Chi deve versare l’imposta municipale sulla casa familiare quando i figli del genitore assegnatario hanno superato la maggiore età? La questione divide Comuni e contribuenti, con un contenzioso che si allarga tra pronunce giurisprudenziali contrastanti e interpretazioni normative divergenti. Il saldo 2025 dell’IMU riaccende il dibattito su una delle problematiche più spinose della fiscalità immobiliare post-separazione.
🕒 Cosa sapere in un minuto
Questione principale: Chi paga l’IMU sulla casa familiare assegnata all’ex coniuge quando i figli sono maggiorenni? Il dibattito oppone Comuni (che richiedono pagamento al proprietario se i figli sono autonomi) e contribuenti, supportati da giurisprudenza favorevole.
Normativa chiave: Art. 1, comma 741, L. 160/2019 equipara l’immobile ad abitazione principale per il genitore affidatario, indipendentemente dall’età dei figli (non solo minorenni). La Cassazione (ord. 19094/2005) e Corte Costituzionale (sent. 60/2024) confermano: l’assegnazione civile prevale, tassare il proprietario viola la capacità contributiva (art. 53 Cost.).
Giurisprudenza recente: Commissioni Tributarie (es. Milano 3176/07/2025, Genova 610/02/2025) accolgono ricorsi: esenzione vale finché l’assegnazione è attiva e i figli convivono non autosufficienti. Il genitore assegnatario deve risiedere nell’immobile (Cass. ord. 4303/2025).
Consigli pratici: Per saldo IMU 2025 (scadenza 16/12), impugna avvisi con copia del provvedimento giudiziale e certificati di residenza. Verifica autosufficienza figli e dimora effettiva per difese solide.
La disciplina dell’assegnazione e il quadro normativo
Secondo quanto previsto dall’articolo 1, comma 741 della legge 160/2019, la casa familiare viene equiparata all’abitazione principale quando vi risiede il genitore affidatario dei figli. Va però precisato che, nella prassi applicativa, molte amministrazioni comunali hanno sviluppato interpretazioni restrittive di questa previsione. Diverse realtà locali sostengono che l’esenzione spetterebbe unicamente in presenza di figli minorenni oppure, in subordine, di figli maggiorenni non economicamente autosufficienti.
La norma del 2019 aveva modificato il riferimento precedente che parlava di “coniuge assegnatario”, introducendo invece la figura del “genitore affidatario”. Questa modifica non era casuale: si voleva estendere la tutela anche alle situazioni di convivenza more uxorio con figli, superando il requisito del vincolo coniugale. Ma proprio questa riformulazione ha aperto spazi per letture contrastanti.
La tesi degli uffici comunali sulla necessità di minori
Numerosi Comuni hanno emesso avvisi di accertamento nei confronti di proprietari non assegnatari, sostenendo che al raggiungimento della maggiore età da parte dei figli venga meno il presupposto dell’esenzione. L’argomentazione si fonda su un’interpretazione letterale: se i figli sono maggiorenni e autonomi economicamente, non sussiste più l’esigenza di tutela che giustifica l’assegnazione.
Nella visione di questi uffici tributari, il passaggio alla maggiore età farebbe decadere automaticamente lo status di “genitore affidatario” ai fini fiscali, con conseguente traslazione dell’obbligazione tributaria dal coniuge assegnatario al proprietario dell’immobile. Va notato che questa lettura presuppone una verifica caso per caso sulla condizione economica dei figli, creando non poche difficoltà operative.
Il contrasto con i principi civilistici sull’assegnazione
Ma è davvero sostenibile questa tesi? L’articolo 337-quinquies del Codice civile disciplina l’assegnazione della casa familiare guardando all’interesse preminente dei figli. La giurisprudenza civile ha più volte chiarito che tale protezione non si arresta con il diciottesimo compleanno. Occorre infatti distinguere tra maggiore età anagrafica e vera autonomia economica.
La Cassazione, con l’ordinanza 19094/2005, aveva già evidenziato un principio rilevante: il raggiungimento della maggiore età da parte della prole costituisce circostanza del tutto estranea alla disciplina sull’assegnazione della casa familiare. Il provvedimento del giudice civile mantiene efficacia finché non viene modificato con una nuova decisione di pari rango. E qui si inserisce il nodo della questione, perché mentre civilmente l’assegnazione resta valida, fiscalmente i Comuni tentano di disapplicarla unilateralmente.
Casa assegnata all’ex: i principi della Corte Costituzionale
Una svolta significativa è arrivata dalla sentenza 60/2024 della Corte Costituzionale. Pur trattando un caso diverso – quello delle occupazioni abusive di immobili – la pronuncia ha sancito un principio applicabile per analogia. La Consulta ha dichiarato illegittimo pretendere l’IMU da chi è stato privato della disponibilità materiale del bene. Tassare chi non può godere dell’immobile viola il principio di capacità contributiva sancito dall’articolo 53 della Costituzione.
Nel caso della separazione, il coniuge proprietario non assegnatario si trova esattamente in questa situazione: un provvedimento giudiziale gli impedisce di utilizzare l’abitazione, che viene destinata all’ex con i figli. Come può un soggetto essere chiamato a pagare un’imposta patrimoniale su un bene del quale non ha il godimento effettivo? La risposta della Corte lascia poco spazio a dubbi: non può, perché manca la manifestazione di capacità contributiva.
Le pronunce delle commissioni tributarie
Le Commissioni di Giustizia Tributaria di diverse città hanno cominciato ad accogliere i ricorsi presentati dai contribuenti. Milano, con la sentenza 3176/07/2025, ha ribadito che nessuna disposizione subordina la soggettività passiva del genitore assegnatario all’età dei figli. La legge parla genericamente di “figli”, senza operare distinzioni tra minorenni e maggiorenni.
Anche Genova, con la decisione 610/02/2025, si è espressa in termini analoghi. Se il figlio maggiorenne convive ancora con il genitore assegnatario e non è economicamente autosufficiente, l’assegnazione mantiene piena valenza sia civilistica che tributaria. Bologna e Padova hanno seguito la medesima linea interpretativa nelle sentenze 174/02/2025 e 142/02/2024.
Questi orientamenti convergono su un punto: spetta all’autorità giudiziaria, non all’ufficio tributi comunale, stabilire quando l’assegnazione della casa familiare viene meno. Un ente locale non può sostituirsi al giudice civile nel valutare se permangono le condizioni per l’assegnazione. Il provvedimento giurisdizionale costituisce l’unica fonte legittima per determinare chi è il soggettivo passivo dell’imposta.
Chi è il soggetto passivo dell’imposta municipale
La questione della soggettività passiva rappresenta il cuore del contenzioso. Secondo la disciplina IMU, è tenuto al versamento chi detiene il possesso dell’immobile, inteso come disponibilità materiale dello stesso. Nel caso dell’assegnazione giudiziale, il provvedimento attribuisce al genitore affidatario un diritto di abitazione che lo rende soggetto passivo a tutti gli effetti.
Molti Comuni hanno sostenuto che, venendo meno i presupposti dell’assegnazione (con la maggiore età dei figli), si verificherebbe una sorta di “trasferimento inverso” della soggettività passiva, dal genitore assegnatario al proprietario. Ma questa ricostruzione non trova riscontro normativo. La legge non prevede meccanismi automatici di decadenza legati all’età anagrafica della prole.
Il diritto di abitazione e il godimento effettivo
Un elemento spesso trascurato riguarda la natura del diritto di abitazione. Sia la dottrina che la giurisprudenza concordano su un aspetto: può esercitare il diritto di abitazione solo chi effettivamente vive nell’immobile. Non basta quindi il titolo formale conferito dal giudice civile; occorre la residenza anagrafica e la dimora abituale nell’abitazione assegnata.
Questa precisazione ha ricadute pratiche rilevanti. Immaginiamo che il genitore assegnatario trasferisca altrove la propria residenza, pur mantenendo nell’immobile il figlio maggiorenne. In questo caso, il genitore non può più invocare l’equiparazione all’abitazione principale, perché manca uno dei requisiti essenziali: la dimora effettiva. La Cassazione, con l’ordinanza 4303/2025, ha chiarito proprio questo punto.
Un esempio pratico di applicazione
Consideriamo la situazione di Marco e Silvia, separati dal 2018. Il tribunale ha assegnato a Silvia la casa di proprietà esclusiva di Marco, dove lei continua a vivere con la figlia Sofia, nata nel 2005. Sofia ha compiuto 18 anni nel 2023, ma frequenta l’università e dipende economicamente dalla madre. Non ha lavoro né redditi propri.
Nel 2025, il Comune invia a Marco un avviso di accertamento IMU per gli anni 2023 e 2024, sostenendo che con la maggiore età di Sofia sia cessata l’esenzione. Marco impugna l’atto evidenziando che: il provvedimento di assegnazione non è stato mai revocato dal giudice; Sofia, pur maggiorenne, non è economicamente autosufficiente; Silvia risiede e dimora stabilmente nell’immobile insieme alla figlia.
La Commissione Tributaria accoglie il ricorso di Marco, richiamando i principi affermati dalla giurisprudenza recente. L’assegnazione mantiene efficacia finché il tribunale non dispone diversamente, e l’età della figlia non costituisce elemento ostativo all’esenzione quando permane la condizione di non autosufficienza economica.
Le implicazioni per saldo IMU e strategie difensive
Con l’approssimarsi della scadenza del saldo IMU per il 2025 (fissata al 16 dicembre), molti contribuenti si trovano in situazione di incertezza. Chi riceve un avviso di accertamento ha strumenti difensivi solidi, alla luce dell’orientamento giurisprudenziale consolidatosi nel corso dell’anno.
È opportuno verificare innanzitutto se il provvedimento di assegnazione è ancora efficace. In caso affermativo, va documentata la permanenza della convivenza tra genitore assegnatario e figli maggiorenni, insieme all’eventuale stato di non autosufficienza economica di questi ultimi. La residenza anagrafica del genitore assegnatario nell’abitazione costituisce elemento imprescindibile.
Sul piano processuale, conviene impugnare tempestivamente gli avvisi, producendo copia del provvedimento giudiziale di assegnazione e certificati anagrafici che attestino la permanenza della residenza. La giurisprudenza offre precedenti favorevoli che è bene richiamare nel ricorso. Va considerato che diverse commissioni territoriali hanno ormai sviluppato un orientamento consolidato su queste fattispecie.


