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Motivazione Verifiche fiscali: ora serve un motivo preciso, parola della Corte EDU

20 Maggio, 2025

C’è una sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo – quella del 6 febbraio scorso – che sta facendo parecchio discutere. L’AIDC l’ha analizzata nel suo documento n. 2/2025 e, diciamolo subito, cambia parecchio le carte in tavola per quanto riguarda gli accessi domiciliari durante le verifiche fiscali. In pratica, niente più motivazioni generiche per entrare in casa o in azienda del contribuente. Se l’Amministrazione non specifica perché proprio lì e proprio in quel momento, tutte le prove raccolte diventano carta straccia.

Motivazioni a casaccio? Non più (e ci mancherebbe)

La vicenda è interessante. Dal processo verbale esaminato nel caso specifico, l’atto impositivo che ne è seguito è stato considerato illegittimo. Perché? Semplice, mancava una motivazione che giustificasse l’accesso. E questo ha portato all’inutilizzabilità di tutte – e dico tutte – le acquisizioni probatorie ottenute durante i controlli.

L’AIDC ha evidenziato come questa pronuncia non arrivi come un fulmine a ciel sereno. C’era già stata la Cassazione, con sentenza n. 11910/2025, che aveva rinviato una decisione su un ricorso riguardante la contestazione dell’accesso nei locali aziendali da parte delle Fiamme Gialle. Accesso fatto, tra l’altro, senza una valida autorizzazione dell’autorità giudiziaria.

Il giudice ha disposto – e qui sta il punto, secondo me – un rinvio per instaurare il contraddittorio tra le parti. Erano già in udienza, ma ha voluto comunque un rinvio. Questo fa capire quanto peso abbiano i principi della sentenza europea nel nostro ordinamento. Non lo dice esplicitamente, certo, ma è chiaro che considera questi principi idonei a escludere l’utilizzabilità delle prove raccolte durante verifiche fiscali “alla buona”.

Gli articoli violati (e non è roba da poco)

La questione gira intorno agli articoli 8, 6 e 13 della Convenzione EDU. Il nostro legislatore li ha recepiti – o almeno avrebbe dovuto – con l’art. 1 della legge 212/2000, lo Statuto del contribuente, per intenderci. Poi c’è stata la modifica con il D.lgs 219/2023.

Vale la pena ricordarlo: la Convenzione EDU non è un optional nel nostro ordinamento. È una fonte del diritto di ordine superiore, in quanto proviene da un organismo sovranazionale. In parole povere: viene prima delle nostre leggi nazionali.

Ma torniamo al caso concreto. Secondo quanto emerge dall’analisi dell’AIDC, nel processo verbale di inizio verifica compariva una motivazione del tipo: “tenuto conto che la società rientra nel piano dei controlli – anno 2025”. Ecco, questo tipo di formula standardizzata non basta più. La Corte l’ha ritenuta insufficiente, troppo generica, non conforme ai principi che ha stabilito.

E adesso che succede? Implicazioni pratiche

Nella pratica quotidiana, questa sentenza cambia parecchio le cose. L’AIDC suggerisce di inserire, come motivo d’impugnazione, l’illegittimità dell’atto impositivo basato su prove raccolte in violazione degli articoli della Convenzione EDU. È un fatto assorbente, dicono, e hanno ragione.

Ma vediamo un po’ cosa significa per chi ha la Finanza alla porta… Se un accesso avviene senza una motivazione dettagliata – non quella copia-incolla che siamo abituati a vedere – tutte le prove raccolte potrebbero essere buttate nel cestino in un eventuale contenzioso. Non è poco, credetemi.

Facciamo un esempio, per capirci meglio: la GdF accede ai locali di un’impresa e motiva il controllo con un generico “è nel piano annuale” o “analisi del rischio”. Bene – anzi, male – quell’avviso di accertamento che verrà fuori potrebbe essere carta straccia.

Ma allora, che motivazione ci vuole?

A dire il vero, la Corte EDU non fa un elenco preciso. Si potrebbe dire che sa riconoscere una buona motivazione quando la vede… Ma dall’analisi dell’AIDC possiamo ricavare alcuni punti fermi:

  • La motivazione dev’essere specifica per quel contribuente
  • Ci vogliono elementi concreti, non formule prestampate
  • Niente richiami generici a piani di controllo o statistiche
  • Va rispettato il principio di proporzionalità – che poi è quello che spesso viene ignorato

Questo significa – e lo dico per chi si trova quotidianamente a difendere i contribuenti – che formule come “controllo a campione” o “piano annuale verifiche” non reggono più. O meglio, reggono solo se accompagnate da elementi specifici sul perché proprio quel contribuente è stato selezionato.

Il contraddittorio: non una formalità ma sostanza

C’è un altro aspetto che emerge dall’analisi dell’AIDC e che, secondo me, andrebbe sottolineato. Il contraddittorio preventivo acquista sempre più importanza.

Nel caso specifico, la Corte ha disposto un rinvio proprio per l’instaurazione del contraddittorio tra le parti. Non era obbligata a farlo, avrebbe potuto decidere direttamente. Questo è un segnale importante.

Si rafforza l’idea – già presente in alcune pronunce nazionali ma spesso ignorata negli uffici – che il contraddittorio non è una formalità da sbrigare in fretta. È un elemento sostanziale del procedimento. Se manca, o è fatto male, tutto il castello può crollare.

Nella pratica se il contribuente contesta subito l’illegittimità dell’accesso, l’Amministrazione dovrebbe fermarsi e discutere questo punto prima di procedere oltre. Non sempre accade, lo sappiamo bene, ma ora abbiamo un’arma in più.

Come difendersi, allora? Qualche consiglio pratico

Alla luce di questa sentenza – che personalmente ritengo importantissima – come possono tutelarsi i contribuenti? Ecco alcuni suggerimenti, basati sull’esperienza sul campo:

  • I) Controllare con attenzione la motivazione dell’accesso – è sorprendente quanto spesso sia una formula standard
  • II) Contestare immediatamente se la motivazione è generica – fatelo mettere a verbale, non limitatevi a pensarlo
  • III) Chiedere espressamente un contraddittorio sulla legittimità dell’accesso – in forma scritta, possibilmente
  • IV) Se arriva l’avviso di accertamento, impugnarlo facendo valere questo vizio – che ora ha gambe più solide su cui stare

Insomma, non basta più la frasetta di rito per giustificare un’invasione nella sfera privata del contribuente. E, diciamocelo, era anche ora.

Non si tratta di impedire i controlli, sia chiaro. L’evasione va combattuta, ci mancherebbe. Ma con le regole del gioco giuste. Con proporzione. Con rispetto dei diritti fondamentali.

Che succederà domani? Ipotesi e previsioni

La sentenza della Corte EDU e l’analisi che ne ha fatto l’AIDC aprono scenari nuovi. È probabile – anzi, mi azzardo a dire certo – che Agenzia delle Entrate e GdF dovranno rivedere le loro procedure. Serviranno motivazioni articolate, non più formule standard.

Questo potrebbe portare a meno verifiche? Forse. Ma sicuramente a verifiche più mirate, meglio giustificate. D’altra parte, mi aspetto un aumento del contenzioso sugli atti istruttori. I contribuenti – ben consigliati – contesteranno più spesso la legittimità degli accessi.

Nella casistica che vedo tutti i giorni, già alcuni colleghi cominciano a far valere questo principio. E qualche giudice tributario – non tutti, sia chiaro – sembra recepirlo.

In fondo, è un passo verso un sistema più equilibrato. Lo Statuto del contribuente lo diceva già, ma spesso è rimasto lettera morta. Forse ci voleva una spinta dall’Europa per prendere sul serio questi diritti.

E voi che ne pensate? Le vostre esperienze con motivazioni generiche negli accessi sono simili? Il contraddittorio preventivo viene rispettato nei casi che seguite? La giurisprudenza che incontrate si sta allineando a questi principi?

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