a riforma dell’accertamento tributario – quella messa in campo con i decreti attuativi della legge delega n. 111/2023 – ha prodotto sul terreno delle garanzie procedurali un risultato che, almeno sulla carta, appariva ambizioso. Due istituti distinti ma interconnessi (il contraddittorio preventivo ex art. 6-bis dello Statuto del contribuente e l’accertamento con adesione disciplinato dal D.Lgs. n. 218/1997) sono stati profondamente rimaneggiati nel tentativo di costruire un sistema più efficiente. Ma il coordinamento tra questi strumenti, nella pratica operativa, si rivela tutt’altro che scontato. E i problemi emergono soprattutto quando si parla di proroga termini accertamento.
Il meccanismo che dovrebbe governare il rapporto tra contraddittorio e adesione poggia su un perno fondamentale: lo schema d’atto. Una volta ricevuto questo documento, chi è sottoposto a verifica si trova davanti a un bivio procedurale. Da un lato c’è la possibilità di presentare osservazioni scritte entro almeno 60 giorni (così si attiva il contraddittorio preventivo previsto dall’art. 6-bis, comma 3, legge n. 212/2000). Dall’altro, entro 30 giorni dalla ricezione dello schema, si può scegliere di percorrere la strada dell’accertamento con adesione, presentando l’istanza secondo quanto stabilito dall’art. 6, comma 2-bis, D.Lgs. n. 218/1997. In questo secondo caso l’ufficio deve convocare il soggetto interessato entro 15 giorni dalla ricezione della richiesta.
Il doppio binario delle proroghe e il loro coordinamento
Le complicazioni sorgono nel momento in cui si esamina come questi due percorsi alternativi – contraddittorio e adesione – interagiscano con i termini decadenziali per l’attività di accertamento. Qui il legislatore ha previsto meccanismi di proroga distinti, anzi diversissimi tra loro. L’art. 6-bis, comma 3, dello Statuto stabilisce che quando il termine per le osservazioni scade dopo quello ordinario di accertamento, oppure quando tra i due termini intercorrono meno di 120 giorni, la scadenza viene automaticamente posticipata al 120° giorno successivo alla fine del periodo assegnato per le controdeduzioni. Una disciplina pensata, come dice espressamente la norma, “per consentire il contraddittorio”.
Sul versante dell’adesione opera invece l’art. 5, comma 3-bis, D.Lgs. n. 218/1997 (inserito dal D.L. n. 34/2019 e rimasto invariato nella riforma). Qui la proroga scatta solo se tra la data fissata per la comparizione e la scadenza ordinaria del termine di accertamento passano meno di 90 giorni: in quel caso il termine viene prorogato al 120° giorno successivo alla scadenza ordinaria. Due fattispecie diverse, quindi, che presuppongono condizioni differenti. Nel primo caso (contraddittorio) è sufficiente che lo schema d’atto venga comunicato prima della scadenza. Nel secondo (adesione) serve che anche la data di comparizione cada prima del termine ordinario.
Le situazioni critiche: quando nessuna proroga è applicabile
Proviamo a ragionare su un caso concreto – uno di quelli che nella prassi degli uffici si presentano più spesso di quanto si pensi. Mettiamo che il termine ordinario di accertamento cada il 31 dicembre 2025. L’ufficio invia lo schema d’atto il 17 novembre 2025, assegnando il minimo previsto dalla legge: 60 giorni per eventuali osservazioni. Quindi il termine per le controdeduzioni scadrebbe il 16 gennaio 2026. A questo punto però il soggetto interessato, anziché optare per il contraddittorio, sceglie la via dell’adesione e presenta l’istanza il 14 dicembre 2025.
Cosa succede se l’Amministrazione finanziaria, dopo questa istanza, non provvede a fissare la data di comparizione entro il 31 dicembre 2025? La proroga prevista per l’adesione (quella dell’art. 5, comma 3-bis) non può operare. Il motivo è semplice: quella norma richiede che la data di comparizione sia fissata prima della scadenza ordinaria del termine e che tra questa data e il termine stesso intercorrano meno di 90 giorni. Se la comparizione non viene convocata affatto entro il 31 dicembre, viene a mancare il presupposto stesso della proroga.
Si potrebbe pensare, a prima vista, di applicare la diversa proroga prevista per il contraddittorio (art. 6-bis, comma 3, dello Statuto). Dopotutto il termine per le osservazioni assegnato nello schema d’atto scade dopo il 31 dicembre. Ma questa soluzione, per quanto suggestiva, non convince. La ratio della norma sull’art. 6-bis è esplicita: la proroga serve “per consentire il contraddittorio”. Quando però il soggetto ha scelto l’adesione – un istituto alternativo e incompatibile con il contraddittorio preventivo – viene meno il presupposto finalistico di quella proroga. Il contraddittorio ex art. 6-bis non si farà mai, perché è stata percorsa una strada diversa.
I rischi operativi per l’Amministrazione
Non si vede, d’altra parte, come l’Amministrazione possa pretendere di beneficiare della proroga destinata al contraddittorio dopo aver omesso di fare ciò che serviva per applicare la proroga specifica dell’adesione (fissare cioè la comparizione in tempo utile). Del resto, le norme che prorogano i termini decadenziali hanno natura eccezionale e, secondo quanto stabilito dall’art. 14 delle disposizioni preliminari al codice civile, richiedono un’interpretazione rigorosa. Una proroga prevista specificamente per il contraddittorio non può estendersi a una fattispecie in cui il soggetto ha optato per l’adesione – tanto più che l’adesione è fornita di una propria disciplina di proroga ad hoc.
Il risultato pratico, in casi come quello descritto, è che l’Amministrazione rischia di trovarsi senza alcuna copertura. Né la proroga dell’adesione (perché non è stata fissata la comparizione) né quella del contraddittorio (perché è stato scelto un percorso alternativo) risultano applicabili. La scadenza del termine resta quella ordinaria del 31 dicembre 2025. Se quel termine passa senza che venga notificato l’atto, si verifica la decadenza dal potere impositivo.
Un’area grigia che tradisce le intenzioni del legislatore
Si delinea quindi un’area grigia di fattispecie nelle quali l’Amministrazione, che pure il legislatore ha voluto proteggere con ben due diverse tipologie di proroga, non può beneficiare né dell’una né dell’altra. Un paradosso che contrasta con l’obiettivo dichiarato della riforma. Il legislatore, negli ultimi anni, ha moltiplicato le ipotesi di proroga dei termini ordinari di accertamento – spesso con l’intento discutibile di rimediare a ritardi e inefficienze degli uffici – ma lo ha fatto senza preoccuparsi di garantire un effettivo coordinamento tra le diverse previsioni. Il risultato sono cortocircuiti disciplinari che, in una serie tutt’altro che marginale di casi, rischiano di pregiudicare proprio quella stessa Amministrazione che si voleva privilegiare.
Le conseguenze di un mancato coordinamento normativo
C’è da chiedersi se il legislatore si sia reso conto del rischio. Forse no. L’art. 1, comma 5, della legge delega n. 111/2023 assegnava tra l’altro al legislatore delegato il compito di “garantire il coordinamento tra i decreti legislativi adottati ai sensi della presente legge e le altre leggi dello Stato”. Un’intenzione rimasta, nei fatti, largamente inattuata. La sovrapposizione tra la nuova disciplina del contraddittorio preventivo (introdotta dal D.Lgs. n. 219/2023) e la disciplina dell’adesione (riformata dal D.Lgs. n. 13/2024) produce quindi un effetto non voluto: situazioni nelle quali gli uffici – pur avendo comunicato lo schema d’atto nei termini – rischiano di perdere il potere di accertamento per il solo fatto che il soggetto ha scelto l’adesione in prossimità della scadenza ordinaria.
La questione non è solo teorica. Nella prassi operativa degli uffici territoriali, la comunicazione degli schemi d’atto avviene spesso a ridosso della scadenza dei termini. E quando il soggetto opta per l’adesione – scelta del tutto legittima e anzi incentivata dalla legge – l’ufficio si trova in una situazione di estrema difficoltà. Se non riesce a fissare la comparizione prima della scadenza ordinaria (cosa che può accadere per molteplici ragioni organizzative), perde la copertura della proroga specifica. Ma non può nemmeno invocare la proroga del contraddittorio, perché quella era pensata per un percorso diverso.
La natura eccezionale delle proroghe e i limiti interpretativi
Bisogna ricordare che le norme sulle proroghe dei termini decadenziali sono disposizioni eccezionali rispetto al regime ordinario. Come tali, secondo la tradizionale interpretazione civilistica, non possono essere estese analogicamente a casi non espressamente contemplati. Questo principio, consolidato nella giurisprudenza e nella dottrina, impedisce di “forzare” l’applicazione della proroga del contraddittorio a situazioni in cui il soggetto ha scelto l’adesione. Sono due istituti distinti, con finalità diverse e con proprie discipline di proroga. Mischiare le carte non è consentito dall’ermeneutica giuridica.
D’altra parte occorre anche considerare che il contraddittorio ex art. 6-bis e l’accertamento con adesione non sono percorsi equivalenti o interscambiabili. Il contraddittorio è un momento partecipativo in cui il soggetto può presentare elementi di fatto e di diritto prima dell’emissione dell’atto, senza alcun vincolo negoziale. L’adesione invece è un procedimento di definizione concordata della pretesa, che si conclude con un atto di adesione avente natura negoziale. Le finalità sono diverse, i presupposti sono diversi, le conseguenze sono diverse. Non si può quindi pretendere che la proroga pensata per l’uno valga anche per l’altro.
Esempi pratici e scenari operativi
Consideriamo un altro scenario. Un’impresa individuale riceve lo schema d’atto il 20 novembre 2025 per un accertamento relativo all’anno d’imposta 2020, con scadenza ordinaria al 31 dicembre 2025. Il termine per le osservazioni è fissato al 19 gennaio 2026. L’imprenditore, dopo aver consultato il proprio consulente, decide di presentare istanza di adesione il 12 dicembre 2025. L’ufficio riceve l’istanza ma, per questioni di carico di lavoro, non riesce a convocare l’impresa prima della fine dell’anno. A gennaio emette l’avviso di accertamento richiamando la proroga ex art. 6-bis dello Statuto.
In un eventuale contenzioso, però, l’atto rischia seriamente di essere dichiarato nullo per decadenza. L’impresa può sostenere – con buone ragioni – che la proroga del contraddittorio non era applicabile perché aveva optato per l’adesione, e che la proroga dell’adesione non operava perché l’ufficio non aveva fissato la comparizione entro il termine ordinario. Una situazione nella quale l’Amministrazione si trova senza protezione, nonostante avesse comunicato lo schema d’atto nei termini previsti dalla legge.
Implicazioni sistematiche e prospettive di riforma
Questo disallineamento tra le due discipline di proroga evidenzia una criticità più generale dell’attuale assetto normativo. Il legislatore, nel tentativo di garantire sempre e comunque all’Amministrazione margini temporali sufficienti per operare, ha creato un sistema frammentato e non unitario di proroghe “ad personam”. Oltre alle due ipotesi qui esaminate (contraddittorio e adesione), esistono altre fattispecie di proroga: quella per le dichiarazioni integrative (art. 1, comma 640, legge n. 190/2014), quella per l’abuso del diritto (art. 10-bis, comma 7, legge n. 212/2000), e così via. Un mosaico di regole che rende i termini di accertamento sempre più mobili e personalizzati, con evidenti problemi di coordinamento.
La questione solleva interrogativi anche sulla coerenza complessiva del sistema. Se l’obiettivo era rafforzare le garanzie procedurali del soggetto passivo e al contempo assicurare all’Amministrazione strumenti adeguati per svolgere la propria attività, il risultato appare contraddittorio. Da un lato si moltiplicano i vincoli procedurali per l’ufficio (obbligo di contraddittorio, termini minimi per le osservazioni, motivazione rafforzata), dall’altro si introducono proroghe che però, come si è visto, possono non essere applicabili proprio nei casi in cui servirebbero di più.
Riflessioni conclusive sull’eterogenesi dei fini
Si assiste quindi a una sorta di eterogenesi dei fini. Il legislatore voleva proteggere l’Amministrazione dai rischi di decadenza, introducendo meccanismi di proroga collegati ai nuovi obblighi procedurali. Ma l’assenza di coordinamento tra questi meccanismi produce l’effetto opposto: in determinate situazioni l’ufficio rischia la decadenza proprio a causa della coesistenza di discipline incompatibili. Una conseguenza non voluta ma prevedibile, frutto di una tecnica legislativa che ha stratificato interventi normativi senza una visione d’insieme.
Del resto la stessa legge delega per la riforma fiscale poneva tra i suoi obiettivi quello di garantire il coordinamento tra i decreti attuativi e la normativa preesistente. Un obiettivo che, almeno sul terreno del rapporto tra contraddittorio e adesione, non sembra essere stato centrato. Le due discipline convivono senza dialogare, creando zone di incertezza che potrebbero essere risolte solo con un intervento correttivo del legislatore. Oppure, in alternativa, sarà la giurisprudenza – nelle aule dei tribunali tributari – a dover sciogliere questi nodi interpretativi.
Prospettive applicative e necessità di chiarimenti
Occorrerebbe, in prospettiva, un intervento normativo che chiarisca in modo inequivocabile come si coordina la proroga del contraddittorio con quella dell’adesione quando il soggetto, dopo aver ricevuto lo schema d’atto, opta per il percorso concordato. Una soluzione potrebbe essere quella di prevedere che la proroga ex art. 6-bis operi in ogni caso, a prescindere dalla scelta successiva del soggetto, purché lo schema sia stato comunicato entro il termine ordinario. Oppure si potrebbe stabilire che la presentazione dell’istanza di adesione entro i 30 giorni dallo schema d’atto faccia automaticamente scattare la proroga dell’adesione anche se la comparizione non viene fissata in tempo.
In assenza di questi chiarimenti, gli uffici dovranno operare con estrema prudenza. Quando comunicano uno schema d’atto a ridosso della scadenza ordinaria, dovranno essere consapevoli che se il soggetto sceglie l’adesione e loro non riescono a convocare la comparizione prima del termine, potrebbero perdere il potere di accertamento. L’unica alternativa “sicura” sarebbe comunicare gli schemi d’atto con largo anticipo rispetto alla scadenza – una soluzione che però contrasta con le esigenze operative degli uffici, spesso oberati di lavoro e costretti a lavorare sotto pressione temporale.
Nella prassi alcuni uffici territoriali hanno iniziato a inserire negli schemi d’atto clausole di “salvaguardia” che avvertono il soggetto delle conseguenze della scelta tra contraddittorio e adesione in termini di proroghe applicabili. Ma queste clausole hanno valore più informativo che vincolante: non possono certo modificare il quadro normativo o risolvere le contraddizioni intrinseche al sistema. Servirebbe, appunto, un intervento legislativo che rimetta ordine in questa materia.



