Dalla Camera dei deputati arriva una proposta normativa che punta direttamente al cuore delle piccole e medie imprese italiane. Si tratta di una misura pensata per incentivare il ricorso a figure dirigenziali esterne, qualificate e temporanee – i cosiddetti temporary manager – mediante il riconoscimento di agevolazioni fiscali. Depositata a giugno 2025 dall’onorevole Letizia Giorgianni e entrata in discussione commissione il 4 novembre, questa iniziativa vuole rispondere a una necessità concreta: fornire alle PMI accesso a competenze manageriali specializzate senza oneri permanenti, e al contempo valorizzare una categoria professionale che, per tradizione, accompagna la gestione aziendale italiana.
🕒 Cosa sapere in un minuto
- La proposta: Credito d’imposta per PMI che assumono dirigenti temporanei (temporary manager) per periodi specifici e progetti definiti.
- Chi può essere manager: Dottore commercialista iscritto con 3 anni di esperienza, oppure laureato magistrale in economia (max 35 anni) con 3 anni di esperienza manageriale.
- L’agevolazione fiscale: Credito pari al 30% della retribuzione annua (micro e piccole imprese) o al 20% (medie imprese), fruibile per massimo 3 anni consecutivi.
- I requisiti aziendali: L’impresa deve raggiungere incrementi EBITDA di almeno 5% al primo anno, 10% al secondo, 15% al terzo (asseverati da un commercialista).
- Vincoli contrattuali: Incarico minimo di 6 mesi con specifica delle attività, obiettivi e criteri di valutazione dei risultati. Il professionista non deve aver lavorato presso l’impresa nei 2 anni precedenti.
- La decadenza: Se l’impresa non raggiunge il target in un anno specifico, perde il credito solo per quell’anno e quelli successivi (non retroattivamente).
- Iter normativo: Proposta di legge n. 2474 (Giorgianni, FdI) in discussione commissione dal 4 novembre 2025.
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La figura del dirigente temporaneo nelle PMI
Nel nostro tessuto economico, dove le piccole e medie imprese rappresentano la spina dorsale del tessuto produttivo, spesso manca la possibilità di inserire risorse interne capaci di gestire momenti critici. Entra qui il temporary manager: un professionista qualificato che interviene per un periodo circoscritto al fine di supportare l’azienda in specifiche situazioni. Le circostanze che giustificano l’ingresso di una figura simile sono molteplici: una crisi finanziaria o organizzativa che richiede intervento esterno, una trasformazione aziendale significativa, oppure l’attuazione di un progetto particolare che necessita di expertise non disponibile internamente. La proposta normativa intende, dunque, regolamentare in maniera organica questa categoria professionale e riconoscerne il valore tramite uno strumento fiscale.
Chi può essere identificato come temporary manager
La proposta non lascia spazio all’improvvisazione: chi desidera ricoprire questo ruolo deve possedere qualifiche precise e una solida esperienza di gestione. In concreto, il temporary manager può essere un dottore commercialista regolarmente iscritto all’ordine professionale. Deve aver maturato, nel corso della propria carriera, un’esperienza minima di tre anni – anche non continuativa – nello svolgimento di compiti amministrativi, direttivi o di controllo presso strutture aziendali. Di questi tre anni, almeno due incarichi devono collocarsi negli ultimi trentasei mesi, negli organi amministrativi o di controllo di imprese.
Accanto al commercialista, la legge riconosce anche il professionista in possesso di diploma di laurea magistrale in ambiti economico-aziendali – o curricula affini – purché non abbia superato il 35esimo anno di età. Per questa categoria, occorre aver esercitato funzioni amministrative, gestionali o di controllo presso imprese per una durata complessiva non minore a tre anni, senza tuttavia la richiesta di continuità temporale.
I vincoli che il candidato a manager temporaneo deve rispettare
Accanto alle qualifiche professionali, chiunque assuma l’incarico di dirigente temporaneo si trova sottoposto a una serie di limitazioni pensate per scongiurare conflitti di interesse. In primo luogo, non deve aver mantenuto, nei venticinque mesi antecedenti la nomina, alcuna tipologia di rapporto di dipendenza verso l’impresa che lo chiama. Questa regola serve a garantire che la figura resti effettivamente esterna e non rappresenti una forma dissimulata di inquadramento interno.
Inoltre, il professionista non può intrattenere legami di parentela, fino al secondo grado di consanguineità o affinità, con i soci, gli amministratori o i proprietari dell’azienda. Una protezione ulteriore riguarda i profili deontologico-penali: occorre non aver subito condanne penali, né trovarsi coinvolti in procedimenti penali per reati che renderebbero incompatibili l’esercizio di funzioni amministrative e di gestione. Questi accorgimenti mirano a circondare la figura di garanzie di indipendenza e correttezza.
I vincoli contrattuali e documentali della nomina
La relazione di incarico tra impresa e temporaneo manager non può avere durata inferiore a sei mesi – è un principio che la legge enfatizza con chiarezza. All’interno del contratto, a pena di nullità, devono figurare esplicitamente le attività che il dirigente si impegna a svolgere, gli obiettivi che l’azienda intende raggiungere e le modalità secondo cui verranno valutati i risultati conseguiti. Non si tratta di dettagli formali secondari: la chiarezza iniziale sui compiti e sugli esiti attesi rappresenta il fondamento stesso della relazione.
L’agevolazione fiscale riconosciuta: come funziona per ciascuna categoria
Il beneficio centrale della proposta consiste in un credito d’imposta diretto verso coloro che ricorrono a questa risorsa professionale. L’importo dell’agevolazione varia in funzione della dimensione aziendale: le microimprese e le piccole imprese conseguono un credito pari al 30 per cento della remunerazione annua complessiva erogata al temporary manager, mentre le imprese di medie dimensioni beneficiano di un credito al 20 per cento. La base di calcolo è la retribuzione totale annuale percepita dal dirigente per ogni esercizio fiscale.
Un elemento rilevante è che l’agevolazione non si esaurisce in un anno singolo. L’impresa, infatti, potrà fruire del credito d’imposta per massimo tre esercizi consecutivi, con la possibilità di mantenere il vantaggio economico lungo un arco temporale più ampio, a condizione – come vedremo – che determinate soglie prestazionali siano raggiunte.
I target di crescita che l’azienda deve conseguire
Qui arriviamo al cuore della logica della proposta: l’agevolazione fiscale non è automatica, ma condizionata al raggiungimento di specifici risultati aziendali. L’indicatore su cui si concentra l’attenzione è l’EBITDA (utile lordo prima di interessi, tasse, ammortamenti), ossia quella misura che fotografa la capacità di un’impresa di generare profittabilità ordinaria. L’azienda deve calcolare l’incremento di tale indicatore rispetto all’esercizio che precede direttamente la nomina del manager temporaneo.
I target sono progressivi negli anni. Al termine del primo anno di incarico, l’EBITDA deve crescere di almeno il 5 per cento. Se l’impresa persevera nel secondo anno, deve conseguire un incremento di almeno il 10 per cento. Infine, nel terzo anno (qualora prosegua l’incarico), occorre raggiungere un incremento minimo del 15 per cento. Questi numeri rappresentano sia uno stimolo alla performance sia una forma di verifica dell’effettivo valore generato dal dirigente temporaneo.
La verifica tecnica e il ruolo del professionista esterno
Affinché l’Amministrazione possa controllare il raggiungimento di questi parametri, la legge prevede un meccanismo di asseverazione. Un dottore commercialista – distinto da colui che eventualmente svolge il ruolo di manager temporaneo – dovrà attestare gli incrementi di EBITDA conseguiti. La relazione sottoscritta da questo professionista indipendente va allegata alla dichiarazione dei redditi dell’impresa per ciascun anno in cui si intende beneficiare dell’agevolazione.
Tale passaggio amministrativo, sebbene possa sembrare formale, riveste una funzione cruciale: garantisce trasparenza verso il fisco, riduce il margine di contestazione e fornisce all’impresa stessa una certificazione della bontà degli accadimenti economici conseguiti durante la gestione temporanea.
La decadenza dall’agevolazione: quando e come il beneficio viene perso
Un profilo di notevole rilevanza riguarda le conseguenze del mancato raggiungimento dei target. Diversamente da quanto potrebbe sembrare intuitivo, la perdita dell’agevolazione non è “globale” e retroattiva. Piuttosto, l’esclusione dal credito d’imposta avviene unicamente per l’esercizio in cui il target non sia stato raggiunto. Concretamente, se nel primo anno l’impresa centri l’incremento del 5 per cento, nel secondo anno fallisca il 10 per cento e nel terzo raggiunga il 15 per cento, allora beneficerà del credito per il primo e il terzo esercizio, subendo l’esclusione solo per il secondo.
Questa logica “anno per anno” rappresenta un temperamento equilibrato: non punisce in modo sproporzionato le difficoltà contingenti di un singolo periodo, ma nello stesso tempo condiziona il beneficio al raggiungimento effettivo delle soglie. L’impresa che, nel primo anno, non raggiunga neppure il 5 per cento rimarrà esclusa dal credito per il secondo e il terzo anno, poiché la sequenza è interrotta.
Perché questa misura è rilevante per il nostro sistema di imprese
Guardando al quadro più ampio, la proposta risponde a questioni strutturali del tessuto imprenditoriale italiano. Il passaggio generazionale continua a essere un momento fragile: ricerche recenti indicano che soltanto il 13 per cento delle aziende familiari giunge sino alla terza generazione, mentre circa il 30 per cento interrompe l’attività in concomitanza con il cambio di proprietà. Meno della metà delle aziende, addirittura solo il 18 per cento circa, possiede un piano di successione strutturato.
In questo contesto, l’ingresso di un manager esterno, temporaneo ma qualificato, può rappresentare un elemento di continuità e di accelerazione verso il nuovo assetto gestionale. Analogamente, per le imprese che affrontano trasformazioni digitali, ristrutturazioni, processi di internazionalizzazione o transizioni ecologiche, la disponibilità di expertise manageriale specializzata – senza l’impegno economico permanente di un assunzione – si rivela un’opportunità concreta.
Implicazioni strategiche e profili ancora da chiarire
Il riconoscimento di questa figura, accompagnato da incentivi fiscali, rappresenta un segnale di valorizzazione nei confronti di una categoria professionale – i commercialisti in particolare – che storicamente affianca le imprese. Non si tratta soltanto di una misura di sostegno economico, bensì di un riconoscimento del ruolo strategico che tali figure possono giocare in momenti delicati della vita aziendale.
Rimangono tuttavia alcune questioni interpretative su cui la fase implementativa dovrà fornire chiarimenti. Ad esempio, le modalità di calcolo dell’EBITDA – se considerato a lordo o a netto di elementi straordinari, come accertamenti fiscali o asset disposal – potranno influenzare concretamente la fruibilità dell’agevolazione. Altrettanto rilevante sarà comprendere se il contratto di temporary manager possa essere rinnovato oltre il terzo anno e se, in tal caso, i tre anni di credito d’imposta possano proseguire o se sia previsto uno scadenzario definitivo.
La proposta, peraltro ancora in discussione parlamentare, rappresenta comunque un passo avanti verso una fiscalità più consapevole delle dinamiche imprenditoriali. Piuttosto che incentivare l’assunzione permanente, che non sempre corrisponde alle necessità aziendali, si riconosce il valore della flessibilità manageriale, accompagnandola con opportunità economiche concrete per chi la sa cogliere.



