Quando una società si trova a dover gestire crediti nei confronti di debitori in difficoltà finanziaria, emergono questioni tutt’altro che banali sul piano della determinazione dell’imposta. La risposta n. 276 pubblicata a novembre 2025 dall’Agenzia delle Entrate affronta proprio uno di questi snodi critici: le aziende creditrici possono emettere nota di variazione in diminuzione dell’IVA se il loro credito rimane soddisfatto in modo parziale o completo a causa di procedure concorsuali andate a vuoto? E soprattutto, secondo quali criteri temporali?
🕒 Cosa sapere in un minuto
- Nota di variazione IVA in procedura chiusa: Un creditore può emettere nota di variazione in diminuzione dell’IVA quando il suo credito verso un debitore in procedura concorsuale rimane soddisfatto solo in parte o non riscosso affatto.
- Il momento chiave: Non nella data di apertura della procedura, bensì al momento della conclusione della procedura stessa, quando emerge in modo certo l’incapienza patrimoniale del debitore.
- Data limite del 26 maggio 2021: Le procedure aperte prima di questa data seguono il vecchio regime fallimentare; quelle aperte dopo il nuovo Codice della Crisi. Il principio sulla nota di variazione rimane però invariato.
- Termine di emissione: La nota deve essere emessa entro il 31 dicembre dell’anno in cui il presupposto si è perfezionato, oppure indicata nella dichiarazione dei redditi.
- Nel concordato seguito da liquidazione: La variazione opera solo per gli importi effettivamente non riscossi al termine della procedura; le falcidie operate dal concordato e successivamente dalla liquidazione devono essere considerate separatamente.
- Riferimento normativo: Articolo 26 del DPR 633/1972 e risposta n. 276/2025 dell’Agenzia delle Entrate.
1
Il contesto normativo e la rilevanza della liquidazione giudiziale
La disciplina delle note di variazione in materia di IVA affonda le radici nell’articolo 26 del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633, che rappresenta ancora oggi il perno della regolamentazione. Questo articolo consente al creditore di operare una rettifica diminutiva del proprio debito d’imposta allorquando il credito verso il debitore non venga recuperato, sia parzialmente sia totalmente, per cause imputabili a procedure fallimentari o concorsuali che si rivelano insoddisfacenti. La norma è ancorata a un principio economico solido: se il prezzo pagato dal cliente non viene effettivamente riscosso, allora anche l’IVA relativa a quella vendita dovrebbe costituire onere del creditore nel momento in cui diventa evidente l’impossibilità di riscuotere.
L’interrogativo che la pratica pone con frequenza riguarda però il momento in cui tale evento — vale a dire l’infruttuosità della procedura — si perfeziona, generando il presupposto per l’emissione della nota di variazione. Specialmente nei casi dove si susseguono nel tempo diverse procedure concorsuali (come nel caso del concordato preventivo convertito successivamente in liquidazione giudiziale), occorre individuare con precisione il momento esatto in cui il creditore acquisisce la certezza di non poter riscuotere, e dunque il momento da cui decorre il diritto di variazione.
Quando il concordato prevede un pagamento parziale
Per comprendere meglio la questione, consideriamo una situazione concreta. Un’azienda fornitrice vanta un credito commerciale di €50.000 nei confronti di un cliente. Nel corso del 2018 questo cliente accede a un concordato preventivo con il tribunale competente. Il piano concordatario, omologato dal giudice, stabilisce che i creditori della categoria commerciale (come la nostra azienda fornitrice) riceveranno il 15% del credito riconosciuto, ossia circa €7.500. La somma restante, €42.500, viene falcidiata dal piano. In tale scenario, il nostro fornitore non è in grado di ricuperare €42.500 del credito originario.
La domanda che sorge naturalmente è: dopo quanto tempo, e soprattutto in quale momento, il fornitore può emettere una nota di variazione in diminuzione dell’IVA relativa ai €42.500 non riscossi?
Il principio temporale e la data chiave del maggio 2021
Un elemento cruciale nella risposta amministrativa riguarda la data del 26 maggio 2021. Prima di tale data, le procedure concorsuali (fallimenti, concordati, liquidazioni) erano disciplinate da un regime normativo differente. Dopo il 26 maggio 2021, è entrato in vigore il Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza, che ha rivoluzionato tutta la materia. L’Agenzia delle Entrate distingue pertanto due scenari: le procedure aperte prima del 26 maggio 2021 e le procedure aperte successivamente seguono regole diverse.
Per le procedure concorsuali che risultano avviate in data antecedente al 26 maggio 2021, l’Amministrazione ha chiarito nella risposta n. 102 (pubblicata nel marzo 2022) che il presupposto che autorizza l’emissione della nota di variazione si realizza nel momento esatto in cui, conclusasi la procedura stessa, emerga l’incapienza patrimoniale, ossia quando sia manifesto che i beni del debitore non saranno sufficienti a coprire neppure parzialmente il credito (oppure lo copriranno per una percentuale inferiore a quanto ritenuto inizialmente probabile). In altre parole, deve sussistere una ragionevole certezza dell’incapienza.
Il caso concreto dell’interpello n. 276: concordato seguito da liquidazione
L’interpello n. 276 tratta una fattispecie ancora più complessa. Un’azienda aveva un credito verso un debitore che nel 2016 accedeva a un concordato preventivo. Il piano prevedeva il pagamento del 10% del credito. Successivamente, nel 2024 (ossia dopo il termine massimo di tre anni dalla omologazione), lo stesso tribunale dichiara aperta la liquidazione giudiziale della società debitrice senza aver preventivamente pronunciato scioglimento del concordato (cosa che talvolta succede nella pratica).
Nel corso della liquidazione giudiziale, il credito della nostra azienda fornitrice viene ammesso al passivo, ma solo per un importo inferiore a quello riconosciuto in sede concordataria. In pratica, dalla già falcidiata somma relativa al 10% ammesso dal concordato, si passa a un ulteriore ridimensionamento. L’azienda creditrice si domanda: posso emettere ora nota di variazione IVA anche per la porzione di credito ulteriormente falcidiata nella liquidazione? O devo attendere il completamento della liquidazione stessa?
Il chiarimento dell’Agenzia: importi inclusi nel passivo
L’Agenzia fornisce un’interpretazione importante: la facoltà di emettere nota di variazione in diminuzione per crediti non riscossi opera soltanto — e ribadiamo, soltanto — per quanto concerne gli importi che rimangono esclusi dal passivo della liquidazione giudiziale oppure che, pur essendo stati ammessi al passivo in una procedura concorsuale precedente, risultano successivamente insoddisfatti al termine della procedura medesima.
Questo significa che il principio non trova applicazione, per così dire, “a regime” durante lo svolgimento della liquidazione, ma solamente al momento in cui si verifichi l’evento estintivo della pretesa creditoria, vale a dire quando la procedura sia conclusa e risulti accertato che il credito non sarà riscosso. La nota di variazione, dunque, non può essere emessa ex interim, bensì unicamente quando la fase esecutiva della procedura sia esaurita e sia assodato l’esito infruttuoso della medesima rispetto al credito in questione.
Limiti temporali e termini di emissione
Un altro profilo rilevante riguarda il termine entro il quale il creditore deve provvedere all’emissione della nota di variazione. L’articolo 19 del decreto IVA, richiamato espressamente dall’articolo 26 del DPR 633/1972, stabilisce che la nota di variazione deve essere emessa entro il 31 dicembre dell’anno in cui il presupposto si è perfezionato, oppure, per gli anni precedenti, utilizzando il meccanismo della dichiarazione dei redditi e della dichiarazione IVA quale sede propria per l’indicazione della variazione stessa.
Nel contesto delle procedure concorsuali, il “momento della perfezione del presupposto” corrisponde al momento in cui la procedura si conclude e risulta evidente l’incapienza del patrimonio del debitore. Non già la data di apertura della liquidazione, non già la data dell’omologazione di un concordato, ma piuttosto il momento della chiusura della procedura medesima o, comunque, il momento in cui diviene certo che il credito non sarà recuperato.
Il ruolo del preventivo concordato
Nel caso della conversione da concordato in liquidazione, emerge un elemento aggiuntivo di complessità. Se il concordato aveva già determinato una riduzione del credito (la falcidia), quella riduzione rappresenta ormai un evento concluso, difficilmente reversibile. La successiva liquidazione aggiunge un ulteriore livello di incertezza. L’Agenzia chiarisce che ciascuno di questi eventi deve essere considerato separatamente dal punto di vista della nota di variazione.
Pertanto, qualora il concordato stabilisca il pagamento del 10% e la liquidazione successiva riconosca solo il 5%, il creditore avrebbe potuto (teoricamente) emettere una nota di variazione per il 90% del credito originario (fallito nel concordato), e successivamente emetterne un’altra per il 50% della somma residua non recuperata nella liquidazione. Tuttavia, la prassi operativa deve confrontarsi con questioni di coordinamento tra le varie procedure e di identificazione precisa dei momenti di perfezione dei presupposti.
Implicazioni per i crediti commerciali
Per chi lavora nel campo della fornitura di beni e servizi, le implicazioni sono rilevanti. Se una società si trova a vendere a credito verso un cliente che successivamente accede a una procedura concorsuale, il trattamento tributario del credito non riscosso dipende dalla natura della procedura, dalla data di apertura, dal momento della chiusura e dall’esito della medesima. Una nota di variazione IVA non è automaticamente disponibile: occorre attendere che si verifichino specifiche condizioni, e soprattutto occorre che il creditore sia in grado di documentare l’evento estintivo del credito.
Nei rapporti tra professionisti e studi di consulenza fiscale, è frequente riscontrare ritardi nell’emissione di queste note. Capita spesso che un creditore scopra, mesi o anni dopo la conclusione di una procedura concorsuale, di avere diritto a una variazione IVA, trovandosi però ormai oltre il termine ordinario di emissione della medesima. Occorre in tal caso ricorrere a ravvedimento speciale (ove applicabile) o a soluzioni alternative come la compensazione tramite dichiarazione dei redditi.
Criticità nell’identificazione della data di conclusione della procedura
Un punto di attrito frequente nella pratica riguarda l’identificazione del momento esatto di “conclusione” della procedura. Nel caso del fallimento, il decreto di chiusura è agevole da reperire. Nel caso del concordato preventivo, invece, specialmente quando il piano non sia piena e tempestivamente eseguito, la situazione è più sfumata. Parimenti, per le liquidazioni giudiziali la conclusione della procedura non corrisponde necessariamente alla data di chiusura formale davanti al tribunale.
L’Agenzia, attraverso i suoi chiarimenti progressivi, ha cercato di introdurre un elemento di oggettività: il momento di certezza dell’incapienza, piuttosto che la data formale di conclusione. Ciò consente al creditore di operare valutazioni più consapevoli, pur rimanendo inevitabile un margine di discrezionalità nella determinazione di quando tale “certezza” si sia effettivamente realizzata.
Differenza tra procedure aperte prima e dopo il maggio 2021
Il cambio di disciplina introdotto dal Codice della Crisi ha portato con sé un elemento aggiuntivo di complicazione. Per le procedure aperte prima del 26 maggio 2021 (che rimangono soggette alla normativa fallimentare) e quelle aperte successivamente (che seguono il nuovo Codice), le sequenze procedurali sono diverse, i tempi sono potenzialmente diversi, le modalità di determinazione dell’incapienza sono diverse.
L’Agenzia ha voluto chiarire che questo cambio di disciplina sostanziale non altera il principio di fondo in materia di note di variazione IVA. In entrambi i casi, il creditore conserva il diritto di variazione; ciò che cambia è il momento in cui il presupposto si perfeziona, il quale dipende dalle specifiche sequenze procedurali previste dalla disciplina applicabile.



