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Cartella esattoriale semplificata dopo accertamento con adesione

27 Settembre, 2025

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La Suprema Corte torna sul tema dell’obbligo di motivazione nelle cartelle derivanti da mancato pagamento rateale, stabilendo criteri più chiari per l’Amministrazione finanziaria. Una recente pronuncia della Cassazione – l’ordinanza n. 24715/2025 depositata il 7 settembre – ha definito i parametri per la validità degli atti esattoriali quando si verifichi l’inadempimento delle rate concordate nell’accertamento con adesione.

L’orientamento giurisprudenziale emerso appare significativo per la pratica professionale. Gli operatori del settore si trovano spesso di fronte a situazioni dove contribuenti che hanno aderito agli accertamenti finiscono poi per non rispettare il piano di pagamento rateale. La questione, tutt’altro che marginale, tocca aspetti procedurali che meritano attenzione.

🕒 Cosa sapere in un minuto

  • La Cassazione ha confermato che la cartella esattoriale, conseguente a inadempimento del piano rateale di un accertamento con adesione, non necessita di motivazione specifica.
  • L’atto presupposto (l’accertamento con adesione) è considerato requisito motivazionale sufficiente.
  • Le doglianze sulla motivazione della cartella sono tecnicamente infondate e hanno scarsa probabilità di successo nel contenzioso.
  • Il professionista deve monitorare la regolarità dei pagamenti rateali e valutare rapidamente strategie alternative in caso di difficoltà.
  • Principio confermato da Cass., ord. n. 24715/2025: il contribuente conosce già l’“an” e il “quantum” impositivo.

Presupposti normativi della motivazione

I riferimenti normativi in materia di motivazione degli atti tributari si rinvengono principalmente nel D.P.R. n. 602 del 1973, articoli 12 e 25. La giurisprudenza di legittimità ha chiarito nel tempo che l’obbligo motivazionale va valutato non in astratto, ma considerando le finalità che esso è chiamato ad assolvere.

L’Amministrazione deve mettere il contribuente a conoscenza dell'”an” e del “quantum” della pretesa fiscale. Questo per consentire un’eventuale difesa adeguata e delimitare le ragioni dell’Ufficio nella fase contenziosa (si vedano Cassazione n. 26485/2008 e n. 27653/2005).

La fattispecie concreta analizzata

Il caso sottoposto all’attenzione della Cassazione riguardava una società a responsabilità limitata in liquidazione. L’impresa aveva sottoscritto un accertamento con adesione ma non aveva versato la quinta e la sesta rata del piano concordato.

L’Agenzia delle Entrate aveva quindi emesso cartella esattoriale per un importo considerevole – si parla di IRAP, IVA, sanzioni e accessori derivanti dall’omesso versamento. La Commissione Tributaria Provinciale di Lucca aveva accolto parzialmente il ricorso della società, riconoscendo errori di calcolo dell’Agenzia.

In secondo grado, però, la Commissione Tributaria Regionale della Toscana aveva confermato la sostanziale legittimità della cartella. L’annullamento era limitato a una sola voce da 142.014 euro, riportata con un codice tributo considerato poco chiaro.

Posizione dell’Amministrazione finanziaria

La Difesa erariale aveva sollevato un aspetto che nella prassi si presenta frequentemente. La cartella, secondo l’Agenzia, non necessitava di ulteriori spiegazioni proprio perché fondata su un atto di adesione preesistente.

Il contribuente era già a conoscenza della pretesa – sosteneva l’Amministrazione – trattandosi unicamente della liquidazione di quanto ancora dovuto. L’importo di 142.014 euro rappresentava infatti la differenza tra l’importo originario di 213.021,42 euro indicato nell’adesione e le quattro rate già versate per complessivi 71.007,08 euro.

Si consideri che questo tipo di argomentazione trova spesso applicazione quando l’Ufficio deve recuperare residui di piani rateali non rispettati. La chiarezza dell’importo appare evidente dal confronto matematico tra quanto pattuito e quanto effettivamente versato.

Principio di diritto enunciato

Gli Ermellini hanno accolto il ricorso dell’Agenzia delle Entrate, stabilendo un principio che avrà sicuramente riflessi applicativi rilevanti. La Corte ha precisato che quando la cartella deriva dal mancato pagamento di rate di un accertamento con adesione, essa non deve contenere una motivazione particolare.

L’atto di adesione stesso costituisce il presupposto già noto al contribuente. L’onere motivazionale risulta quindi soddisfatto dal semplice richiamo a quell’atto.

Il principio di diritto formulato dalla Suprema Corte appare cristallino: “La cartella di pagamento che faccia seguito all’omesso versamento di una o più rate in relazione alla sottoscrizione di un atto di accertamento con adesione non necessita di una specifica motivazione”. Il contribuente si trova già nella condizione di conoscere i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche della pretesa fiscale.

Consolidamento giurisprudenziale

L’orientamento espresso nell’ordinanza n. 24715/2025 non rappresenta una svolta, quanto piuttosto il consolidamento di principi già affermati in precedenti pronunce. La giurisprudenza di legittimità aveva già avuto modo di precisare parametri analoghi.

Si è detto, ad esempio, che la cartella con cui l’Amministrazione chieda il pagamento delle imposte dichiarate dal contribuente e non versate non necessita di specifica motivazione (Cassazione n. 27140/2011 e n. 23133/2014). Non risulta applicabile né l’art. 3 della legge n. 241/1990, né l’art. 25 del D.P.R. n. 602/1973.

Quando si proceda alla liquidazione dell’imposta sulla base dei dati forniti dal contribuente o rinvenibili negli archivi dell’Anagrafe tributaria, l’onere di motivazione può considerarsi assolto mediante mero richiamo alla dichiarazione o agli estremi del provvedimento (Cassazione n. 8137/2012 e n. 10033/2011).

Profili applicativi nell’esperienza professionale

Nella pratica professionale si osserva come spesso i contribuenti, pur avendo sottoscritto accertamenti con adesione, finiscano per trovarsi in difficoltà nel rispettare i piani rateali. Le cause possono essere le più diverse: crisi aziendali sopravvenute, problemi di liquidità, cambi di gestione societaria.

Quando si verifica l’inadempimento, l’Amministrazione procede all’iscrizione a ruolo delle somme residue. Il contribuente talvolta contesta la cartella lamentando difetti di motivazione, ma come evidenzia la recente pronuncia, questa strategia difensiva appare di difficile successo.

È opportuno notare che il principio enunciato dalla Cassazione si applica specificamente alle cartelle derivanti da mancato pagamento di rate di accertamento con adesione. Non necessariamente si estende ad altre fattispecie di iscrizione a ruolo.

Aspetti procedurali da considerare

Il professionista deve valutare attentamente la situazione quando assiste un contribuente che ha sottoscritto un accertamento con adesione. La verifica del rispetto del piano rateale diventa elemento critico per evitare conseguenze negative.

Nel caso di difficoltà economiche sopravvenute, occorre valutare tempestivamente strategie alternative. La rateizzazione delle cartelle esattoriali secondo l’art. 19 del D.P.R. n. 602/1973 può rappresentare una soluzione, ma con requisiti e modalità diverse rispetto al piano originario.

Si deve tenere conto che la decadenza dal beneficio della rateizzazione comporta l’immediata esigibilità dell’intero importo residuo. Le conseguenze possono risultare particolarmente gravose per il contribuente.

Implicazioni per il contenzioso tributario

La pronuncia della Cassazione avrà probabilmente effetti sui contenziosi in corso. I contribuenti che hanno impugnato cartelle derivanti da mancato pagamento di rate di adesione lamentando difetti di motivazione vedranno ridotte le possibilità di successo.

Nella casistica comune emerge come spesso la contestazione della motivazione rappresenti una difesa di tipo processuale, quando le ragioni sostanziali del debito appaiono difficilmente contestabili. La recente ordinanza restringe ulteriormente questo spazio difensivo.

È necessario che i professionisti orientino diversamente le strategie processuali. L’attenzione dovrà concentrarsi maggiormente su profili di calcolo, regolarità degli atti precedenti, rispetto delle procedure di adesione.

La Suprema Corte ha dunque annullato la decisione della Commissione Tributaria Regionale nella parte relativa all’annullamento della voce da 142.014 euro, respingendo nel merito il ricorso originario della società contribuente.

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