Un professionista che rifiuta di restituire la contabilità dell’ex assistito può trovarsi a rispondere di appropriazione indebita, con conseguenze penali tutt’altro che trascurabili. La Cassazione penale ha confermato questa linea con la sentenza n. 32779 depositata il 3 ottobre 2025, stabilendo la condanna per un consulente che aveva trattenuto presso il proprio studio i registri IVA e la documentazione contabile di un cliente.
La vicenda solleva interrogativi sulla responsabilità penale dei professionisti contabili. Quando termina un mandato, quali documenti vanno riconsegnati? E soprattutto: trattenere le carte per evitare che emergano errori nella gestione può configurare un reato?
🕒 Cosa sapere in un minuto
- Se il commercialista trattiene la documentazione dell’ex cliente (libri IVA, registri e contabilità) dopo la fine dell’incarico, rischia di incorrere in appropriazione indebita ai sensi dell’art. 646 Codice Penale.
- La sentenza Cassazione penale n. 32779/2025 ha confermato la condanna: trattenere le carte per evitare controlli o contestazioni costituisce reato penale aggravato dall’abuso di prestazione d’opera.
- Il commercialista deve restituire senza ritardi tutta la documentazione contabile, come previsto dall’art. 2235 Codice Civile e dall’art. 23 del Codice Deontologico.
- Trattenere la contabilità per ottenere pagamento di fatture non saldate è vietato: il professionista può tutelarsi solo con strumenti legali, non sequestrando le carte.
- Consigli operativi: formalizza sempre la riconsegna con ricevuta firmata dal cliente per evitare future contestazioni.
La fattispecie penale secondo l’articolo 646 del codice
L’appropriazione indebita è disciplinata dall’art. 646 Cp. Si tratta di un delitto contro il patrimonio che si consuma quando qualcuno si appropria di denaro o cose mobili altrui già in suo possesso, con l’intento di procurare a sé o ad altri un profitto ingiusto.
La pena prevista è la reclusione da due a cinque anni, con l’aggiunta di una multa da 1.000 a 3.000 euro (va precisato che la Corte Costituzionale, con sentenza n. 46 del 21 febbraio 2024, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale della pena minima di due anni, ripristinando la formulazione “fino a cinque anni”). Si procede a querela della persona offesa, secondo quanto stabilito dal D.Lgs. 36/2018.
Nel caso di specie, l’aggravante è rappresentata dall’abuso di prestazione d’opera, ai sensi dell’art. 61 Cp, n. 11. Il professionista ha sfruttato la propria posizione fiduciaria per trattenere documenti che avrebbero dovuto essere immediatamente restituiti.
Il caso giudiziario esaminato dalla Corte d’appello
La vicenda processuale ruota attorno a un commercialista che aveva in possesso i libri sociali e le scritture contabili di un’associazione di promozione sociale. Quest’ultima aveva revocato l’incarico, ma il professionista non aveva mai restituito la documentazione richiesta.
Il Tribunale di primo grado aveva assolto l’imputato. La Corte d’appello ha invece ribaltato completamente la decisione, condannando il consulente a otto mesi di reclusione (con sospensione condizionale), mille euro di multa e al risarcimento dei danni in favore della parte civile, da quantificarsi in sede civile.
La sentenza definitiva è arrivata con il pronunciamento della Suprema Corte.
L’iter probatorio che ha portato alla condanna
I giudici di secondo grado hanno fondato la loro decisione su una serie di elementi probatori che il Tribunale aveva sottovalutato, o addirittura ignorato. Le testimonianze delle colleghe che prima dell’imputato si erano occupate della contabilità dell’associazione hanno pesato in modo determinante: entrambe hanno confermato che il passaggio di consegne tra professionisti prevede sempre la trasmissione della documentazione contabile.
Una di queste testimoni aveva personalmente portato i libri contabili allo studio del commercialista imputato. Quest’ultimo, peraltro, non ha mai negato di aver ricevuto le scritture, limitandosi a lamentare che la consegna era avvenuta in modo «frammentario, incompleto, tardivo e caotico». Questa precisazione emerge da una comunicazione via Pec indirizzata al legale dell’associazione.
Altri elementi hanno confermato il quadro accusatorio: la fattura emessa dal professionista per il «fisso annuale per tenuta vostra contabilità» dimostra che l’incarico era stato effettivamente svolto. La testimonianza del commercialista subentrato ha fatto il resto. Il nuovo consulente ha riferito di aver inutilmente richiesto al collega la consegna dei libri contabili, necessari per affrontare le contestazioni sollevate dall’amministrazione finanziaria. Senza quei documenti, era impossibile difendere l’associazione dagli accertamenti fiscali sulle annualità precedenti.
Responsabilità professionale e obbligo di restituzione
Secondo quanto previsto dall’art. 2235 del Codice civile, il prestatore d’opera intellettuale non può trattenere la documentazione ricevuta dal cliente oltre il tempo strettamente necessario per tutelare i propri diritti. Questo principio è ribadito anche dall’art. 23, comma 5 del Codice deontologico dei commercialisti, che impone la restituzione dei documenti senza ritardo in caso di rinuncia all’incarico.
Il Consiglio Nazionale dei Dottori Commercialisti (CNDCEC) ha più volte chiarito, con vari “Pronto Ordini”, che l’obbligo di restituzione riguarda non solo i documenti consegnati dal cliente ma anche quelli elaborati dal professionista nell’esercizio del mandato: dichiarazioni fiscali, libri contabili, registri IVA, bilanci. Si tratta, in sostanza, di tutta la documentazione necessaria per la continuità della gestione contabile e fiscale.
Il diritto di ritenzione del professionista si limita ai soli documenti utili a dimostrare l’attività svolta (come appunti di lavoro o bozze interne), ma non può mai estendersi alla contabilità ufficiale del cliente.
Nella prassi, il mancato rispetto di questo obbligo può avere conseguenze su tre piani: deontologico (con possibili sanzioni disciplinari), civile (responsabilità per inadempimento e risarcimento danni) e, come dimostra il caso in esame, anche penale.
L’interesse patrimoniale del professionista a trattenere i documenti
La difesa aveva sostenuto che trattenere la documentazione non avrebbe portato alcun vantaggio economico al commercialista. L’argomentazione è stata ritenuta inconsistente. Come spesso accade in questi casi, l’interesse del professionista non è tanto un profitto immediato quanto la volontà di evitare conseguenze negative.
La Corte d’appello ha evidenziato che il commercialista aveva un preciso interesse patrimoniale: impedire che emergesse la sua “mala gestio” nella conduzione degli adempimenti fiscali e contabili dell’associazione. Se la documentazione fosse stata consegnata al collega subentrante, gli errori commessi nelle annualità precedenti sarebbero stati scoperti. Questo avrebbe esposto il professionista a un’azione di risarcimento danni per colpa professionale, oltre alle sanzioni amministrative già irrogate dagli uffici finanziari.
Si tratta di un ragionamento che trova riscontro nella giurisprudenza consolidata. La Cassazione ha più volte affermato che il “profitto ingiusto” richiesto dall’art. 646 Cp non deve necessariamente tradursi in un guadagno immediato: può consistere anche nell’evitare una perdita o nel sottrarsi a responsabilità.
Quando la mancata restituzione integra il reato
Non ogni ritardo nella riconsegna dei documenti configura automaticamente un reato. Occorre che vi sia la volontà di appropriarsi definitivamente delle carte, sottraendole al legittimo proprietario. La giurisprudenza parla di “interversio possessionis”, ovvero della trasformazione del possesso legittimo (quello del depositario) in possesso illegittimo finalizzato all’appropriazione.
Nel caso di specie, il rifiuto opposto all’ufficiale giudiziario che chiedeva la consegna dei documenti – dopo l’emissione di un’ordinanza ex art. 700 del codice di procedura civile – ha dimostrato in modo inequivocabile l’intenzione appropriativa del commercialista.
Va precisato che la semplice inerzia, in assenza di una richiesta esplicita da parte del cliente, non sempre costituisce reato. Tuttavia, quando il cliente formula una richiesta chiara e il professionista oppone un rifiuto ingiustificato, si supera la soglia della mera violazione deontologica per entrare nel territorio della rilevanza penale.
Implicazioni pratiche per i professionisti contabili
La sentenza costituisce un monito per tutti i commercialisti e consulenti del lavoro che gestiscono documentazione contabile per conto terzi. Al termine del mandato – sia che si tratti di una revoca da parte del cliente sia di una rinuncia da parte del professionista – occorre provvedere tempestivamente alla riconsegna di tutta la contabilità.
Si consideri che l’obbligo di conservazione delle scritture contabili per dieci anni (come previsto dall’art. 2220 Cc) grava sull’imprenditore, non sul professionista. Una volta riconsegnata la documentazione, il commercialista non ha più alcun obbligo di custodia, salvo che non abbia ricevuto uno specifico incarico di conservazione documentale.
Il consiglio operativo per i professionisti è quello di formalizzare sempre la riconsegna dei documenti con una comunicazione scritta, possibilmente con ricevuta di consegna firmata dal cliente. In questo modo si evitano contestazioni future sulla mancata restituzione.
Nella casistica esaminata dalla giurisprudenza, sono emersi casi di commercialisti che trattenevano la contabilità per ottenere il pagamento di fatture non saldate. Anche questa condotta è illegittima: l’art. 25 del Codice deontologico vieta espressamente di ritenere la documentazione del cliente a causa del mancato pagamento. Il professionista ha altri strumenti per tutelare il proprio credito (come il decreto ingiuntivo), ma non può certo “sequestrare” le carte del cliente.