L’Agenzia delle Entrate sta intensificando i controlli sui titolari di partita IVA che applicano il regime forfetario. Spesso le verifiche nascono da incongruenze sui requisiti dimensionali o da anomalie rilevate attraverso i flussi informativi bancari. Quando il contribuente perde il diritto a questo regime agevolato, possono emergere profili di rilevanza penale, specialmente sul fronte IVA.
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🕒 Cosa sapere in un minuto
Le soglie del regime forfetario
- Limite ricavi/compensi per restare nel regime: 85.000 euro annui
- Decadenza immediata se si superano: 100.000 euro nello stesso anno
- Imposta sostitutiva applicata: 15% (o 5% per i primi cinque anni)
Quando scatta la decadenza
- Superamento 85.000-100.000 euro: uscita dal regime l’anno successivo
- Superamento 100.000 euro: decadenza immediata nello stesso anno
- Obbligo di applicare IVA e presentare dichiarazione dall’anno di decadenza
Rischi penali
- Omessa dichiarazione IVA: soglia penale 50.000 euro di imposta evasa (art. 5 D.Lgs. 74/2000)
- Pena prevista: reclusione da 2 a 5 anni
- Dichiarazione infedele sui redditi: difficilmente configurabile se i ricavi sono stati comunque dichiarati
Differenza tra superamento soglie e accertamento
- Superamento volontario: rischio penale solo per omessa dichiarazione IVA
- Maggiori ricavi accertati: possibile configurazione di dichiarazione infedele se si superano 100.000 euro di imposta evasa
- Sanzioni amministrative: dal 90% al 180% dell’imposta evasa
Strumenti di controllo dell’Agenzia
- Comunicazioni bancarie (art. 11 DL 201/2011): saldi iniziali e finali conti correnti
- Incrocio dati con dichiarazioni fiscali per individuare incongruenze
- Controlli mirati su anomalie dimensionali e requisiti di accesso al regime
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I controlli si fanno più serrati
Non è un caso che negli ultimi mesi si stiano moltiplicando le ispezioni su chi beneficia del regime introdotto dalla Legge 190/2014. L’amministrazione finanziaria incrocia i dati delle dichiarazioni con le comunicazioni che arrivano dagli istituti di credito, previste dal DL 201/2011. Questi flussi rivelano le giacenze iniziali e finali sui conti correnti, e spesso fanno emergere discrepanze rispetto ai ricavi dichiarati. La disponibilità di strumenti sempre più sofisticati ha reso più facile individuare chi applica il regime senza averne diritto.
Le soglie da rispettare per il forfetario
Il regime forfetario si applica alle persone fisiche che esercitano attività d’impresa, arti o professioni. Per restare nel regime nel 2025 occorre non aver superato nell’anno precedente gli 85.000 euro di ricavi o compensi. Questa soglia, va detto, è stata innalzata proprio dalla Legge 197/2022 (la Finanziaria 2023), mentre prima il tetto era fissato a 65.000 euro.
Chi può accedere al forfetario gode di vantaggi non indifferenti. Sul fronte delle imposte dirette, non si applicano le aliquote IRPEF ordinarie ma un’imposta sostitutiva con aliquota del 15%, o addirittura del 5% per i primi cinque anni di attività in presenza di determinati requisiti. Il reddito imponibile viene calcolato applicando ai ricavi dichiarati un coefficiente di redditività che varia in base al codice ATECO.
Sul versante IVA, poi, il contribuente forfetario non addebita l’imposta in fattura, anche se resta obbligato a emettere le fatture e conservarle. Non presenta la dichiarazione IVA annuale, il che rappresenta una semplificazione amministrativa significativa.
Quando si esce dal regime agevolato
Secondo quanto prevede il comma 71 dell’articolo 1 della Legge 190/2014, il regime cessa di produrre effetti dall’anno successivo a quello in cui viene meno una delle condizioni previste per l’accesso oppure si verifica una causa di esclusione. Esiste però una fattispecie particolare: se i ricavi o compensi percepiti superano i 100.000 euro, la decadenza opera nell’anno stesso in cui si verifica lo sforamento.
Facciamo un esempio concreto. Mettiamo che un professionista applichi il forfetario negli anni 2023, 2024, 2025 e 2026. Se nel 2025 consegue compensi per 92.000 euro (quindi oltre la soglia degli 85.000 euro ma sotto i 100.000 euro), cosa succede? Per quell’anno continua a essere tassato con l’imposta sostitutiva del 15% calcolata sui 92.000 euro. Ma dall’anno successivo, il 2026, salta il regime forfetario. Dovrà applicare le aliquote IRPEF ordinarie e riemergeranno tutti gli obblighi IVA: fatture con imposta, versamenti periodici, dichiarazione annuale.
Vale la pena ricordare che la decadenza immediata per superamento dei 100.000 euro è stata introdotta dalla già citata Legge 197/2022. Prima di quella riforma, si decadeva sempre dall’anno successivo, a prescindere dall’entità dei ricavi conseguiti o accertati.
Il rischio penale: omessa dichiarazione IVA
Qui la questione si fa delicata. Prendiamo il caso di un contribuente che nel 2026 continui ad applicare il regime forfetario pur non avendone più diritto (perché nell’anno precedente aveva superato gli 85.000 euro). Sul piano del diritto penale tributario, quali reati potrebbero configurarsi?
Per quanto riguarda le imposte dirette, difficilmente si integra il reato di dichiarazione infedele previsto dall’articolo 4 del D.Lgs. 74/2000, anche se si supera la soglia dei 100.000 euro di imposta evasa. Il motivo sta nel fatto che la dichiarazione infedele presuppone l’omessa indicazione di elementi attivi nella dichiarazione dei redditi. Nel nostro caso, invece, il contribuente ha dichiarato i ricavi o compensi, anche se nel quadro sbagliato (il quadro LM invece del corretto quadro RF/RG o RE). Gli elementi reddituali, insomma, sono stati dichiarati.
Diverso è il discorso per l’IVA. Se l’imposta evasa supera i 50.000 euro, potrebbe configurarsi il reato di omessa dichiarazione IVA previsto dall’articolo 5 del D.Lgs. 74/2000. La condotta penalmente rilevante consiste proprio nell’omessa presentazione della dichiarazione, che il contribuente era tenuto a presentare una volta fuoriuscito dal regime agevolato. Si tratta di un reato omissivo che scatta quando non viene compiuta un’azione dovuta.
Cosa cambia con i maggiori ricavi accertati
Le considerazioni devono essere diverse quando il disconoscimento del regime deriva non da un superamento volontario delle soglie, ma da maggiori ricavi o compensi accertati dall’Agenzia delle Entrate. Torniamo all’esempio precedente. Se nel 2025 l’amministrazione finanziaria accerta maggiori compensi rispetto a quelli dichiarati, questi verranno comunque tassati applicando l’imposta sostitutiva sui medesimi, mentre dal 2026 in poi si applicano le aliquote ordinarie.
Per l’anno 2025 si applicherà la sanzione da dichiarazione infedele proporzionale sull’imposta sostitutiva non versata, che va dal 90% al 180% dell’imposta ai sensi dell’articolo 1 del D.Lgs. 471/97 (nella versione ante D.Lgs. 87/2024, che ha modificato il sistema sanzionatorio).
Per l’anno 2026, invece, le sanzioni si moltiplicano. Prima di tutto, la sanzione per dichiarazione dei redditi infedele dal 90% al 180% delle imposte (IRPEF e addizionali) calcolate con le aliquote ordinarie. Poi la sanzione da omessa dichiarazione IVA dal 120% al 240% dell’imposta. E ancora, una sanzione dal 90% al 180% dell’IVA per l’omessa fatturazione secondo l’articolo 6 del D.Lgs. 471/97.
Se anche nel 2026 vengono accertati maggiori ricavi, il delitto di dichiarazione infedele potrebbe integrarsi al superamento delle soglie previste dall’articolo 4 del D.Lgs. 74/2000, che fissa il limite di punibilità in 100.000 euro di imposta evasa. Per i ricavi non dichiarati si configura la condotta penalmente rilevante consistente nell’omessa indicazione di elementi attivi.
Un caso pratico: società di consulenza
Consideriamo una società di consulenza informatica gestita da un professionista in regime forfetario. Nel 2024 dichiara compensi per 78.000 euro e applica regolarmente l’imposta sostitutiva. Nel 2025 i compensi salgono a 96.000 euro, sempre in regime forfetario. Il professionista applica correttamente l’imposta sostitutiva sui 96.000 euro, ma dal 2026 deve passare al regime ordinario.
Se per dimenticanza o convinzione errata continua ad applicare il forfetario anche nel 2026, emettendo fatture senza IVA e dichiarando i compensi nel quadro LM, cosa rischia? Mettiamo che nel 2026 fatturi 110.000 euro. L’IVA che avrebbe dovuto applicare (ipotizzando aliquota ordinaria del 22%) sarebbe di circa 24.200 euro. Non raggiunge la soglia penale dei 50.000 euro per l’omessa dichiarazione IVA, ma dovrà comunque affrontare le sanzioni amministrative per omessa fatturazione e omessa dichiarazione.
Se invece i compensi 2026 fossero stati 250.000 euro, l’IVA evasa supererebbe abbondantemente i 50.000 euro, configurando il reato penale. Il professionista rischierebbe la reclusione da 2 a 5 anni prevista per l’omessa dichiarazione IVA.
Il rischio remoto per l’anno dello sforamento
Va segnalato che anche per l’anno in cui si verifica il superamento della soglia (nell’esempio, il 2025 con 96.000 euro) esiste teoricamente un rischio penale, ma si tratta di un rischio estremamente remoto. Applicandosi comunque l’aliquota sostitutiva del 15%, sarebbe molto difficile superare la soglia di punibilità dei 100.000 euro di imposta evasa prevista per la dichiarazione infedele. Facendo i conti, con l’aliquota del 15% bisognerebbe avere ricavi non dichiarati per oltre 665.000 euro, una cifra decisamente poco compatibile con un’attività in regime forfetario.
Le verifiche bancarie come elemento di rischio
Un aspetto che merita attenzione riguarda proprio i controlli basati sui dati bancari. Le comunicazioni previste dall’articolo 11 del DL 201/2011 forniscono all’amministrazione finanziaria un quadro dettagliato dei movimenti finanziari. Se un contribuente dichiara ricavi per 70.000 euro ma sul suo conto corrente transitano 140.000 euro di incassi, l’incongruenza diventa evidente. Questi elementi possono far scattare verifiche approfondite che portano al disconoscimento del regime e all’accertamento di maggiori ricavi.
Sanzioni e ravvedimento
Chi si accorge di aver applicato indebitamente il regime forfetario può ricorrere al ravvedimento operoso per ridurre le sanzioni amministrative, sempre che non siano già iniziate attività di controllo. Per la parte penale, invece, la situazione è più complessa. Il pagamento del debito tributario prima dell’apertura del dibattimento costituisce una circostanza attenuante che riduce la pena fino alla metà ed esclude le pene accessorie, ma non elimina la rilevanza penale del fatto.
Le novità della riforma fiscale 2025
La Legge di Bilancio 2025 ha introdotto alcune modifiche rilevanti. La soglia di reddito da lavoro dipendente che preclude l’accesso al regime forfetario è salita da 30.000 a 35.000 euro. Questo ampliamento consente a più contribuenti di beneficiare del regime agevolato, ma non incide sulla disciplina della decadenza per superamento dei limiti di ricavi.
Inoltre, il D.Lgs. 87/2024 ha modificato il sistema sanzionatorio penale, spostando in avanti il momento consumativo del reato di omesso versamento IVA al 31 dicembre dell’anno successivo a quello di presentazione della dichiarazione (anziché al termine per il versamento dell’acconto). Questo intervento amplia i tempi per regolarizzare la posizione ed evitare conseguenze penali.
Conclusioni operative
La fuoriuscita dal regime forfetario richiede particolare attenzione sul fronte degli obblighi IVA. Chi supera la soglia degli 85.000 euro deve attivarsi tempestivamente per applicare l’IVA dall’anno successivo, presentare le dichiarazioni e versare l’imposta. Il rischio di incorrere in sanzioni penali per omessa dichiarazione IVA è concreto quando l’imposta evasa supera i 50.000 euro. Una corretta gestione del passaggio al regime ordinario, con l’ausilio di un professionista esperto, è fondamentale per evitare conseguenze gravi sia sul piano amministrativo che penale.



