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Accertamenti credito di imposta ricerca e sviluppo: l’atto di indirizzo del MEF cambia le carte in tavola

10 Luglio, 2025

È passato quasi inosservato, eppure potrebbe rappresentare il punto di svolta più significativo degli ultimi anni per migliaia di aziende italiane. L’atto di indirizzo del Ministero dell’Economia e delle Finanze del 1° luglio 2025 – pubblicato con tempismo quantomeno discutibile il giorno dopo la scadenza per il riversamento dei crediti R&S – ridisegna completamente i rapporti di forza tra contribuenti e Agenzia delle Entrate. La sostanza è rivoluzionaria: il MEF esclude categoricamente l’inesistenza per i crediti ricerca e sviluppo che rispettano la normativa primaria e secondaria, relegando il contestato Manuale di Frascati al ruolo di semplice strumento interpretativo senza potere vincolante per i controlli sull’inesistenza. Per comprendere la portata di questo intervento, bisogna partire dai numeri: dal 2015 al 2019, le imprese italiane hanno utilizzato crediti R&S per oltre 3 miliardi di euro. Una fetta consistente di questi benefici è finita sotto la lente dell’Agenzia delle Entrate, che ha spesso qualificato come “inesistenti” crediti basandosi su interpretazioni rigide del Manuale di Frascati. Ora, con un colpo di spugna, il MEF dichiara che questa prassi non ha più fondamento giuridico.

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Il nuovo alfabeto dei crediti: quando “inesistente” non significa più quello che credevamo

L’architettura normativa costruita dal decreto ministeriale del 1° luglio 2025, emanato ai sensi dell’articolo 10-septies, comma 3, della legge 212/2000, poggia su una distinzione tecnico-giuridica cristallina che ribalta anni di prassi amministrativa consolidata. Il documento, che recepisce le modifiche introdotte dal decreto legislativo 87/2024, stabilisce parametri oggettivi per distinguere tra crediti d’imposta “inesistenti” e “non spettanti”, con conseguenze procedurali e sanzionatorie che cambiano radicalmente le regole del gioco.

La definizione di credito inesistente viene circoscritta in modo chirurgico: si configura esclusivamente quando mancano i requisiti oggettivi o soggettivi previsti dalla normativa primaria (leggi e decreti-legge) o dai decreti attuativi espressamente richiamati dalla norma istitutiva. Il MEF è categorico: l’inesistenza presuppone una carenza che “consegua direttamente dalla fonte normativa”, comprensiva delle fonti secondarie ma rigorosamente limitata a quelle specificamente indicate dalla norma madre dell’agevolazione.

È qui che si consuma il primo ribaltamento strategico. Fino a ieri, l’Agenzia delle Entrate aveva mano libera nel qualificare come inesistenti crediti che non rispettavano criteri tecnici derivati da fonti interpretative non direttamente richiamate dalla legge. Oggi, questa strada è sbarrata. Se un’azienda ha sostenuto spese per attività di ricerca e sviluppo, ha la struttura soggettiva prevista dalla norma e ha documentato correttamente i costi, il suo credito non può essere considerato inesistente, indipendentemente da valutazioni tecniche di dettaglio.

Per i crediti non spettanti, il MEF disegna un quadro articolato su tre tipologie distinte. La più rilevante per il settore R&S riguarda situazioni dove, pur in presenza dei requisiti normativi fondamentali, il credito poggia su fatti “non rientranti nella disciplina attributiva per difetto di ulteriori elementi”. Questi elementi aggiuntivi derivano, come precisa con chirurgica precisione l’atto, da “fonti tecniche di dettaglio non specificamente richiamate dalla normativa primaria e secondaria dell’agevolazione”.

La traduzione pratica è immediata: se l’Agenzia vuole contestare un credito R&S basandosi sui criteri del Manuale di Frascati, può farlo solo nell’ambito della “non spettanza”, con tutti i limiti procedurali e temporali che ne conseguono. È la fine di un’epoca per i verificatori fiscali.

Frascati sotto processo: quando un manuale internazionale diventa carta straccia

Il nome “Manuale di Frascati” non compare mai nel decreto ministeriale, eppure tutto il documento sembra scritto per neutralizzarne l’uso indiscriminato. L’atto fa riferimento a fonti interpretative la cui “validità ai fini dell’agevolazione risulta incerta e oggetto di significativo contenzioso”. Una definizione che calza a pennello per il documento OCSE che ha terrorizzato migliaia di imprese innovative negli ultimi anni.

La posizione del MEF è inequivocabile: il Manuale di Frascati, non essendo citato né nel decreto-legge 144/2013 (che ha introdotto il credito R&S) né nel decreto attuativo del 27 maggio 2015, può essere utilizzato esclusivamente per contestazioni relative alla “non spettanza” del credito. Stop. Fine della discussione sull’inesistenza.

Questa impostazione demolisce dalle fondamenta l’approccio che l’Agenzia delle Entrate ha adottato negli ultimi anni. La prassi amministrativa, infatti, aveva elevato il Manuale di Frascati a sorta di “super-norma” tecnica, utilizzandolo per negare l’esistenza stessa di crediti che, dal punto di vista formale, rispettavano tutti i requisiti previsti dalla legge italiana. Un’operazione interpretativa che spesso si traduceva in accertamenti devastanti per le imprese, costrette a restituire benefici già utilizzati con l’aggiunta di sanzioni e interessi.

Il nuovo orientamento ministeriale riconduce queste contestazioni nell’alveo della “non spettanza”, con conseguenze che cambiano tutto: termini di accertamento più brevi, sanzioni ridotte, esclusione della rilevanza penale in caso di incertezza tecnica. È una rivoluzione copernicana mascherata da atto tecnico-amministrativo.

Ma c’è di più. Nella giurisprudenza di legittimità si era già consolidato un orientamento simile, con la Cassazione a Sezioni Unite (sentenza n. 34419/2023) che aveva chiarito come la mancanza di requisiti “qualitativi” non determinasse automaticamente inesistenza del credito. Il MEF non fa altro che prendere atto di questo indirizzo e trasformarlo in prassi amministrativa vincolante. Il risultato è un’armonizzazione del sistema che mette fine al caos interpretativo degli ultimi anni.

La matematica dell’accertamento: quando otto anni diventano cinque

Le conseguenze pratiche della riqualificazione operata dal MEF si misurano in anni e milioni di euro. I crediti inesistenti possono essere recuperati dall’Agenzia delle Entrate entro il 31 dicembre dell’ottavo anno successivo all’utilizzo (articolo 13, comma 5, del decreto legislativo 471/1997), mentre per quelli non spettanti valgono i termini ordinari del quinto anno successivo alla presentazione della dichiarazione.

Facciamo i conti. Un credito R&S utilizzato in compensazione nel 2019 poteva essere contestato per inesistenza fino al 31 dicembre 2027. Con la nuova interpretazione ministeriale, se la contestazione si basa su valutazioni del Manuale di Frascati, l’accertamento doveva essere notificato entro il 31 dicembre 2024. Termine scaduto. Game over per l’Agenzia.

Il calcolo vale per la stragrande maggioranza dei crediti R&S del periodo 2015-2019, che rappresentano la fetta più corposa del contenzioso in materia. Migliaia di pratiche di controllo rischiano di perdere efficacia retroattivamente, con potenziali richieste di rimborso da parte delle imprese che hanno già subito accertamenti ora illegittimi.

Ma la rivoluzione non si ferma qui. Anche per i crediti utilizzati dal 2020 in poi, il MEF offre un’arma di difesa formidabile: la certificazione tecnica introdotta dal decreto-legge 73/2022. L’atto di indirizzo è esplicito: tale strumento “preclude all’Agenzia delle Entrate le contestazioni di natura puramente tecnica, rendendo nullo un eventuale accertamento basato esclusivamente su questo tipo di rilievi”.

La strategia ministeriale è chiara: spingere le imprese verso la certificazione preventiva per blindare i propri crediti contro contestazioni tecnico-interpretative. Un sistema che, se applicato correttamente, potrebbe ridurre drasticamente il contenzioso in materia di R&S.

Certificazione tecnica: il nuovo scudo delle imprese innovative

Il MEF valorizza la certificazione tecnica come presidio preventivo assoluto contro le contestazioni fondate sulla qualificazione tecnica delle attività. L’atto di indirizzo non si limita a ricordarne l’esistenza: la promuove attivamente, sottolineando che può essere acquisita anche ex post, purché non sia intervenuto un processo verbale di constatazione.

Il meccanismo è tanto semplice quanto efficace. Le imprese possono far certificare i propri progetti R&S da soggetti qualificati iscritti nell’albo del Ministero delle Imprese e del Made in Italy. Una volta ottenuta, la certificazione assume valore vincolante per l’Agenzia delle Entrate limitatamente agli aspetti tecnici dell’investimento. Tradotto: se un progetto è certificato come attività di ricerca e sviluppo, l’Agenzia non può più contestarne la natura tecnica.

Ma c’è un dettaglio che cambia tutto: la certificazione può essere comunicata all’Amministrazione “per favorire il contraddittorio preventivo”. In pratica, un’impresa sotto controllo può produrre una certificazione tecnica e mettere l’Agenzia di fronte al fatto compiuto. Se l’accertamento si basa solo su rilievi tecnici, diventa automaticamente nullo.

Il linguaggio utilizzato dal MEF è significativo. Il documento non si limita a descrivere lo strumento: “auspica” che le imprese ne facciano uso “in modo positivo”. Una formula diplomatica che tradisce l’intento politico dell’operazione. Il MEF vuole chiudere la stagione del contenzioso selvaggio sui crediti R&S, offrendo alle imprese strumenti di difesa preventiva e all’Agenzia criteri oggettivi di valutazione.

L’invito ministeriale sembra rivolto tanto alle imprese che hanno contenziosi in corso quanto a quelle che vogliono prevenire future contestazioni. Il messaggio è chiaro: usate la certificazione e mettetevi al riparo da sorprese amministrative.

Il rebus degli atti già emessi: cosa succede ora?

L’atto di indirizzo apre scenari inediti per quanto riguarda gli accertamenti già notificati basati su criteri che oggi appaiono superati dall’orientamento ministeriale. Il MEF non fornisce indicazioni operative specifiche, lasciando all’Agenzia delle Entrate il compito di gestire la transizione.

Le opzioni sul tavolo sono sostanzialmente due. La prima: l’annullamento in autotutela degli atti fondati esclusivamente su contestazioni di inesistenza riconducibili a valutazioni del Manuale di Frascati. Sarebbe la soluzione più coerente con i principi espressi nell’atto di indirizzo, ma richiederebbe un’operazione di revisione massiva di migliaia di pratiche.

La seconda opzione è più conservativa: lasciare che sia la giurisprudenza di merito a dare attuazione ai nuovi criteri interpretativi caso per caso. Una strategia che scaricherebbe sui tribunali l’onere di applicare retroattivamente i principi ministeriali, con tempi e costi evidenti per tutti i soggetti coinvolti.

La scelta dell’Agenzia sarà un test cruciale per misurare la reale volontà di applicare coerentemente i nuovi orientamenti. Se prevarrà l’approccio conservativo, si rischierà di vanificare l’efficacia pratica dell’intervento ministeriale, costringendo migliaia di imprese a lunghi e costosi contenziosi per far valere principi che dovrebbero essere pacifici.

Per i contenziosi pendenti, la situazione presenta profili di maggiore complessità tecnico-giuridica. I contribuenti potranno certamente invocare l’orientamento ministeriale come elemento a sostegno delle proprie ragioni difensive, ma l’efficacia dipenderà dalla specifica struttura delle contestazioni e dall’orientamento che assumeranno i giudici tributari.

Un aspetto paradossale emerge dall’analisi temporale dell’intervento ministeriale. L’atto è stato pubblicato il 2 luglio 2025, il giorno successivo alla scadenza per il riversamento spontaneo dei crediti R&S previsto al 30 giugno. Una tempistica che solleva interrogativi sulla reale volontà di fornire certezze preventive alle imprese. Molte aziende hanno aderito alla sanatoria per timore di sanzioni che, alla luce dei nuovi principi, potrebbero essere state sproporzionate o addirittura illegittime.

Il nuovo codice delle sanzioni: dalla gogna alla proporzione

La riforma del sistema sanzionatorio operata dal decreto legislativo 87/2024, ora codificata nell’atto di indirizzo, introduce un trattamento differenziato che ridimensiona drasticamente le conseguenze delle irregolarità in materia di crediti R&S.

Sul versante amministrativo, la distinzione è netta. Per i crediti inesistenti si applica una sanzione del 70% del credito (articolo 13, comma 5, del decreto legislativo 471/1997), aumentata dalla metà al doppio solo in caso di rappresentazioni fraudolente con documenti falsi o artifici. Per i crediti non spettanti, invece, le sanzioni seguono il regime ordinario dell’omesso versamento, con percentuali significativamente inferiori e possibilità di riduzione tramite ravvedimento operoso.

Ma è sul fronte penale che si consuma il cambiamento più significativo. L’utilizzo di crediti inesistenti comporta la reclusione da 1 anno e 6 mesi a 6 anni se l’importo annuo supera 50.000 euro (articolo 10-quater, comma 2, del decreto legislativo 74/2000). Per i crediti non spettanti, la pena è ridotta a un range da 6 mesi a 2 anni, con una clausola di esclusione della punibilità che fa la differenza: non si procede penalmente quando sussiste “obiettiva incertezza dovuta a valutazioni tecniche”.

Quest’ultima disposizione assume portata rivoluzionaria per il settore R&S, dove le valutazioni tecniche si muovono spesso in zone grigie interpretative. La riqualificazione operata dal MEF contribuisce a ridurre drasticamente il rischio di configurazione di reati per comportamenti che, pur formalmente irregolari, si basano su interpretazioni controverse di normative tecniche complesse.

Il risultato è un sistema più equilibrato che distingue tra comportamenti dolosi e semplici errori interpretativi, restituendo proporzione a un settore che negli ultimi anni aveva vissuto sotto la minaccia di sanzioni sproporzionate rispetto alla natura tecnica delle violazioni contestate.

Scenari futuri: tra autotutela e nuovi equilibri

L’atto di indirizzo del MEF rappresenta molto più di un chiarimento tecnico: è il manifesto di una nuova filosofia applicativa che potrebbe estendersi ad altri settori dell’agevolazione fiscale. Il principio di fondo – limitare l’uso di fonti interpretative non direttamente richiamate dalla legge per configurare l’inesistenza di benefici – ha potenzialità di applicazione ben oltre il perimetro dei crediti R&S.

Nei prossimi mesi sarà cruciale monitorare l’atteggiamento dell’Agenzia delle Entrate. Se prevarrà un approccio collaborativo, con annullamenti in autotutela e applicazione retroattiva dei nuovi principi, si aprirà una stagione di pacificazione del rapporto fisco-imprese. Se invece l’amministrazione finanziaria adotterà un atteggiamento conservativo, il rischio è di trasferire sui tribunali il peso di una transizione che dovrebbe essere gestita amministrativamente.

Le imprese, dal canto loro, hanno ora strumenti di difesa più efficaci ma devono imparare a utilizzarli strategicamente. La certificazione tecnica preventiva diventa un investimento di protezione indispensabile per chi opera in settori ad alto contenuto innovativo. Il costo della certificazione va confrontato con il potenziale danno di contestazioni amministrative che, fino a ieri, potevano portare a sanzioni devastanti.

Il settore professionale dovrà riorganizzarsi per gestire la transizione. Commercialisti e consulenti fiscali dovranno aggiornare le proprie competenze per navigare in un quadro normativo profondamente cambiato, dove la conoscenza degli aspetti tecnico-scientifici diventa altrettanto importante quanto quella giuridico-fiscale.

Infine, rimane aperta la questione dei rapporti con l’Europa. Il Manuale di Frascati nasce in ambito OCSE ed è utilizzato dalla Commissione Europea per valutare la compatibilità degli aiuti di Stato. La scelta italiana di limitarne la rilevanza interpretativa dovrà essere monitorata per verificare eventuali reazioni a livello comunitario.

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