Dal 1° gennaio 2026, per molti incentivi fiscali sotto forma di credito d’imposta non “istruiti” dall’amministrazione, l’accesso non sarà più davvero automatico: la fruizione passa da una comunicazione preventiva obbligatoria, seguita da una comunicazione di completamento. È una delle scelte più operative del DLgs. 27 novembre 2025 n. 184, il cosiddetto Codice degli incentivi, pubblicato in Gazzetta Ufficiale il 10 dicembre 2025, che riscrive le regole generali degli incentivi alle imprese e, in parte, anche ai lavoratori autonomi.
Il Codice degli incentivi e l’idea di fondo
Il Codice degli incentivi nasce in attuazione dell’art. 3, commi 1 e 2, lett. b), della L. 160/2023 e mira a mettere ordine: una cornice unica per principi, procedimenti e strumenti tecnici che accompagnano la richiesta e la gestione degli incentivi. Sul tavolo finiscono misure molto diverse tra loro, da quelle a fondo perduto alle garanzie, dai finanziamenti agevolati agli interventi nel capitale di rischio, fino alle agevolazioni fiscali e contributive.
Detto così sembra astratto, però la ricaduta pratica è semplice: dove prima le regole erano spesso “a compartimenti stagni”, il Codice prova a imporre una grammatica comune. E in questa grammatica rientra anche un tema delicato, quello del controllo della spesa pubblica quando gli incentivi sono crediti d’imposta.
Quando il Codice non si applica e la prima ambiguità
Il testo chiarisce un punto che, letto di fretta, può confondere: in generale, il Codice non si applica agli incentivi fiscali che non prevedono attività istruttorie valutative, compresi quelli in cui i controlli si limitano a verificare il rispetto del plafond di risorse stanziate. Per questi, continua a valere la “disciplina di settore”.
Poi però arriva la precisazione che cambia la prospettiva: per gli incentivi fiscali sotto forma di crediti d’imposta, dal 2026 scatta comunque una disciplina specifica, anche quando manca un’istruttoria vera e propria. È qui che si innesta la novità della comunicazione preventiva.
Crediti d’imposta dal 2026: comunicazione preventiva obbligatoria
L’art. 19 del DLgs. 184/2025 introduce una disciplina ad hoc per incentivi fiscali e contributivi, applicabile agli incentivi istituiti con legge successiva all’entrata in vigore del Codice. La data, in concreto, è il 1° gennaio 2026.
Per i crediti d’imposta “senza istruttoria”, la regola è netta (salvo che la legge speciale disponga diversamente): prima di iniziare a fruire del credito, il richiedente deve trasmettere al soggetto competente una comunicazione preventiva con:
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l’ammontare complessivo delle agevolazioni che intende utilizzare;
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la ripartizione presunta per anni della fruizione;
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e, in seguito, le ulteriori comunicazioni richieste dalla disciplina dell’incentivo, dopo il sostenimento delle eventuali spese agevolate.
Il messaggio, in sostanza, è che l’automatismo “puro” tende a sparire: il credito d’imposta resta credito d’imposta, ma l’accesso passa per una sorta di prenotazione e poi per una conferma.
Un esempio pratico per capire l’impatto operativo
Si consideri una nuova misura, istituita nel 2026, che riconosce un credito d’imposta per investimenti digitali fino a un certo limite di spesa pubblica complessiva. In passato, in scenari simili, molte imprese si sarebbero concentrate soprattutto sul rispetto dei requisiti oggettivi e sulla corretta contabilizzazione delle spese, confidando nell’utilizzo in compensazione.
Con la nuova impostazione, invece, il primo passaggio diventa “prenotare” la fruizione: l’impresa comunica in anticipo quanto credito intende usare e come lo spalmerà negli anni. Solo dopo, una volta sostenute le spese, invia la comunicazione di completamento con i dati richiesti dalla misura.
Il punto non è solo procedurale. Cambia anche la gestione interna: budget, cash flow e tempistiche di compensazione dovranno essere coerenti con quanto comunicato. E se si sbaglia previsione? Non è detto che sia un dramma, ma nella prassi ogni scostamento potrebbe richiedere rettifiche e riallineamenti.
Aiuti di Stato e de minimis: prima la registrazione nei registri
Il Codice dedica un passaggio anche alla “messa in moto” degli incentivi che costituiscono aiuti di Stato o che rientrano nel de minimis. In tali casi, l’attivazione è subordinata alla registrazione del regime di aiuto nel Registro nazionale degli aiuti di Stato (RNA) e nei registri SIAN e SIPA.
Operativamente significa che, oltre ai requisiti dell’incentivo, si aggiunge un prerequisito amministrativo esterno all’impresa: senza la registrazione del regime, l’agevolazione non parte. È un passaggio che sembra “di sistema”, ma può incidere sui tempi, soprattutto nei primi mesi di vita di una misura nuova.
Delocalizzazione degli investimenti: decadenza e vincoli temporali
Tra le norme più incisive del Codice c’è la disciplina della delocalizzazione degli investimenti incentivati (art. 16). Il perimetro è chiaro: incentivi concessi per investimenti localizzati in Italia e trasferimento dell’attività economica (o di una sua parte) dal sito incentivato verso altri siti.
Se la delocalizzazione avviene verso un’altra unità produttiva situata in Italia, nell’Unione europea o nello Spazio economico europeo, la decadenza dalle agevolazioni si verifica in due casi:
I) quando l’incentivo era legato a una specifica area del territorio nazionale e lo spostamento porta l’attività fuori dall’area ammissibile;
II) quando la delocalizzazione avviene prima di 5 anni dal completamento dell’investimento.
Se invece la delocalizzazione va verso Stati extra UE o extra SEE, la regola diventa più severa: decadenza dalle agevolazioni fruite per l’investimento anche se l’incentivo non era “territorialmente vincolato”, quando lo spostamento avviene prima di 5 anni dal completamento (10 anni per le grandi imprese). E c’è un ulteriore effetto a catena: divieto di accesso ad altri incentivi per i successivi 5 anni (10 anni per le grandi imprese) dalla data dell’operazione.
Comunicazione 90 giorni prima e conseguenze sul lavoro
Il Codice non si limita a dire “se delocalizzi perdi l’incentivo”. Introduce anche un obbligo di comunicazione: l’impresa deve informare il MIMIT e il Ministero del Lavoro almeno 90 giorni prima dell’avvio dell’operazione (180 giorni per le grandi imprese).
E qui entra una conseguenza che molti sottovalutano, soprattutto in fase di riorganizzazione: in assenza della comunicazione, sono nulli i licenziamenti individuali per giustificato motivo oggettivo e i licenziamenti collettivi relativi all’unità produttiva interessata.
In pratica, la compliance sugli incentivi si intreccia con la compliance lavoristica. Non è un dettaglio: la gestione del personale diventa parte integrante del rischio incentivo.
Cosa cambia per imprese e professionisti
Per chi assiste le imprese, il 2026 si annuncia come un anno in cui la parola chiave sarà tracciabilità procedurale. La comunicazione preventiva sui crediti d’imposta istituiti dal 2026 obbliga a lavorare con maggiore anticipazione: non solo “fare bene” la spesa, ma anche pianificare e dichiarare il percorso di fruizione.
Per le imprese, la novità più concreta è che il credito d’imposta diventa meno “istantaneo” sul piano amministrativo. E, come spesso accade, il rischio non è tanto la norma in sé, quanto le frizioni: tempi di registrazione nei registri, finestre di invio delle comunicazioni, scostamenti tra previsione e utilizzo, coordinamento con i piani industriali.
A margine, ma non troppo, la disciplina sulla delocalizzazione spinge a presidiare la fase post investimento per anni, non per mesi. Il vincolo dei 5 anni (o 10 per le grandi imprese) non è una nota a piè di pagina: è un impegno che deve entrare nei contratti, nei piani di ristrutturazione e nelle decisioni su supply chain e siti produttivi.



