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Fatture false e non punibilità: se paghi il Fisco, puoi cavartela?

4 Giugno, 2025

La Cassazione ha stabilito che chi salda integralmente i debiti fiscali può evitare il carcere per fatture false, se il fatto è di particolare tenuità. Una decisione che, va detto subito, potrebbe cambiare molti processi in corso.

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L’innovazione giurisprudenziale degli Ermellini

La Terza Sezione penale della Suprema Corte, con sentenza n. 19675 del 27 maggio 2025, ha tracciato una strada che molti non si aspettavano. Il principio, nella sostanza, è questo: chi utilizza fatture false ma poi paga tutto quello che deve al Fisco può essere considerato “non punibile” per particolare tenuità del fatto.

La decisione è arrivata nel caso di un imprenditore campano che aveva utilizzato documenti per operazioni inesistenti nel 2012. La Corte d’Appello di Napoli l’aveva condannato, ma ora gli Ermellini hanno ribaltato tutto, rinviando il caso ai giudici di merito per una nuova valutazione.

Il cuore della questione: quando il pagamento “salva”

Il nocciolo della questione ruota attorno all’articolo 131-bis del codice penale, quello sulla particolare tenuità del fatto, modificato dalla riforma Cartabia. La novità principale è l’introduzione della “condotta susseguente al reato” tra i criteri di valutazione.

In pratica, ora i giudici devono considerare anche quello che succede dopo il reato. E qui entra in gioco l’articolo 13, comma 3-ter, lettera b) del D.Lgs. 74/2000, quello sui reati tributari, che considera come indice favorevole “l’avvenuto adempimento integrale dell’obbligazione di pagamento secondo il piano di rateizzazione concordato con l’amministrazione finanziaria”.

I limiti di pena che contano

Perché questo sia possibile, serve però che il reato abbia una pena minima non superiore ai due anni. Il delitto di utilizzo di fatture per operazioni inesistenti prevede la reclusione da un anno e sei mesi a sei anni, quindi rientra nei parametri.

La riforma ha sostituito il vecchio criterio (pena massima di cinque anni) con quello attuale (pena minima non superiore a due anni), ampliando di fatto l’applicabilità dell’istituto.

Le regole del gioco cambiate dalla riforma Cartabia

La riforma del 2022, quella che tutti chiamano “Cartabia”, ha fatto due cose principali. Prima di tutto, ha modificato l’articolo 131-bis del codice penale, introducendo la valutazione della condotta successiva al reato. Poi ha aggiunto criteri specifici per i reati tributari.

Come spiegano i giudici della Cassazione, questo permette di valutare se la condotta post-delitto sia “positivamente rilevante” ai fini della non punibilità. Nel caso in esame, il pagamento integrale del debito è stato considerato proprio una di queste condotte positive.

Il principio del “favor rei”

La Corte ha anche chiarito un aspetto procedurale importante: la nuova disciplina ha efficacia retroattiva. Questo perché si tratta di una normativa di favore, che quindi può essere applicata anche ai fatti commessi prima della sua entrata in vigore.

Operazioni inesistenti: cosa significa davvero

Facciamo un passo indietro per capire di cosa parliamo. Le “fatture per operazioni inesistenti” sono definite dal D.Lgs. 74/2000 come documenti “emessi a fronte di operazioni non realmente effettuate in tutto o in parte o che indicano i corrispettivi o l’imposta sul valore aggiunto in misura superiore a quella reale”.

In sostanza, si tratta di fatture false che servono a gonfiare artificialmente i costi aziendali, riducendo così l’imponibile e le tasse da pagare. Il meccanismo è semplice: annotando costi più alti nella contabilità, si dichiarano utili più bassi rispetto a quelli effettivamente realizzati.

I rischi per chi sbaglia

Chi commette questo reato rischia molto. Oltre alla pena detentiva, ci sono l’interdizione perpetua dall’ufficio di componente di commissione tributaria, l’interdizione dai pubblici uffici e la confisca dei beni che costituiscono il profitto del reato.

Aspetti critici e zone d’ombra della sentenza

La decisione della Cassazione, però, lascia aperti alcuni interrogativi. Il primo riguarda i tempi: quando deve avvenire il pagamento per essere considerato “condotta susseguente”? La sentenza parla di pagamento avvenuto “prima della sentenza di condanna”, ma nella prassi si dovranno chiarire i dettagli.

Un altro aspetto delicato riguarda l’incensuratezza del ricorrente, che la Corte ha considerato come elemento a favore della particolare tenuità. Questo potrebbe creare disparità di trattamento tra chi ha precedenti e chi non ne ha.

Il bilanciamento tra deterrenza e proporzionalità

La decisione solleva anche questioni di politica criminale. Da un lato, permette di evitare sanzioni sproporzionate quando il danno erariale è stato riparato. Dall’altro, potrebbe indebolire l’effetto deterrente delle norme tributarie, se si diffonde l’idea che “basta pagare dopo” per evitare conseguenze penali.

Implicazioni pratiche per professionisti e contribuenti

Per i commercialisti e gli avvocati, questa sentenza apre nuove strategie difensive. Quando si è in presenza di reati tributari con pene minime non superiori ai due anni, il pagamento integrale del dovuto diventa un elemento da valutare attentamente.

Nella prassi professionale, questo significa che bisognerà:

  • Verificare sempre se il reato contestato rientra nei parametri dell’articolo 131-bis
  • Documentare accuratamente ogni pagamento effettuato
  • Valutare la convenienza di strategie di compliance proattiva

Quando non si applica la tenuità del fatto

La particolare tenuità non può essere riconosciuta quando l’autore ha agito per motivi abietti o futili, con crudeltà, o ha profittato delle condizioni di minorata difesa della vittima. Nel caso dei reati tributari, questo si traduce nella valutazione delle modalità concrete della condotta evasiva.

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