La Suprema Corte, attraverso la sentenza n. 26273 del 27 settembre 2025, ha delineato con maggiore precisione i confini entro i quali i contribuenti possono operare compensazioni tra crediti agevolativi e acconti d’imposta. La questione affrontata dal Collegio tocca un tema ricorrente nella prassi applicativa: la possibilità di utilizzare crediti fiscali in scadenza per estinguere acconti calcolati con il metodo previsionale, quando questi risultino superiori a quanto effettivamente dovuto.
Le problematiche connesse all’utilizzo dei crediti di natura agevolativa – compresi quelli derivanti dalle comunicazioni di opzione per lo sconto in fattura o per la cessione del credito nell’ambito delle detrazioni edilizie – si manifestano principalmente quando tali crediti devono essere impiegati entro termini predeterminati. In molti casi il termine ultimo coincide con la chiusura del periodo d’imposta.
🕒 Cosa sapere in un minuto
- La Cassazione (sent. 26273/2025) chiarisce che la compensazione tra crediti agevolativi e acconti fiscali eccedenti è legittima solo in presenza di un debito d’imposta effettivo.
- Non basta versare un acconto previsionale se, alla data del versamento, il contribuente risulta avere già un credito; in tal caso l’acconto non è dovuto e la compensazione è illegittima.
- La sanzione applicabile per utilizzo di credito non spettante è del 25% (art. 13, c. 4, D.Lgs. 471/1997), diversa da quella per crediti inesistenti (70%).
- L’Agenzia delle Entrate ribadisce: nessun rimborso per acconti eccedenti e nessun effetto “trascinamento” oltre la scadenza del credito.
- L’uso del metodo previsionale va motivato da una reale situazione economica, non può essere strumento per “salvare” crediti in scadenza.
- Il recupero del credito può essere avviato entro il quinto anno per crediti non spettanti compensati indebitamente.
- Per evitare rischi e sanzioni, la compensazione dei crediti va sempre rapportata a veri debiti tributari, secondo fattori oggettivi e verificabili.
La ricostruzione della fattispecie esaminata
Nel caso sottoposto all’attenzione dei giudici di legittimità, si discuteva dell’utilizzo in compensazione di un credito d’imposta per aree svantaggiate. Il contribuente aveva proceduto al versamento di un acconto IVA di importo superiore a quanto sarebbe risultato secondo i criteri ordinari, allo scopo di impiegare un credito in via di scadenza.
La società aveva determinato l’acconto mediante il metodo previsionale, senza tuttavia rispettare i parametri stabiliti dall’art. 6, comma 2, della legge n. 405 del 1990. Come emerge dalla motivazione, alla data del versamento la contribuente vantava già un credito IVA di Euro 149.207, circostanza che avrebbe dovuto escludere qualsiasi obbligo di versamento in acconto.
Il principio di effettività del debito tributario
Secondo quanto statuito dalla Cassazione, la compensazione risulta ammissibile soltanto quando sussiste un debito d’imposta effettivo. Non è sufficiente, pertanto, la mera formalità del versamento di un acconto calcolato con metodo previsionale.
La Corte ha richiamato un precedente significativo, l’ordinanza dell’11 ottobre 2017, n. 23814. In quella occasione i giudici avevano affermato che la determinazione del debito tributario mediante il metodo previsionale deve tenere conto della concreta situazione economica del soggetto passivo. Quest’ultimo – occorre precisarlo – resta tenuto a dimostrare la ragionevole sostenibilità della previsione formulata.
Il parametro di riferimento non può essere costituito da debiti fiscali immaginari o privi di fondamento nella realtà economica dell’impresa. La compensazione operata per estinguere acconti “non dovuti” si configura come illegittima, pur rimanendo distinta dalle ipotesi di compensazione di crediti inesistenti.
Qualificazione della fattispecie e conseguenze sanzionatorie
La distinzione operata dalla giurisprudenza di legittimità tra crediti inesistenti e crediti non spettanti produce riflessi significativi sotto diversi profili. La problematica non attiene all’esistenza o alla spettanza del credito utilizzato in compensazione, quanto piuttosto alla corretta individuazione del debito da estinguere nella sua effettiva consistenza.
Trattandosi di credito non spettante (e non di credito inesistente), l’amministrazione finanziaria deve notificare l’avviso di recupero entro il 31 dicembre del quinto anno successivo a quello in cui è avvenuta la compensazione indebita. Non opera, dunque, il termine ordinario dell’ottavo anno previsto dall’art. 38-bis, comma 1, lett. c) del D.P.R. n. 600 del 1973 per i crediti inesistenti.
Sul versante sanzionatorio, si applica la misura del 25% contemplata dall’art. 13, comma 4, del D.Lgs. n. 471 del 1997 per l’indebita compensazione di credito non spettante. La sanzione risulta sensibilmente inferiore rispetto al 70% previsto per le compensazioni di crediti inesistenti.
Il recupero del credito e i limiti temporali
La compensazione indebita determina l’obbligo di recupero del credito, specialmente nell’ipotesi in cui questo non possa più essere utilizzato per il decorso dei termini stabiliti dalla normativa istitutiva del credito d’imposta. La questione assume particolare rilevanza nella prassi applicativa.
Si consideri che molti crediti agevolativi possono essere impiegati esclusivamente entro specifiche finestre temporali. L’utilizzo in compensazione per estinguere acconti eccedenti rispetto al dovuto può precludere definitivamente la possibilità di recuperare tale beneficio fiscale.
L’orientamento dell’amministrazione finanziaria
L’Agenzia delle Entrate si è pronunciata sulla materia con la risposta a interpello del 10 gennaio 2023, n. 8. In tale documento viene precisato che non sussiste una preclusione legislativa al versamento dell’acconto calcolato con il metodo previsionale, anche qualora l’ammontare superi quanto dovuto utilizzando il metodo storico.
Tuttavia – e qui emerge un profilo di criticità – nella parte conclusiva della risposta l’amministrazione chiarisce che in nessun caso il versamento dell’acconto eccedente potrà consentire il rimborso della relativa imposta. Analogamente, viene escluso qualsiasi “effetto trascinamento” che permetta di utilizzare il credito impiegato per il pagamento oltre il termine previsto.
La soluzione interpretativa riguardava specificamente gli acconti delle imposte sui redditi determinati secondo il metodo previsionale, ma appare estensibile anche all’acconto IVA. La ratio sottesa alla posizione dell’amministrazione si fonda sulla necessaria corrispondenza tra credito compensato e debito effettivo.
Metodo previsionale e sostenibilità della previsione
L’utilizzo del metodo previsionale per la determinazione degli acconti comporta una responsabilità del contribuente nella formulazione della stima. La previsione deve trovare giustificazione nella situazione economica concreta dell’impresa, non può essere utilizzata come mero strumento per impiegare crediti in scadenza.
Nella casistica esaminata dalla giurisprudenza emerge frequentemente una distorsione nell’applicazione del metodo previsionale. Mentre ordinariamente tale metodo viene impiegato per versare un acconto inferiore rispetto a quello calcolato con il metodo storico, nel caso di specie si assiste al fenomeno opposto: la determinazione di un acconto di entità superiore, strumentale alla compensazione di crediti prossimi alla scadenza.
Riflessioni conclusive sulla portata applicativa
Il principio enunciato dalla Cassazione con la sentenza n. 26273/2025, pur riferendosi al credito d’imposta per aree svantaggiate, manifesta una portata generale estensibile ai crediti di natura agevolativa. Come spesso accade nella giurisprudenza tributaria, l’affermazione di un principio in un caso specifico tende a irradiarsi su fattispecie analoghe.
Gli operatori devono prestare particolare attenzione nella gestione dei crediti soggetti a termini di utilizzo. La tentazione di “salvare” un credito in scadenza attraverso compensazioni con acconti sovrastimati espone il contribuente al rischio di recupero e sanzioni. La compensazione resta legittima soltanto quando corrisponde all’estinzione di un debito tributario effettivo, determinato secondo criteri ragionevoli e verificabili.