erario sulle movimentazioni bancarie, con un’inversione dell’onere della prova che non è affatto marginale per chi esercita attività economiche o professionali.
🕒 Cosa sapere in un minuto
- Le indagini finanziarie si basano su una presunzione legale a favore del Fisco per i movimenti bancari, ai sensi dell’art. 32 D.P.R. 600/1973 e dell’art. 51 D.P.R. 633/1972.
- La presunzione vale anche sui conti cointestati: la sola contitolarità con il coniuge o la destinazione familiare del conto non esclude l’operatività della presunzione.
- Il contribuente deve fornire una prova analitica per ogni singola movimentazione, dimostrando che non è collegata ad attività imponibili.
- Per i professionisti, dopo la sentenza Corte Cost. 228/2014, la presunzione resta pienamente operativa sui versamenti, mentre è venuta meno l’automatica equiparazione sui prelevamenti.
- Il giudizio di rinvio è un procedimento chiuso: il giudice deve attenersi alle indicazioni della Cassazione e non può riaprire il thema decidendum oltre i limiti del giudicato implicito.
- La gestione prudente dei conti correnti richiede una netta separazione tra movimenti professionali e personali, con documentazione di supporto archiviata in modo ordinato.
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La presunzione legale sulle movimentazioni: cosa significa davvero
Secondo la Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 19159 del 12 luglio 2025, le norme citate attribuiscono al Fisco una presunzione legale relativa. Questo vuol dire che le movimentazioni riscontrate sui conti correnti sono considerate, per impostazione di base, riferibili ad attività fiscalmente imponibili.
Non serve che l’Agenzia delle Entrate dimostri la gravità, precisione e concordanza degli elementi, come richiesto per le presunzioni semplici dall’articolo 2729 del codice civile. L’Amministrazione si limita a evidenziare i flussi, soprattutto i versamenti, e la legge fa il resto. È il contribuente che deve ribaltare il quadro, fornendo una prova analitica per ogni singola operazione.
Non basta allora una spiegazione generica del tipo “sono movimentazioni familiari”, né funziona un ragionamento cumulativo. Ogni accredito e ogni versamento deve essere giustificato in modo puntuale, con documenti e riscontri coerenti, e il giudice di merito è tenuto a valutare con rigore questa prova, dando conto in sentenza della motivazione riferita alle singole operazioni.
Indagini finanziarie conto cointestato: perché non protegge dalla presunzione
Il punto che spesso sorprende contribuenti e professionisti riguarda la gestione del conto cointestato. La Cassazione, nella stessa ordinanza n. 19159/2025, chiarisce che il solo fatto che il conto sia cointestato al contribuente verificato e al coniuge, magari non coinvolto nell’attività d’impresa o di lavoro autonomo, non è sufficiente a escludere la presunzione legale.
La Corte afferma in modo piuttosto netto che il richiamo alla contitolarità del conto con il coniuge non occupato in azienda e alla commistione tra consumi familiari e attività della ditta non basta a far cadere la presunzione. In pratica, il conto cointestato non è uno “schermo neutro”. Se il professionista o l’imprenditore usa lo stesso conto per incassare compensi, far transitare bonifici legati all’attività e sostenere spese personali o familiari, resta pienamente operativa la presunzione che i versamenti siano redditi imponibili, salvo prova contraria.
Si consideri un caso concreto. Un artigiano cointesta il conto con il coniuge e lo utilizza per far accreditare bonifici dei clienti, stipendio del coniuge e spese condominiali. Se in sede di indagine bancaria emergono versamenti non giustificati da fatture o corrispettivi registrati, la difesa fondata solo sulla natura “familiare” del conto o sulla contitolarità non regge. Occorre spiegare uno per uno i flussi, dimostrando, ad esempio, che si tratta di restituzione di prestiti, rimborsi, trasferimenti tra conti, somme già tassate o comunque irrilevanti ai fini fiscali.
Qui emerge un punto cieco molto diffuso: l’idea che la cointestazione o la prevalente destinazione familiare del conto bastino a tutelare il contribuente. La Cassazione sta dicendo l’opposto.
Professionisti e versamenti su conto corrente dopo la sentenza 228/2014
Il tema delle indagini bancarie sui professionisti è stato oggetto di una ulteriore precisazione con l’ordinanza n. 29739 dell’11 novembre 2025. La Corte richiama la nota decisione della Corte Costituzionale n. 228/2014, che aveva escluso l’automatica equiparazione tra attività imprenditoriale e attività professionale per i prelevamenti bancari, limitatamente a quella fattispecie.
La distinzione però non ha scalfito la presunzione legale sui versamenti. Per i professionisti e i lavoratori autonomi i versamenti sul conto corrente restano automaticamente attratti nell’alveo del reddito imponibile, salvo prova contraria. Questo significa che un avvocato, un medico o un consulente che utilizza un conto promiscuo dovrà comunque spiegare in modo circostanziato ogni accredito non coerente con la contabilità o che non trova riscontro nei compensi fatturati.
Nella prassi molti professionisti ritengono di essere “meno esposti” rispetto all’imprenditore per via della sentenza costituzionale. In realtà la protezione riguarda solo i prelevamenti, non i versamenti. Il rischio di recuperi a tassazione rimane elevato se manca una chiara separazione tra flussi professionali e personali.
Il giudizio di rinvio: un procedimento chiuso, non un nuovo processo
Nell’ordinanza n. 19159/2025, la Cassazione affronta anche un tema processuale spesso trascurato ma decisivo in contenzioso: la natura del giudizio di rinvio. La riassunzione della causa davanti al giudice di rinvio, dopo l’annullamento con rinvio della sentenza, non è un nuovo atto di impugnazione. È un’attività di impulso processuale che serve a proseguire il giudizio già definito dalla Cassazione.
Il procedimento che si apre davanti al giudice di rinvio è definito “chiuso”. Ciò significa che le parti non possono allargare il thema decidendum con nuove domande o nuove eccezioni. Operano tutte le preclusioni già maturate e, soprattutto, incide il giudicato implicito formatosi sulla base della pronuncia di Cassazione.
Anche le questioni rilevabili d’ufficio, se non esaminate dalla Corte di legittimità, non possono essere introdotte nel giudizio di rinvio. Diversamente si finirebbe, secondo la Cassazione, per svuotare di efficacia la propria sentenza, violando il principio della sua intangibilità.
I poteri del giudice di rinvio nelle diverse ipotesi di annullamento
La Corte distingue, in modo tecnico ma utile a chi si occupa di contenzioso, tre scenari a seconda delle ragioni per cui è stata cassata la sentenza di merito.
| Tipo di annullamento Cassazione | Potere del giudice di rinvio | Effetto pratico sui fatti |
|---|---|---|
| Violazione o falsa applicazione di legge | Deve solo applicare il principio di diritto ex art. 384, comma 1, c.p.c. | Non può modificare accertamento e valutazione dei fatti già acquisiti |
| Vizi di motivazione su punti decisivi | Può rivalutare i fatti e indagarne di ulteriori, nel rispetto delle preclusioni | Nuova valutazione complessiva dei fatti già emersi e di quelli ulteriori consentiti |
| Entrambe le ragioni (diritto e motivazione) | Deve applicare il principio di diritto e può al tempo stesso rivalutare i fatti | Può riesaminare i fatti acquisiti e valutare altri fatti ammessi dalle direttive della Cassazione |
L’impostazione della Cassazione conferma una linea ormai consolidata: il giudice di rinvio non è libero di riaprire il processo a 360 gradi. Ha una potestas iudicandi condizionata dal contenuto della sentenza rescindente e dai limiti già formatisi nel giudizio. Chi gestisce un contenzioso su indagini bancarie, quindi, deve impostare sin dall’inizio una strategia probatoria coerente, sapendo che gli spazi di recupero in rinvio saranno inevitabilmente ridotti.
Gestione dei conti correnti: separare davvero personale e professionale
Tornando al tema sostanziale delle indagini bancarie, il messaggio che si ricava dalle ordinanze del 2025 è netto. Il contribuente deve gestire i conti correnti con rigore, puntando a una separazione quanto più possibile chiara tra operatività professionale e operatività familiare o personale.
In concreto, serve che i movimenti legati all’attività trovino riscontro nella contabilità e nella documentazione commerciale: fatture, parcelle, ricevute, contratti. I conti cointestati con familiari andrebbero utilizzati con attenzione, evitando che su di essi transitino pagamenti di clienti o incassi ricorrenti legati all’attività, se poi si intende sostenerne la natura esclusivamente familiare.
Si immagini, ad esempio, un consulente che riceve bonifici da clienti sul proprio conto personale cointestato, mentre sul conto “professionale” transitano solo alcune operazioni. A distanza di cinque o sei anni, in sede di indagine bancaria, dovrà ricordare e documentare ogni singolo versamento, magari collegandolo a situazioni ormai chiuse. Senza questa prova analitica, la presunzione legale lo porterà verso una ricostruzione induttiva del reddito, spesso difficilmente ribaltabile.
Molti contribuenti confidano nella possibilità di spiegare “a voce” l’origine delle somme o di fare riferimento a situazioni note nell’ambito familiare. La giurisprudenza più recente, invece, conferma una richiesta di prova strutturata, documentale, specifica.
Un cambio di mentalità su conti cointestati e tracciabilità interna
Alla luce di questo quadro, la vera questione non è solo conoscere la norma, ma cambiare approccio operativo. L’uso disinvolto del conto cointestato, la confusione tra entrate di lavoro e movimenti personali, la mancanza di una traccia interna che spieghi i trasferimenti tra conti, sono prassi che espongono a rischi significativi in caso di verifica.
Un’impostazione più prudente richiede di:
- utilizzare, ove possibile, conti distinti per attività e sfera privata;
- evitare che i conti cointestati diventino contenitori promiscui di incassi e spese;
- accompagnare i movimenti più rilevanti con una documentazione di supporto archiviata in modo ordinato.
Chi si occupa di consulenza sa che queste raccomandazioni non sono nuove. La novità è la coerenza con cui la Cassazione le traduce in chiavi di lettura processuali e sostanziali, rafforzando la posizione dell’Erario in caso di contestazione.
Qui entra in gioco anche il tuo modo di ragionare sul rischio: se dai per scontato che “tanto posso sempre spiegare dopo”, non stai tenendo conto della struttura della presunzione legale e dei limiti del giudizio di rinvio. Il sistema processuale non è costruito per recuperare a posteriori quello che non è stato documentato per tempo.



