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Canoni di locazione non riscossi: quando il proprietario può evitare la tassazione

12 Giugno, 2025

L’ordinamento tributario italiano presenta oggi una disciplina articolata – e non sempre di immediata comprensione – relativa al trattamento fiscale dei canoni di locazione non percepiti dai proprietari di immobili. La materia ha subito nel corso degli ultimi anni un’evoluzione normativa che ha determinato una stratificazione di regimi, talvolta creando incertezze applicative nella prassi professionale.

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Il principio generale e le deroghe normative

Nella disciplina ordinaria del reddito fondiario, il proprietario dell’immobile concesso in locazione è tenuto a dichiarare l’intero ammontare dei canoni maturati, prescindendo dall’effettiva percezione degli stessi. Tuttavia, il legislatore ha introdotto specifiche deroghe a questo principio, riconoscendo la particolare situazione di disagio in cui si trova il locatore che, pur dovendo assolvere agli obblighi tributari, non riceve il corrispettivo pattuito.

La prima significativa apertura si è avuta con l’articolo 3-quinquies del Decreto Crescita n. 34/2019, che ha modificato l’articolo 26 del TUIR. L’intervento normativo – come spesso accade nel diritto tributario – non ha operato una riforma organica, ma ha introdotto una possibilità di non imponibilità dei canoni non percepiti subordinata al rispetto di condizioni procedurali specifiche.

La disciplina attuale: stratificazione normativa e regimi differenziati

L’attuale assetto normativo presenta una distinzione temporale che determina l’applicazione di regimi diversi. Per i canoni maturati dal 1° gennaio 2020, si applica la disciplina più favorevole introdotta dal Decreto Crescita, successivamente perfezionata dal Decreto Sostegni n. 41/2021.

In particolare, l’articolo 6-septies del citato Decreto Sostegni ha esteso il beneficio anche ai contratti stipulati anteriormente al 2020, purché i canoni non percepiti si riferiscano a periodi di maturazione successivi a tale data. Si tratta di un’estensione che – nella prassi applicativa – ha eliminato una disparità di trattamento che poteva apparire ingiustificata.

Requisiti procedurali per la detassazione

La non imponibilità dei canoni non riscossi è subordinata all’ottenimento, entro il termine di presentazione della dichiarazione dei redditi, di uno specifico provvedimento giudiziario. La norma richiede alternativamente:

  • L’intimazione di sfratto per morosità.
  • L’ingiunzione di pagamento.

È importante sottolineare che non è necessaria la conclusione del procedimento: è sufficiente l’ottenimento dell’atto giudiziario entro i termini dichiarativi. Questa previsione rappresenta un significativo elemento di flessibilità, considerando i tempi spesso lunghi dei procedimenti giudiziari.

Il regime transitorio per i canoni anteriori al 2020

Per i canoni maturati prima del 1° gennaio 2020 permane il regime precedente, caratterizzato da una logica di compensazione ex post. In questi casi, il proprietario deve comunque dichiarare i canoni non percepiti, ma può richiedere un credito d’imposta di pari ammontare alle imposte versate.

Il riconoscimento del credito è subordinato all’accertamento della mancata percezione nell’ambito del procedimento giurisdizionale di convalida di sfratto per morosità. Si tratta di un meccanismo più complesso rispetto alla detassazione diretta, ma che assicura comunque una tutela per il contribuente.

Profili operativi: la compilazione della dichiarazione

Nell’esperienza applicativa, la corretta rappresentazione dei canoni non percepiti nella dichiarazione dei redditi richiede particolare attenzione. Nel modello 730, i righi da B1 a B5 devono essere compilati indicando nella colonna 6 esclusivamente i canoni effettivamente percepiti, utilizzando il codice 4 nella colonna 7 per segnalare la presenza di canoni non riscossi.

Analoga modalità operativa si applica per il modello Redditi PF, nei righi da RB1 a RB9. La casistica comune evidenzia come sia fondamentale la corretta documentazione dell’iniziativa giudiziaria intrapresa, che deve risultare chiaramente dalla data di emissione del decreto ingiuntivo o dell’intimazione di sfratto.

Si consideri il caso di un proprietario che abbia stipulato un contratto di locazione con canone mensile di 500 euro. Nell’ipotesi in cui l’inquilino abbia corrisposto solo i primi cinque mensilità (gennaio-maggio 2024) e sia stato emesso decreto ingiuntivo in data ottobre 2024, il proprietario potrà dichiarare unicamente i 2.500 euro effettivamente percepiti, purché la documentazione dell’azione giudiziaria risulti dai termini prescritti.

L’IMU: un tributo che prescinde dalla percezione del canone

Aspetto spesso trascurato nella prassi è la sostanziale indipendenza dell’IMU dalla percezione o meno dei canoni di locazione. Il presupposto impositivo dell’Imposta Municipale Unica si identifica infatti nel possesso di immobili a titolo di proprietà o di altro diritto reale di godimento.

La giurisprudenza ha talvolta interpretato in modo restrittivo i tentativi di collegare l’obbligazione IMU alla riscossione dei canoni, ribadendo che il tributo grava sul proprietario indipendentemente dalla situazione locatizia dell’immobile. Questa impostazione – che può apparire severa – trova la sua ratio nella natura patrimoniale dell’imposta, che colpisce il valore dell’immobile piuttosto che il reddito che ne deriva.

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