Quando un’azienda finisce in cantiere per realizzare qualsiasi tipo di intervento edilizio, si trova davanti a una certificazione che non ammette scappatoie. Il DURC di congruità è diventato non solo una semplice formalità amministrativa, ma uno strumento centrale nella lotta al lavoro nero. A chiarirlo definitivamente è stata la risposta a interpello numero 4 del 17 ottobre 2025 da parte del Ministero del Lavoro — una precisazione che fa il punto su un aspetto spesso frainteso: non tutte le aziende devono iscriversi alle Casse Edili, ma tutte quelle che toccano un appalto edile devono farsi verificare.
🕒 Cosa sapere in un minuto
- Obbligo universale: Tutte le imprese che realizzano lavori edili in cantiere devono richiedere il DURC di congruità, senza eccezioni. Non è legato al settore di appartenenza, ma al tipo di attività svolta.
- Differenza cruciale: L’iscrizione alle Casse Edili riguarda solo le imprese edili (quelle che operano prevalentemente in edilizia). Il DURC di congruità riguarda chiunque tocchi un appalto costruttivo, indipendentemente dal settore.
- Quando scatta: Negli appalti pubblici sempre. Negli appalti privati se il valore dell’opera è pari o superiore a 70.000 euro.
- Cosa verifica: Che la manodopera dichiarata (ore lavorate da operai regolarmente assicurati) sia proporzionata all’intervento edile realizzato in cantiere.
- Conseguenze del no: Se la congruità non viene raggiunta, l’azienda ha 15 giorni per versare contributi aggiuntivi o correggere le dichiarazioni. Passati i 15 giorni senza regolarizzazione, viene iscritta alla BNI (Banca Nazionale Imprese Irregolari) e bloccata da qualsiasi appalto futuro.
- Norma di riferimento: D.M. 25 giugno 2021 n. 143; Interpello Ministero Lavoro n. 4/2025 (17 ottobre 2025).
Un chiarimento fondamentale e atteso
La materia aveva creato confusione tra gli operatori. Le imprese che non operano prevalentemente nel settore edile, ma che si trovano a eseguire lavorazioni costruttive nell’ambito di un appalto, si chiedevano se fossero soggette ai controlli sulla congruità della manodopera. La risposta ministeriale è netta e senza mezzi termini: la verifica della congruità si applica, punto. L’interpello, numero 4 del 2025 (protocollo 15013), ripercorre la normativa di riferimento rimarcando una distinzione che spesso passa inosservata, ossia quella tra l’obbligo di iscriversi alle Casse Edili — che riguarda solo chi opera prevalentemente nel settore — e l’obbligo di sottoporsi alle verifiche di congruità — che riguarda chiunque realizzi opere edili in un cantiere.
Per chi gestisce un’impresa non edile — si pensi a un’azienda di installazioni elettrotecniche, a una ditta di automazione o a un fornitore di servizi specializzati — la questione diventa operativa. Se l’azienda realizza attività costruttive nell’ambito di un appalto edile, la Cassa Edile competente per territorio dovrà rilasciare il DURC di congruità. E qui arriviamo al punto: non potrà pretendere l’iscrizione alla Cassa, ma dovrà effettuare comunque la verifica. Eventualmente potrà chiedere il rimborso dei costi amministrativi legati al servizio, ma niente più.
Dove il DURC ordinario e quello di congruità si distinguono
Spesso vengono confusi, e invece sono due certificazioni con funzioni molto diverse. Il DURC classico — il documento unico di regolarità contributiva — attesta che un’impresa è in regola con i versamenti verso INPS, INAIL e Casse Edili. È una sorta di “patente di buona salute” amministrativa dell’azienda nel suo complesso.
Il DURC di congruità, invece, guarda a un singolo appalto. Non certifica la regolarità generale, bensì verifica che la manodopera dichiarata — le persone effettivamente lavorate in cantiere con i relativi contributi versati — sia proporzionata al lavoro da fare. È uno strumento introdotto nel 2020 e operativo dal novembre 2021, progettato per impedire che qualcuno faccia lavori edili “senza carte”, senza cioè dimostrare che dietro a quel cantiere ci sono lavoratori regolarmente dichiarati e assicurati.
La procedura è gestita attraverso il Cnce_EdilConnect, un applicativo online della Confederazione nazionale costruttori edili. Il funzionamento è semplice concettualmente, anche se la parte tecnica richiede attenzione: quando un’impresa principale denuncia l’inizio attività (la famosa Dnl) alla Cassa competente, dichiara il valore complessivo dell’opera, ma soprattutto il valore della parte edile vera e propria.
Quali aziende e quali cantieri sono coinvolti
L’articolo 2 comma 1 del decreto ministeriale 143 del 2021 mette nero su bianco: la verifica della congruità tocca l’incidenza della manodopera relativa allo specifico intervento realizzato nel settore edile. Sia che si tratti di lavori pubblici sia di appalti privati, qui dentro è tutto coperto.
Ma c’è una soglia economica. Negli appalti privati la congruità scatta solo se il valore complessivo dell’opera raggiunge o supera i 70.000 euro. Negli appalti pubblici, invece, non esiste limite: tutte le opere hanno una verifica obbligatoria prima del saldo finale.
Cosa significa “settore edile”? Non è una domanda banale. L’allegato X del decreto legislativo 81 del 2008 (il Testo Unico sulla sicurezza nei cantieri) definisce con precisione quali attività rientrano. Parliamo di scavi, demolizioni, murature, realizzazione di strutture, finiture: insomma, tutte quelle lavorazioni coperte dal contratto collettivo nazionale dell’edilizia, sia a livello nazionale sia territoriale. Se nella documentazione dell’appalto c’è scritto che per certi compiti si applica il CCNL Edilizia, allora quella lavorazione rientra nel perimetro della verifica DURC di congruità.
Come si calcola la manodopera e cosa viene conteggiato
Questo aspetto è cruciale perché è qui che spesso nascono i contenziosi. Supponiamo un’impresa termomeccanica che realizza l’installazione di un impianto di riscaldamento in una nuova costruzione. Se per farlo deve fare piccole tracce nelle pareti (attività edile accessoria), quelle tracce rientrano nella congruità. Se invece deve smontare interi setti murari (demolizione strutturale), siamo in pieno ambito costruttivo.
L’art. 3 comma 2 del decreto 143/2021 specifica che per calcolare la congruità si considerano il valore totale dell’opera, il valore specifico dei lavori edili, l’identità del committente, e ovviamente se ci sono altri contraenti o subappaltatori. L’elemento chiave: vengono contate solo le ore di lavoro effettivamente svolte in cantiere, relative a interventi riconducibili all’edilizia.
Se un’azienda fornisce materiali da fuori cantiere, quella fornitura non entra nel calcolo, per quanto essenziale per la realizzazione dell’opera. Solo quello che si fa sul posto conta. Pertanto se una ditta vende e consegna i preassemblati dalle sue officine esterne, quella parte di costo non contribuisce al contatore di congruità. Conta invece l’installazione vera e propria, fatta sul cantiere con lavoratori dichiarati.
La verifica avviene confrontando le ore denunciate con 35 indici di congruità (più 4 sottocategorie), fissati dalle parti sociali. Se il cantiere raggiunge la percentuale minima di manodopera edile rispetto al valore dell’intervento, la verifica ha esito positivo e viene rilasciato il certificato.
Quando esattamente entra in gioco l’obbligo di iscrizione alle Casse
Qui sorge uno dei punti più dibattuti. La Cassazione è intervenuta, con un’ordinanza del maggio 2020, affermando che l’iscrizione alle Casse Edili vige solo per le imprese che concretamente si occupano prevalentemente di edilizia. Non è una questione formale; conta quello che l’azienda fa davvero, non come è classificata dalle autorità.
Di conseguenza, per un’impresa che opera soprattutto nel settore metalmeccanico, anche se realizza saltuariamente lavori edili, non scatta l’obbligo d’iscrizione alla Cassa. Lo scopo dell’iscrizione — alimentare un fondo previdenziale specifico del comparto — non ha senso per chi non è principalmente un costruttore.
Ma qui arriviamo al punto sensibile: anche senza essere iscritti, un’azienda non edile rimane obbligata a rispettare le verifiche di congruità per i lavori edili che eventualmente fa. È una funzione che le Casse Edili esercitano in modo autonomo rispetto all’iscrizione, per controllare che all’interno di un appalto edile la manodopera sia effettivamente presente e regolarizzata.
Conseguenza pratica: una ditta di sistemi di automazione che installa impianti intelligenti nelle costruzioni dovrà richieder il DURC di congruità se il valore dell’intervento supera 70.000 euro e se ci sono lavorazioni classificabili come edili. Ma non dovrà iscriversi alla Cassa. Dovrà eventualmente pagare i costi amministrativi per il rilascio della certificazione, ma nulla più.
Tempi e modalità della verifica
Gli appalti pubblici vedono la richiesta del certificato al termine dell’ultimo stato di avanzamento lavoro, prima del pagamento del saldo. Negli appalti privati, la richiesta avviene al termine dell’intervento, sempre prima del saldo.
I responsabili del procedimento sono diversi a seconda della tipologia. Negli appalti pubblici, il responsabile del progetto. Negli appalti privati, il direttore dei lavori oppure, se non nominato, il committente stesso. A loro spetta verificare che le ore denunciate in cantiere rispetto ai costi siano proporzionate e congrue.
Se la verifica ha esito positivo, viene rilasciata l’attestazione e i lavori possono considerarsi tecnicamente conclusi dal punto di vista amministrativo. In caso contrario, inizia una procedura di sanatoria.
Cosa succede se la congruità non viene raggiunta
La Cassa Edile, accertato l’esito negativo, invita l’azienda a regolarizzare la posizione. Entra così un termine di 15 giorni durante il quale l’impresa ha due opzioni principali.
La prima: versare alla Cassa importi aggiuntivi corrispondenti a quanto manca per raggiungere la percentuale minima di congruità. Se lo fa entro i 15 giorni, la certificazione viene rilasciata lo stesso, con il debito sanato.
La seconda: modificare le dichiarazioni delle ore di manodopera se sono state commesse errori. A volte una ditta dimentica di dichiarare correttamente tutte le ore lavorate in cantiere; può contattare la Cassa per correggere il dato. Se la correzione porta la congruità a livelli accettabili, il problema si risolve.
Se nulla di tutto questo accade — i 15 giorni passano senza versamenti e senza correzioni significative — scatta l’iscrizione della ditta alla BNI, la Banca Nazionale delle Imprese Irregolari. Quel registro, gestito dalle Casse Edili, crea automaticamente esiti negativi in tutte le future verifiche di regolarità contributiva (il DURC ordinario). Praticamente, l’azienda si ritrova bloccata dall’accesso a qualsiasi appalto edile finché non risolve.
È una conseguenza severa, e per questo motivo è fondamentale non sottovalutare la congruità durante la gestione di un cantiere.
Errori comuni e come evitarli
Molte controversie nascono da errori nella dichiarazione iniziale. Un’impresa denuncia ore che non risultano poi proporzionate ai versamenti contributivi effettivi. Oppure miscela attività edili con attività non edili senza separarle correttamente nel calcolo.
La soluzione è affidare il calcolo della congruità a professionisti che conoscono gli indici ministeriali aggiornati. Dal 9 maggio 2024, gli indici sono stati rivisti e integrati nel sistema EdilConnect; consultarli è indispensabile prima di presentare la denuncia.
Altro errore: confondere l’inizio attività (Dnl) con l’inizio cantiere effettivo. La denuncia deve allineati ai tempi reali di lavoro. Se un cantiere parte a gennaio ma la Dnl viene presentata a marzo, l’intera documentazione di congruità dovrà riflettere l’effettivo periodo di attività.
Infine, e non è cosa da poco, occorre verificare se l’appalto comprende davvero elementi edili. Un appalto di sola manutenzione impianti, se circoscritto a interventi non strutturali e non rientranti nel CCNL edilizia, potrebbe non essere soggetto a congruità. Ma è questione su cui è opportuno chiedere pareri, non decidere in autonomia.
Un sistema che funziona se ben compreso
Il DURC di congruità non è uno strumento punitivo fine a se stesso. È nato per combattere il lavoro nero e irregolare, per assicurare che chi realizza opere costruttive lo faccia con personale dichiarato e coperto da assicurazione. In un settore dove lo sfruttamento lavorativo è sempre stato radicato, la verifica della congruità rappresenta un presidio concreto.
Quello che cambia dal chiarimento ministeriale di ottobre è che l’onere ricade su tutte le aziende senza eccezione. Non è più possibile per una ditta non edile pensare di realizzare componenti costruttive senza sottoporsi al controllo. Le Casse Edili dovranno verificare sempre, indipendentemente dal settore di appartenenza dell’azienda. E questo, paradossalmente, semplifica le cose: le regole sono uguali per tutti, non ci sono zone grigie.
L’importante è prepararsi adeguatamente, conoscere gli indici di congruità applicabili al proprio cantiere, dichiarare le ore effettivamente lavorate, versare i contributi con tempestività, e affidarsi a chi ha le competenze per gestire la procedura. Così si trasforma un obbligo amministrativo in una semplice questione di organizzazione e trasparenza.



